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... e (tre) padri
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 giugno 2005 0:00
 
Le tre poesie sul "padre", che trascrivo qui con qualche riga d'introduzione, sono presentate in ordine di comparizione alla mia conoscenza.
Per primo, dalle innocue pagine di un'antologia scolastica sfogliate alla ricerca di un brano da assegnare agli alunni, baleno' fuori questa autentica saetta rivelatrice del "terzo sonetto" dell' Autobiografia di Umberto Saba; il desiderio di approfondire la conoscenza dei poeti contemporanei di allora (parlo di piu' di 30 anni fa) mi fece incontrare quella sorta di lettera aperta che Salvatore Quasimodo aveva scritto non tanti anni prima "Al padre" novantenne; e infine, dono, del quale non ricordo la mano che me lo porse, il "Padre, se anche..." di Camillo Sbarbaro, che, comunque, secondo me, con la semplicita' del poeta e di suo padre, chiude splendidamente questo viaggio nella complessita' dell'anima umana.

1. UMBERTO SABA (Trieste 1883 - Gorizia 1957)

Umberto Saba nacque il 9 marzo 1883 a Trieste, che allora apparteneva all'impero austro-ungarico, da Rachele Felicita Coen e Ugo Edoardo Poli. La madre era ebrea e, come la maggior parte dei triestini, di cittadinanza austriaca. Il padre era invece di cittadinanza italiana ed era cristiano. Per sposarsi con Rachele, il 2 luglio 1882, Ugo Edoardo si era dovuto convertire all'ebraismo, diventando Ugo Abramo, ma c'e' da dire che questa "conversione" rientrava in un contratto di matrimonio che prevedeva il pagamento di 4.000 fiorini da parte della famiglia della sposa (per le scarne notizie che si hanno, infatti, Ugo Poli era uno sp iantato, mentre la famiglia di Rachele aveva un commercio modesto, ma bene avviato). Una terza differenza fra i due sposi concerne l'eta': quando si sposarono, Rachele aveva 37 anni, Ugo 29. Il cognome di nascita del poeta fu dunque "Poli"; dal padre eredito' anche la cittadinanza italiana, mentre, in quanto ad appartenenza a una religione "costituita", non risulta essere stato ne' battezzato ne' circonciso (anche se si sposo', a sua volta, secondo il rito ebraico e, al tempo delle leggi razziali, specialmente dopo il 1940, senti' sul collo il fiato della persecuzione).
Ad acuire tutte queste differenze radicate nella storia personale dei due sposi, sembra sia entrata anche la STORIA. Ugo Poli doveva infatti essere impegnato nell'ideale politico dell'irredentismo, che voleva togliere Trieste all'Austria e unirla all'Italia, e in una perquisizione della sua vecchia casa, nel maggio 1883, con i ritratti dei reali italiani, fu scoperto quello ancor piu' compromettente di Guglielmo Oberdan, che era stato impiccato pochi mesi prima (dicembre 1882) perche' stava preparando un attentato contro l'imperatore Francesco Giuseppe. E' probabile che Ugo Poli venisse obbligato dalla polizia ad andarsene da Trieste. Fatto sta che egli spari' dalla vita della moglie e del figlio di due mesi e non si fece piu' vivo, finche', dopo vent'anni, rintraccio' Umberto a Milano o a Bologna per chiedergli un aiuto economico, che non ottenne.
Questo e' lo sfondo materiale sul quale si intesse l'esperienza psicologica e morale del figlio abbandonato, che viene rielaborata poeticamente, dopo altri vent'anni dall'incontro col padre, nel

SONETTO TERZO dell'AUTOBIOGRAFIA (1924)

Mio padre e' stato per me "l'assassino",
fino ai vent'anni che l'ho conosciuto.
Allora ho visto ch'egli era un bambino,
e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Ando' sempre pel mondo pellegrino;
piu' d'una donna l'ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero: mia madre
Tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggi' come un pallone.

"Non somigliare - ammoniva - a tuo padre".
Ed io piu' tardi in me stesso lo intesi:
Eran due razze in antica tenzone.

(Da: UMBERTO SABA, Antologia del canzoniere, Einaudi, Torino 1963, p. 100)


2. SALVATORE QUASIMODO (Modica 1901 - Napoli 1968)

La poesia Al padre fa parte di La terra impareggiabile, una raccolta che contiene poesie scritte fra il 1955 e il 1958, anno della sua pubblicazione (l'anno successivo Quasimodo ricevera' il "Premio Nobel" per la letteratura). L'inizio della poesia ci trasporta tra le rovine di Messina, dove il padre, Gaetano, capostazione, era stato trasferito subito dopo il devastante terremoto del 28 dicembre 1908. Salvatore Quasimodo, il padre, l'ha conosciuto e ne ha sentito la vicinanza; e' stato, semmai, lui, il figlio, ad allontanarsi, forse anche interiormente dal padre -certo fisicamente dalla Sicilia, e per sempre, almeno dal 1930 (dal 1934 risiedera' a Milano).

AL PADRE

Dove sull'acque viola
era Messina, tra i fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da tre giorni, e' dicembre d'uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele disseccate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verita' e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubo' la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giu'
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po' piu' in la' dell'odio e dell'invidia.
Quel rosso sul tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d'aquila.
E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
cio' che non potevo un tempo - difficile affinita'
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del Biviere, agavi, lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
«Baciamu li mani». Questo, non altro.
Oscuramente forte e' la vita.

(da SALVATORE QUASIMODO, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969 (Oscar), pp 219-220)


3. CAMILLO SBARBARO (Santa Margherita Ligure 1888 - Savona 1967)

La poesia che propongo, "Padre, se anche.", fu pubblicata per la prima volta nella raccolta Pianissimo del 1914. Altre poesia Sbarbaro dedico' piu' tardi al padre ormai vecchio, poesie che esprimono il dolore per la decadenza del genitore e l'amarezza per la sorte riservata all'essere umano in generale. Ma in questa e' fermata la magia di un uomo che sa stare coi figli bambini con la sua candida semplicita'.
Di questa poesia esiste una seconda versione, del 1954, anno in cui Sbarbaro ripubblico' la raccolta con delle modifiche. Le differenze non sono poi molte, anche se certamente hanno un significato profondo per il poeta, ma io preferisco la versione originale anche dal punto di vista della resa poetica (nella nota segnalo le differenze tra le due versioni).

PADRE, SE ANCHE ..

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso, egualmente t'amerei.
Che' mi ricordo d'un mattin d'inverno
che la prima viola sull'opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella, mia piccola ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
(la caparbia avea fatto non so che)
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura, ti mancava il cuore:
che' avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillante l'attiravi al petto
e con carezze dentro le tue braccia
avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch'era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini gia' tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

(testo trovato su Internet)


NOTE
A proposito di SABA: le informazioni qui riferite sono tratte dal libro di STELIO MATTIONI, Storia di Umberto Saba, Camunia, Milano 1989.
In Storia e cronistoria del Canzoniere, una guida alla poesia di Saba scritta dal poeta stesso in terza persona, egli riporta per intero il sonetto qui presentato dicendo, fra l'altro, che condensa "tutta la sua storia familiare e razziale", e anche che "e' ad un tempo individuale e universale" (Storia e cronistoria del Canzoniere, Mondadori, Milano 1977, pp. 147-149).
(Per altre informazioni su Umberto Saba vedere le note contenute a questo indirizzo: clicca qui ).

A proposito di SBARBARO: elenco di seguito le differenze tra le due versioni della poesia "Padre, se anche.".
I primi tre versi: " Padre, se anche tu non fossi il mio/padre, se anche fossi a me un estraneo,/per te stesso, egualmente t'amerei", sono sostituiti dai seguenti: "Padre, se anche tu non fossi il mio/ padre,/ per te stesso, egualmente t'amerei".
All'ottavo verso: " Poi la scala di legno tolta in spalla" diventa: "E subito la scala tolta in spalla".
Versi 10-13: "Noi piccoli stavamo alla finestra/ E di quell'altra volta mi ricordo/che la sorella, mia piccola ancora,/ per la casa inseguivi minacciando/(la caparbia aveva fatto non so che)" e' cambiato in: "Noi piccoli dai vetri si guardava./ E di quell'altra volta mi ricordo/che la sorella, bambinetta ancora,/ per la casa inseguivi minacciando".
Versi 17-22 : " che' avevi visto te inseguir la tua/piccola figlia e, tutta spaventata,/tu vacillante l'attiravi al petto/e con carezze dentro le tue braccia/avviluppavi come per difenderla/ da quel cattivo ch'era il tu di prima" sono cambiati in: "t'eri visto rincorrere la tua/piccola figlia e, tutta spaventata,/ tu vacillando l'attiravi al petto/ e con carezze la ricoveravi/ tra le tue braccia come per difenderla/ da quel cattivo ch'eri tu di prima".
Infine la chiusura e' semplificata, come in una dissolvenza, e diventa: " Padre, se anche tu non fossi il mio/ padre..."
 
 
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