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Australia. Doppia condanna per eutanasia
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Articolo di Marco Bazzichi
22 giugno 2008 0:00
 
Omicidio con attenuanti: a tanto si è spinta la Corte Suprema del New South Wales che non ha avuto clemenza nei confronti delle due donne che hanno aiutato Graemw Wylie a ricorrere all'eutanasia all'età di 71 anni, nella sua casa di Wydney nel 2006. Wylie era affetto da tempo da Alzheimer e costretto a letto da spasmi e dolori atroci. Il suo decesso è stato provocato da una overdose di barbiturici, acquistati in Messico come consigliato dall'associazione Exit international.
Le due donne sono state riconosciute colpevoli esattamente di "manslaughter". Un omicidio ancorché volontario può essere considerato di minor gravità in considerazione delle circostanze in cui viene commesso. In questo caso viene considerato come un reato distinto ed è denominato manslaughter. Esso costituisce un reato diverso dall'omicidio di cui non può essere in alcun modo considerato una diversa gradazione.
Dopo il verdetto, il giudice Roderick Howie ha rilasciato le due donne in attesa delle motivazioni della sentenza che si sapranno ad ottobre. Shirley Justins, di 59 anni, e Caren Jenning, di 75, rischiano fino a 25 anni di prigione. Inutilmente, hanno richiesto che fosse riconosciuta loro la colpa di suicidio assistito, che comporta una condanna massima di 10 anni.
Il dottor Philip Nitschke, attivista che si batte per il diritto all'eutanasia, si è detto sconcertato dalla sentenza. Durante il processo, Nitschke, che aveva reso visita a Wylie poco prima del decesso, ha parlato in favore delle donne, rincarando la dose fuori dal tribunale: la sua organizzazione Exit spiegherà alle persone coinvolte nella medesima situazione ad aggirare le gravi conseguenze di questa sentenza.
Ma il verdetto non ferma Nitschke, che annuncia di non voler modificare le linee guida per l'assistenza al suicidio della sua associazione.
"E' molto difficile dire ad una persona che si rivolge a te: 'Guarda, mi dispiace ma dobbiamo fermarci, e stiamo rivedendo tutte le nostre procedure'", ha detto il medico durante una conferenza stampa con la figlia di Jennings.
"Stiamo sempre fornendo tutte le informazioni...ma diremo alla gente di fare in fretta. E nel caso di una persona affetta da Alzheimer, questo significa muoversi piu' rapidamente, e quindi togliersi la vita prima che esca fuori la questione dell'incapacita' mentale".
Kate Jenning, la figlia di una delle donne condannate, ha criticato il verdetto ed ha detto che sua madre ha solo aiutato un caro amico a togliersi la vita.
"Certamente il farmaco non e' stato somministrato a qualcuno che non voleva morire", ha detto. "Aveva provato a suicidarsi diverse volte. Era un uomo molto dignitoso che mia madre conosceva da 30 anni. Forse lei era la sua migliore amica".
Jennings e' affetta da cancro alle ossa in fase terminale e secondo i medici non arrivera' adottobre, quando sara' emessa la sentenza.
Alla domanda su cosa abbiano fatto di sbagliato le due donne, Nitschke ha risposto: "Si parla di persone disperate in circostanze disperate che commettono errori. Con il senno di poi, perche' non ha cambiato il suo testamento mesi prima (invece di una settimana prima della morte, ndr)? Perche' non ha lasciato neanche una lettera in cui dichiarava la sua intenzione di togliersi la vita...perche' non e' andato in Messico? Avrebbe potuto morire in Messico senza violare alcuna legge. Potrebbe essere andato la, comprato il Nembutal, per andare poi ad Acapulco ed avere una morte indolore".

 
 
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