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Assegno divorzile. Le  rinunce professionali incidono sulla determinazione?
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Osservatorio legale di Sara Astorino
19 settembre 2024 9:40
 
 
L’assegno divorzile è uno degli argomenti più controversi nel panorama giuridico anche in virtù delle diverse pronunce che continuano a modificare la disciplina dello stesso.

In cosa consiste l’assegno divorzile?
L’ art. 5, comma VI, L. 898/1970, Legge sul Divorzio, definisce l’assegno divorzile come l’obbligo di uno dei due coniugi, a seguito di pronuncia di divorzio, di corrispondere periodicamente all’altro un contributo economico, se questi non ha mezzi adeguati o per ragioni oggettive non se li può procurare.
Il testo dell’articolo è molto stringato ed effettivamente per capire di cosa si tratta, come viene disciplinato e quanto sia complesso l’argomento, bisognerebbe guardare la copiosa giurisprudenza creatasi sul punto.

Una cosa è importante sapere e capire.
L’assegno divorzile è diverso rispetto all’assegno di mantenimento.

In cosa sono diversi l’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento?
L’assegno di mantenimento ha una funzione assistenziale, volta a mantenere il tenore di vita precedente.
L’assegno divorzile ha funzione perequativa, volta a riequilibrare le disparità economiche tra i coniugi.
Stante la particolare funzione dell’assegno divorzile è facile comprendere come la valutazione delle rinunce professionali e lavorative effettuate nel corso del matrimonio possano incidere sulla quantificazione dello stesso.

Come valutare le rinunce professionali lavorative?
Particolare importanza assumono due sentenze della Corte di Cassazione che se lette unitamente chiariscono in che modo devono essere valutate le rinunce professionali.
La prima è la 11504/2017 che ha chiarito che tra le funzioni dell’assegno divorzile vi è anche quella di: “riconoscere e compensare i sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole durante il matrimonio".
Un ulteriore e fondamentale passo in avanti è stato fatto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza emessa in data 08 Luglio 2024. La Suprema Corte ha affermato che il contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare, anche attraverso la rinuncia a opportunità professionali, deve essere debitamente considerato "il sacrificio delle proprie prospettive professionali, se motivato da esigenze familiari e concordato con l'altro coniuge, deve essere valutato come un contributo significativo al benessere complessivo della famiglia".

Basta quindi dimostrare di aver fatto delle rinunce professionali per avere una valutazione più elevata dell’assegno divorzile?
No, occorre verificare tre elementi.
Il primo è il nesso causale ovvero che la rinuncia professionale deve essere strettamente collegata alle esigenze della famiglia. Il collegamento, inoltre, tra rinuncia e benessere familiare deve essere evidente.
Il secondo è che la scelta deve essere condivisa tra i coniugi.
Questo costituisce sicuramente l’elemento più difficile da provare perché di certo i coniugi non mettono per iscritto ogni decisione che prendono!
Il terzo elemento è l’incremento del patrimonio ovvero dalla rinuncia deve derivare o un
incremento patrimoniale della famiglia o un incremento del patrimonio personale dell’altro coniuge.

Cosa comporta tale decisione a livello di valutazione da parte dei Tribunali?
I Giudici dovranno tenere in considerazione non solo le differenze reddituali e patrimoniali ma anche il lavoro domestico e di cura.
Ciò perché, come descritto nella citata ordinanza, "Il lavoro di cura e di assistenza alla famiglia deve essere considerato alla stregua di un contributo economico indiretto".


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