Nonostante un nazionalismo di fondo comune, le varie estreme destre europee stanno oggi reinvestendo in Europa e nell’Unione Europea per ragioni strategiche e, talvolta, ideologiche.
“Come occidentali, abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere morale di preferire la nostra civiltà a tutte le altre.» Quando interviene alla Conferenza nazionale del conservatorismo, che si è tenuta il 16 e 17 aprile a Bruxelles, il saggista neoconservatore belga
David Engels sa che le sue posizioni sull'Europa non sono le migliori condivise tra i leader e gli intellettuali europei di estrema destra che costituiscono il suo pubblico. Intitolata
“Difendere lo Stato-nazione in Europa”, questa edizione del 2024 riunisce, come le precedenti, un’ampia maggioranza di sovranisti e nazionalisti, più propensi ad attaccare l’Unione Europea (UE) che a considerarla rimodellata a loro immagine. Da parte sua, fervente difensore di una "civiltà europea" che giustifica la volontà di costruire un'"Europa alternativa" a quella di Bruxelles, David Engels preferisce quindi, quando parla, sottolineare ciò che lo unisce ai suoi ascoltatori - in particolare, la convinzione che la “tradizionale identità culturale” dell'Europa deve essere difesa contro la minaccia posta dall'immigrazione e dal multiculturalismo.
Interrogato da Le Monde, David Engels appare tuttavia ottimista sull'evoluzione delle sue opinioni in questi ambienti:
“Quando ho cominciato a scrivere e pubblicare, le mie posizioni, che erano allo stesso tempo conservatrici e molto europeiste, erano infatti ancora relativamente rare. Ma sempre più conservatori europei si sono resi conto che devono affrontare gli stessi problemi dei loro omologhi nei paesi vicini e che possono lavorare insieme. Per alcuni è stato addirittura interessante chiedersi cosa ci rende non solo francesi, tedeschi, italiani, ma anche europei; e quali concetti potremmo sviluppare per ricostruire l’UE”, osserva.
In effetti, a questa estremità dello spettro politico, think tank, riviste e conferenze dedicate all’Europa sembrano moltiplicarsi. Fondato nel 2007, il
Centre for European Renewal (CER), un'organizzazione conservatrice con sede ad
Amsterdam, nei Paesi Bassi, ha, ad esempio, svolto un ruolo di primo piano in questa riflessione, ruolo ricoperto oggi dalla rivista
The European Conservative, derivazione del CER e opera da Vienna, Austria, e Budapest, Ungheria. Allo stesso modo, se, a partire dal 2018, la pubblicazione della
Dichiarazione di Parigi (Ed. du Cerf, 2018), testo cofirmato dalla filosofa conservatrice
Chantal Delsol, invocava una visione “carnale”, “democratica” e “spirituale”. «Europa», è stato recentemente l’Istituto Iliade, think tank del movimento identitario fondato da Jean-Yves Le Gallou, a organizzare un convegno dal titolo
“Dal patrimonio all’impegno, l’Europa dei nostri figli”.
Rinnovato interesse opportunistico
Soprattutto, se un gran numero di attori politici europei di estrema destra si sono inizialmente fatti conoscere attraverso le loro posizioni euroscettiche e i loro strenui attacchi contro la burocrazia di Bruxelles, è chiaro che la tendenza sembra cambiare – come nel caso di
Marine Le Pen che , nonostante fosse ancora sostenitrice della “Frexit” e dell’uscita dall’euro nel 2017, ha chiamato, il 19 maggio, a “rilanciare l’Europa” durante un convegno di partiti populisti ultraconservatori organizzato dal gruppo spagnolo Vox. Questo rinnovato interesse di certa estrema destra per l’Europa, opportunamente manifestato con l’avvicinarsi delle elezioni nel continente, può giustamente sembrare paradossale, poiché questi movimenti sono uniti da un nazionalismo di fondo comune – il nazionalismo costituente, secondo alcuni ricercatori, ne è un criterio determinante categoria politica.
Per comprendere questa inversione di tendenza è utile ricordare che le destre radicali non hanno sempre rifiutato l’Europa e l’unificazione europea in blocco.
Europea, ma appunto una certa idea di quest’ultima – e in particolare quella che cominciò a delinearsi nel dopoguerra del 1914 con la formulazione dei primi progetti di unificazione, il più noto dei quali fu quello presentato in
Pan-Europa (1923). Pubblicato dal diplomatico austriaco
Richard Coudenhove-Kalergi, questo lavoro visionario sostiene la costruzione di un'Europa federale e sovranazionale, con un'unione doganale, un esercito europeo e persino un diritto di intervento negli Stati membri in caso di regressione antidemocratica. Lungi dall'essere portato avanti solo da pochi utopisti, questo progetto federalista ottenne numerosi consensi nella prima parte del XX secolo e fu difeso da parte della resistenza europea negli anni Quaranta, poi da intellettuali come il teorico
Altiero Spinelli dopo la seconda guerra mondiale .
«È soprattutto questo tipo di progetti che l'estrema destra si batte», sottolinea
Cécile Leconte, professoressa universitaria all'Istituto di studi politici di Lille.
“La sua visione è costruita in opposizione a quest’Europa che, se non è esente da rimproveri e affonda le sue radici, tra l’altro, nel colonialismo, si basa sull’idea che può esistere un’identità comune europea, e sull’idea di solidarietà – finanziaria, migratoria, energetica, diplomatica – tra i popoli”, prosegue la ricercatrice.
Tra questi attori stanno quindi emergendo due modi principali di pensare all’Europa. Il
primo, rappresentato in particolare da alcuni intellettuali, economisti e politici vicini alla “rivoluzione nazionale” del regime di Vichy, e che insegnarono alla Uriage National Executive School (antenata della National School of Administration), è costituito da un tecno-sovranista discorso. Se i suoi sostenitori rifiutano un’Europa federale, restano tuttavia favorevoli alla creazione di un mercato comune, a una struttura europea tecnocratica e allo sviluppo di un’Europa panafricana – vale a dire grazie alla quale le risorse delle colonie extraeuropee possano essere sfruttate congiuntamente.
Il secondo è quella della
“nuova Europa” guidata dalle ideologie fasciste e naziste.
“I fascisti e i nazionalsocialisti tengono un vero discorso sull’Europa”, insiste
Cécile Leconte:
“La loro Europa è quella dell’”uomo nuovo”,
che esercita un controllo assoluto sugli individui con l’obiettivo di rimodellarli sul piano fisico e morale. Si definisce un’Europa della razza bianca – addirittura un’Europa della “razza ariana” – e questa Europa è sotto la dominazione fascista e/o nazista.» Siamo quindi lontani dall'Europa della solidarietà tra i popoli. In Francia, questa visione di un’Europa totalitaria, razzista, disuguale, ma anche antiliberale, antiamericana e anticomunista è portata avanti in particolare da alcuni collaborazionisti che hanno aderito all’ideologia nazionalsocialista.
Nell’immediato dopoguerra, se il rifiuto del sovranazionalismo e della costruzione europea dominava ancora il loro approccio alla questione, l’estrema destra occidentale – gravemente screditata dagli orrori perpetrati dai regimi fascista e nazista – raramente discuteva di queste questioni. Una linea tanto più vantaggiosa in quanto l’UE opera allora in relativa ignoranza e indifferenza nei confronti dell’opinione pubblica. Lo nota addirittura la storica
Anne-Marie Duranton-Crabol, in un capitolo dell'opera collettiva
European Dynamics. Nuovo spazio, nuovi attori, 1969-1981 (Ed. de la Sorbonne, 2002), che
«la paura [del comunismo] spinge talvolta ad accettare, in via provvisoria, l'Europa così come si sta costruendo: alcuni collaboratori dei francesi settimanale Rivarol sta seguendo con interesse gli sforzi di unificazione." E che negli
Ecrits de Paris, un periodico francese di estrema destra pubblicato dal 1947 al 1978, un collaboratore “si pronuncia a favore dei Trattati di Roma”. Considerata come un baluardo contro l'URSS, la Comunità economica europea (CEE), nata nel 1957, è tanto meglio tollerata dal Fronte nazionale (FN) di
Jean-Marie Le Pen in quanto quest'ultimo, piuttosto liberale sulle questioni economiche, era in favore della concorrenza libera e senza distorsioni e del mercato comune.
Riformulazione di concetti inaccettabili
Alcuni – rari – movimenti e teorici stanno cercando di pensare a un’Europa alternativa. Il britannico
Oswald Mosley (1896-1980), leader del fascismo in Inghilterra negli anni '30, pubblicò nel dopoguerra due opere in cui dispiegò l'idea di una “nazione europea”: ispirato dal
Nuovo Ordine nazista, questo nazionalismo europeo riunisce nazioni presentate alla pari. I testi di Mosley ispireranno anche piccoli gruppi come
Jeune Europe, che lo storico britannico
Roger Griffin definisce “
eurofascista”: questo movimento di origine belga, affermato a livello internazionale, porta avanti, dagli anni '60, una “utopia paneuropea”.
Questa visione europeista di destra, però, si scontra con il vigore del nazionalismo e alla fine ha poco successo, sia negli ambienti radicali che nell’opinione pubblica. Più duratura, invece, sarà l’influenza della nuova destra francese, questa corrente di pensiero politico di estrema destra interessata all’idea di una
“Europa civilizzata”. I membri del
Gruppo di ricerca e studio per la civiltà europea (Grecia), nato negli anni 1968-1969 attorno a
Jean Mabire e Dominique Venner e i cui scritti sono pubblicati sulla rivista
Elements for European Civilization, presuppongono infatti l'esistenza di una cultura specifica nel continente e minacciato di declino.
Questa concezione molto elaborata dell’Europa come entità da difendere non è gratuita: serve come base per una riformulazione dei concetti di estrema destra.
"Dopo la seconda guerra mondiale, il razzismo e l'idea di discriminazione basata sulla razza sono diventati in gran parte inaccettabili in Occidente", ricorda
Périne Schir, dottoranda in filosofia politica all'Università di Rouen. Di fronte a ciò, la nuova destra tenta di ridefinire i “gruppi umani” che vuole distinguere tra loro in termini non biologici per evitare l’accusa di razzismo, e comincia, da allora in poi, a parlare di “gruppi etnici”, di “nazioni”, “culture”.
“Questi si presentano certamente come uguali tra loro, ma anche come dovessero restare separati, pena il dissolversi e lo scomparire. Questo è ciò che la nuova destra chiama etno-differenzialismo, o etnopluralismo”, spiega il ricercatore dell
’Illiberalism Studies Program della George Washington University (Stati Uniti).
Infatti, se questa “civiltà europea” può essere considerata atea, pagana o cristiana a seconda degli autori,
si tratta sempre di un’Europa omogeneamente bianca e antimusulmana: il concetto di etnodifferenzialismo è soprattutto uno strumento per opporsi al multiculturalismo e all’immigrazione, sostenendo l’idea che entrambe minaccino la sopravvivenza della cultura europea e delle culture nazionali. Perché l'uno e l'altro non si escludono a vicenda:
«L'idea è provare a pensare ad aree culturali che vadano oltre lo stretto quadro della nazione; ma questa idea di unità di civiltà europea è sempre legata alle specificità locali, siano esse francesi, italiane, tedesche…” spiega
Périne Schir.
Euroscetticismo, un tema centrale
Tuttavia, se la diffusione delle idee della nuova destra impone gradualmente una certa visione della civiltà europea negli ambienti della destra radicale, il loro discorso sull’UE sta allo stesso tempo sperimentando un cambiamento significativo, che
“si spiega con i cambiamenti nel contesto su scala nazionale ed internazionale". Con il crollo dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 è finito il relativo silenzio dell’estrema destra sulla costruzione europea. Non solo l’anticomunismo non giustifica più il silenzio o l’adesione formale ad esso, ma, volendo catturare quella parte dell’opinione pubblica europea occidentale fondamentalmente ostile all’idea di unificazione – che rappresenta, dal 1950, dal 10% al 20% degli intervistati: questi gruppi hanno fatto dell’euroscetticismo un tema centrale dei loro discorsi.
La critica all’Ue diventa infatti in questo periodo una strategia proficua: fu, ad esempio, la scelta del
FN, che ottenne una forte visibilità mediatica durante le elezioni comunali ed europee del 1984.
“Se il suo posizionamento sulla questione europea è rimasto fino a a quel momento rimasto piuttosto vago, non appena il FN ha guadagnato deputati europei, ha sviluppato una dottrina abbastanza chiara centrata sulle questioni di identità, immigrazione e sulla critica alla tecnocrazia di Bruxelles, che sarebbe poi diventata la critica al modello democratico europeo", spiega
Emmanuelle Reungoat, docente di scienze politiche all'Università di Montpellier. Dato che il tema europeo ha anche il vantaggio di non sposare la divisione sinistra-destra, le elezioni europee costituiranno un momento politico molto efficace per il FN, durante il quale potrà presentarsi come una delle principali alternative politiche, e adottare questo effetto crea un doppio discorso sull’Unione, a volte più radicale, a volte più pacifico, a seconda delle circostanze e dell’opinione pubblica.
Negli anni 1990-2000 ha preso piede questa stranezza, ben nota agli osservatori della vita politica europea, dove gruppi occidentali di estrema destra, pur se uniti dal rifiuto del sovranazionalismo, dalla critica virulenta delle istituzioni europee e persino dal loro appello a lasciare l’Unione, si candidano alle elezioni europee e cercano di prendere il controllo del Parlamento europeo.
"Questo paradosso ideologico può essere spiegato da un interesse strategico comune", ritiene
Emmanuelle Reungoat.
Si tratta di elezioni proporzionali in cui questi partiti possono ottenere buoni risultati. Di conseguenza, negli ultimi decenni, i diversi partiti, e il RN in particolare, hanno utilizzato l’arena parlamentare europea come base arretrata, un trampolino di lancio per sviluppare la loro impresa politica nazionale.»
Anche in questo caso, l’esempio del RN si rivela particolarmente significativo: gli unici luoghi in cui possono ottenere rappresentanti eletti, le elezioni europee e il suo Parlamento forniscono ai leader del partito risorse simboliche (visibilità, notorietà, legittimità, statura internazionale) e risorse materiali (tempo e compensi che consentano la formazione e il sostegno di squadre) per diventare professionisti politici. Senza che questa strategia sia accompagnata da un reale investimento nell’attività parlamentare.
Dal rifiuto al desiderio di controllo
Discorsi virulenti contro l’Unione, forte investimento strategico nelle elezioni, scarsa partecipazione alla vita parlamentare europea: questa trinità di comportamenti dell’estrema destra occidentale, tuttavia, sembra, negli ultimi anni, trasformarsi. La ragione?
“La stragrande maggioranza dell’opinione pubblica afferma il proprio attaccamento all’Unione europea e all’euro, soprattutto dopo la crisi del debito sovrano nel 2010”, giudica
Cécile Leconte. Già consapevoli che, anche tra i loro sostenitori, la questione dell’uscita dall’UE crea divisioni, i partiti di estrema destra stanno iniziando ad aggiungere acqua al loro vino.
Una dinamica che il voto (nel 2016) e poi l’attuazione della Brexit (nel 2020) non faranno altro che accentuare, potendo tutti constatare le difficoltà organizzative e le significative conseguenze economiche del divorzio britannico dall’UE. Di conseguenza, la maggior parte dei partiti dell’ovest del continente che volevano lasciare l’Europa stanno rivedendo la propria posizione, spiega
Marlène Laruelle, storica e professoressa alla George Washington University: “
L’estrema destra dell’Europa occidentale che pensava che l’Europa di Bruxelles doveva essere distrutta per ricostruire qualcos’altro. Hanno poi capito che la strategia dei loro omologhi centroeuropei era quella giusta. Vale a dire che non si tratta di andare contro il progetto europeo, ma di prendere il controllo dell’UE e cambiarla dall’interno.»
La ricercatrice non esita a parlare di
“rivoluzione copernicana dell’estrema destra”, poiché il rifiuto del sovranazionalismo ne ha finora costituito la base ideologica comune.
Valentin Behr, politologo, è d’accordo:
“Se ci sono sempre stati gruppi, club, think tank, pubblicazioni in cui questi attori hanno dibattuto la questione del sovranazionalismo, l’approccio consistente nel dire che l’UE può essere un livello utile è un’idea che ha guadagnato terra molto più recentemente.»
Un cambio di approccio è reso ancora più facile a partire dal 2019 in Francia e in Italia, essendo l’estrema destra arrivata prima alle elezioni europee, con un numero considerevole di rappresentanti eletti al Parlamento europeo. “
Ora che hanno capito che costituiscono una forza elettorale sufficiente per poter influenzare il Parlamento e gli affari europei, questi partiti hanno tutto l’interesse ad investirla poiché non si trovano più in una situazione di totale opposizione: possono agire dall’interno", continua
Marlène Laruelle. Ma questo reinvestimento strategico da parte dell’Unione è accompagnato dalla formulazione di un vero progetto europeo? Agli occhi della ricercatrice, l’“Europa delle nazioni” evocata da alcuni ideologi e attori politici prosegue riflessioni più antiche:
“Questo progetto si basa su nazionalismi locali – lo Stato nazionale ha quindi ancora un senso – a cui si sovrappone un’Europa paneuropea”. , identità etnica bianca e cristiana.»
Formulato diversamente dai vari movimenti, si basa tuttavia su temi comuni che permettono di prevedere come sarebbe un’Europa di estrema destra. Il primo di questi temi è
il nativismo, una sorta di combinazione tra nazionalismo e xenofobia:
“Il nativismo presuppone dire che gli stati e le nazioni devono essere abitati esclusivamente da membri del gruppo originario – che l’estrema destra francese chiama ad esempio i “nativi francesi”, dice
Perine Schir. Gli elementi non indigeni, cioè stranieri, siano essi persone o addirittura idee, costituiscono quindi una minaccia fondamentale per uno Stato nazionale percepito come omogeneo".
Presente in forme adattate ai contesti locali in ciascuno dei partiti europei di estrema destra, questo nativismo legittima l’attuazione della legislazione volta a “chiudere le frontiere” dell’Europa.
Fratture sulla questione ucraina
Ma la Fortezza Europa non è l’unica conseguenza del progetto nativista, sottolinea
Périne Schir:
“Una volta definito cosa fosse il gruppo indigeno, il passo successivo è promuovere la riproduzione e la conservazione di questo gruppo: è la difesa della famiglia tradizionale, in cui le donne hanno una missione biologica da compiere più importante delle loro aspirazioni individuali per garantire la sopravvivenza e la riproduzione della nazione: devono avere figli.» Nell'Europa di estrema destra i diritti delle donne, i diritti LGBT o la messa in discussione di una visione di genere della società sono quindi considerati superflui, persino pericolosi.
Questa Europa si distingue, infine, per le sue tendenze autoritarie.
“Gli interessi profondi di ciascuno di questi gruppi stanno infatti convergendo attorno all’idea della cosiddetta democrazia “illiberale” – dove un partito che è arrivato democraticamente al potere inaridisce gradualmente il pluralismo e i contropoteri, sul modello di Viktor Orban in Ungheria", analizza
Périne Schir. Delegittimando la separazione dei poteri, il governo dei giudici, la giustizia internazionale, questo tipo di discorsi e di pratiche rendono possibili soluzioni politiche antidemocratiche, pur negandole, spiega
Valentin Behr: “La convinzione che l’Occidente sarebbe assediato e minacciato di declino giustifica, secondo loro, il ricorso allo stato autoritario di fatto per restaurare la sua grandezza.»
Le diverse destre estreme europee, anche se lavorano più fianco a fianco, non formano ancora un fronte unito e talvolta hanno progetti diversi per l’Europa.
La prima di queste fratture si trova nel posizionamento geopolitico degli attori, in particolare nel loro modo di considerare la questione ucraina.
“Secondo me, in fondo, è la questione del rapporto con la democrazia che si pone con questa guerra”, analizza
Cécile Leconte.
Se i filo-russi vogliono un modello di Europa autoritario, illiberale o addirittura totalitario (visto che alcuni specialisti ritengono che la Russia sia sulla via della totalitarizzazione), gli attori di estrema destra che sostengono l’Ucraina, come Giorgia Meloni, vogliono un’Europa certamente intergovernativa, indifferente all’unione dei popoli, ma un’Europa ancorata alle organizzazioni di cooperazione occidentali” – che pretendono di essere una democrazia liberale.
Una lettura però disturbata dall’opportunismo dei protagonisti su questi temi, che restano relativamente secondari rispetto all’obiettivo di esercitare il potere su scala nazionale.
Un altro elemento di divergenza riguarda l’interesse nazionale di ciascuna parte.
“Se, ad esempio, Giorgia Meloni ha ammorbidito il discorso molto antieuropeo avanzato dalla Lega qualche anno prima, è anche perché ha bisogno della solidarietà europea, sia le questioni migratorie che quelle finanziarie", osserva
Cécile Leconte. Questo pragmatismo delinea infatti una sorta di divario Nord-Sud nel posizionamento nei confronti dell’Ue, alimentato dallo “sciovinismo assistenzialista” dei partiti di estrema destra germanici e nordici, poco propensi a condividere le posizioni austriache, tedesche o olandesi. e i soldi dei contribuenti con Italia, Spagna o Grecia. Una forma di xenofobia nei confronti dei Paesi del Sud Europa che tradisce, secondo la ricercatrice, la mancata adesione all’idea stessa di identità europea.
Queste sono, in definitiva, le due possibili Europe che stanno emergendo nell’estrema destra. La prima, sostenuta in particolare dai membri del gruppo dei
Conservatori e Riformisti Europei (CRE), implica certamente una riduzione dei poteri dell’Unione, ma non la sua fine: ultraconservatrice, la loro Europa è intergovernativa, economicamente liberale e restrittiva in termini di immigrazione. .
"Questi partiti mi sembrano diversi da quelli che mantengono sempre la possibilità di uscire dall'Unione come ultima risorsa", considera
Cécile Leconte. Questi ultimi, per lo più membri del gruppo Identità e Democrazia [ID] al Parlamento europeo, non sono compatibili con l’Unione così come esiste attualmente, perché, fondamentalmente, il RN francese, l’AfD tedesco o l’FPÖ austriaco non credono in una costruzione europea identità.»
Pur se alcuni non affermano più a gran voce di voler lasciare l'Unione, su questo punto i programmi restano ambigui:
"L'Europa del RN si riduce essenzialmente alla lotta contro l'immigrazione e ignora il principio di non discriminazione basata sulla nazionalità (di merci, imprese, lavoratori), fondamento del mercato interno europeo: è un’Europa completamente “à la carte” che disfa l’UE così come è stata progettata e costruita finora”, conclude
Cécile Leconte. Resta da vedere quale gruppo sarà nella posizione migliore, all'indomani delle elezioni del 9 giugno, per realizzare il suo progetto.
(Marion Dupont su Le Monde del 31/05/2024)