Un consumatore -Marco Pieraccioli, consulente dell'Aduc e che agiva per conto dell'associazione in questa causa pilota- ha ottenuto in Cassazione una importante vittoria contro il colosso americano delle tlc Hewlett-Packard che si è visto rigettare il ricorso con il quale sosteneva che i suoi pc, se venduti insieme a un sistema operativo 'di serie', dovevano considerarsi come "un unico prodotto integrato". In sostanza - è la tesi della multinazionale - non era possibile restituire il software, ottenendo il relativo rimborso, e tenersi invece l'hardware in caso di "pentimento" sull'acquisto del 'pacchetto'. Questo punto di vista è stato bocciato dalla Suprema Corte che ha confermato il diritto a riavere i 140 euro (costo stimato) del sistema operativo 'Microsoft Windows XP Home Edition' e del software applicativo 'Microsoft Work 8' fornito insieme al notebook Hp da lui "contestualmente" acquistato nel dicembre 2005. Per arrivare a questa decisione, i supremi giudici hanno interpretato la specifica clausola contenuta nel cosiddetto 'Eula Compaq', vale a dire il contratto di licenza con l'utente finale relativo all'utilizzo del software di sistema Microsof-Windows preinstallato. E hanno concluso che "l'integrazione tra software e hardware non si fonda su un'esigenza di natura tecnologica, ma unicamente commerciale" e dunque non ci sono "ostacoli" che impediscono la "considerazione frazionata dei due prodotti". Tra l'altro, non mancano di rilevare gli 'ermellini', il consumatore "è mosso all'acquisto sulla base principalmente delle specifiche tecniche del nuovo hardware; il che trova anche riscontro obiettivo nell'assoluta preponderanza del valore economico di quest'ultimo nella formazione del prezzo finale". Per tutte queste ragioni, unite all'esigenza di non creare situazioni di monopolio in questo settore del mercato, la Cassazione ha stabilito che: "chi acquista un computer sul quale sia stato preinstallato dal produttore un determinato software di funzionamento (sistema operativo) ha il diritto, qualora non intenda accettare le condizioni della licenza d'uso del software propostegli al primo avvio del computer, di trattenere quest'ultimo restituendo il solo software oggetto della licenza non accettata, a fronte del rimborso della parte di prezzo ad esso specificamente riferibile". Ritiene la Suprema Corte che, "nell'accertata assenza di controindicazioni tecnologiche, l''impacchettamento' alla fonte di hardware e sistema operativo Windows-Microsoft (così come avverrebbe per qualsiasi altro sistema operativo a pagamento) risponderebbe, infatti, nella sostanza, ad una politica commerciale finalizzata alla diffusione forzosa di quest'ultimo nella grande distribuzione dell'hardware (quantomeno in quella, largamente maggioritaria, facente capo ai marchi più affermati)". In questo modo, si verificherebbero "riflessi a cascata in ordine all'imposizione sul mercato di ulteriore software applicativo la cui diffusione presso i clienti finali troverebbe forte stimolo e condizionamento, se non vera e propria necessità, in più o meno intensi vincoli di compatibilità ed interoperabilità (che potremo questa volta definire 'tecnologici ad effetto commerciale') con quel sistema operativo, almeno tendenzialmente monopolista". Questa è una "evenienza" -afferma la sentenza 19161, Terza sezione civile- a tal punto "concreta" da essere già "stata fatta oggetto sotto vari profili di interventi restrittivi e sanzionatori da parte degli organismi antitrust Usa e della stessa Commissione Ue". L'intervento della Suprema Corte si inscrive nello stesso solco di quelle delle autorità statunitensi e comunitarie a tutela del libero mercato lasciando scegliere ai consumatori il sistema operativo che preferiscono, compresi quelli gratuiti.
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