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Gli errori della consulenza finanziaria attuale
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Articolo di Nicola Zanella
2 dicembre 2009 14:38
 
Spesso i consulenti finanziari propongono ai loro clienti di investire in azioni o in altri strumenti rischiosi e quindi dal rendimento atteso (richiesto) maggiore dei più sicuri bond statali, se la ricchezza finanziaria a disposizione non è sufficiente a raggiungere determinati obiettivi finanziari in termini di euro e se si prevede di non poter aumentare l’attuale tasso di risparmio.
Il ragionamento è il seguente: dopo aver stabilito un obiettivo finanziario futuro da raggiungere, si calcola se tale capitale, investito nell’attività priva di rischio, ossia che permette di raggiungere un obiettivo con il minimo rischio, è sufficiente per ottenere alla fine del piano d’investimento il target prestabilito.
Nella quasi totalità dei casi, se i rendimenti dell’attività risk-free non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo stabilito, allora l’esperto di turno consiglia all’investitore di aumentare la propria esposizione al rischio, dovendo investire ad esempio in strumenti come le azioni, in grado di ottenere, se le cose vanno bene, rendimenti nominali/reali maggiori. Infatti, grazie all’investimento in azioni si coglie l’opportunità, in teoria, di poter raggiungere un determinato target finanziario, improponibile per strumenti molto meno rischiosi. Tutto giusto? Non proprio.
Il punto, che sfugge a molti, è che comunque ex-ante non è possibile abbassare il costo di raggiungere un determinato obiettivo prendendosi dei rischi aggiuntivi rispetto all’investimento al tasso privo di rischio.
Facciamo un esempio. Immaginate di aver bisogno tra 10 anni di 500.000 euro e che il rendimento di una obbligazione senza cedola decennale emessa dallo Stato sia pari al 2%. Il costo necessario per raggiungere questo obiettivo è pari a: 500.000/(1,02)^10, cioè a 410.174 euro. Questa è la somma necessaria per avere 500.000 euro tra 10 anni.
Come si può fare se i risparmi sono inferiori a questa cifra? È possibile abbassare questo costo investendo in azioni?
Se si investisse 410.174 euro in azioni e tra 10 anni si avesse un valore finale di 668.130 euro, il rendimento ex-post sarebbe pari al 5%, grazie al fatto di accettare un rischio maggiore a quello dell’investimento nell’obbligazione zero-coupon.
Dunque, se si ipotizzasse un rendimento futuro del 5% per le azioni, per avere 500.000 euro tra 10 anni sarebbero necessari 306.957 euro, cifra di cui si potrebbe disporre.
Avrebbe dunque senso investire in azioni questi 306.957 euro per riuscire ad avere 500.000 euro tra 10 anni?
La risposta è negativa: infatti investendo 306.957 euro in azioni si potrebbe ottenere tra 10 anni molto meno di 500.000 euro, dato che il rendimento del 5% delle azioni non è garantito.
Per tale motivo, è un’illusione ed un grave errore pensare di poter abbassare il costo di un target futuro investendo in strumenti più rischiosi ad esempio dei bond statali senza cedola. Il fatto di investire in azioni piuttosto che in bond privi di rischio, ossia di assumersi il rischio tipico dell’investimento azionario (rischio sistematico o non diversificabile) può modificare solamente i futuri risultati dell’investimento, non il valore attuale del costo dell’investimento, cioè quello ex-ante.
Per tale motivo non ha alcun senso sviluppare un piano di investimento con funzione previdenziale confidando sui rendimenti attesi delle azioni, sicuri che il target stabilito venga raggiunto nel preciso momento del futuro in cui se ne ha bisogno, ossia alle pensione, dato il tasso di risparmio attuale.
Purtroppo, se l’obiettivo che ci si è posti è troppo alto da poter raggiungere dato il tasso risk-free, l’unica soluzione è quella di ridimensionare le nostre ambizioni.
Questa è la prima fallacia della consulenza finanziaria attuale, cioè scambiare un rendimento atteso per un ritorno garantito.

Dire che in media il rendimento delle azioni è stato del 5% o che il rendimento atteso è del 5% non significa che nei prossimi 10 anni il ritorno più o meno si è aggirato o aggirerà intorno a questo valore.
Data una volatilità del 20% e una distribuzione normale, il 95% dei ritorni annualizzati possibili sarebbe compreso nell’intervallo (-1,32%;+11,32%).
Non conviene dunque investire in azioni se l’obiettivo è quello di avere una determinata somma in un preciso momento del futuro, sperando che le azioni siano la risposta ad un’insufficiente capitale.
Purtroppo l’attuale paradigma a livello internazionale vuole che le azioni siano rischiose nel breve periodo, ma sicure o sempre meno rischiose nel lungo termine. Per tale discutibile affermazione, la maggioranza degli addetti ai lavori e il 100% dei software presenti nei siti finanziari sia in Italia che nel resto del mondo, consiglia un’allocazione sbilanciata verso le azioni se l’orizzonte temporale a disposizione è lungo (es. 10-20 anni), indipendentemente dalla propria avversione al rischio. Come se un orizzonte temporale lungo davanti a sé implicasse una maggiore propensione al rischio!
Al contrario, si può essere avversi al rischio e avere un arco temporale di investimento molto lungo. Come si può essere propensi al rischio in generale, avere un orizzonte temporale lungo e comunque non potersi permettere di investire in strumenti finanziari come le azioni.
È un approccio finanziario che Zvi Bodie, professore di finanza alla Boston University e uno dei massimi esperti al mondo di pianificazione pensionistica, autore di Investments, libro adottato dalle più prestigiose università al mondo e di Worry-free investing, testo in cui consiglia un portafoglio pensionistico composto al 100% da bond indicizzati all’inflazione, contesta da almeno tre decenni, proprio come Paul Samuelson, il maggior economista del novecento insieme a Milton Friedman e premio Nobel per l’economia.
Ad esempio, ai giovani che entrano solo ora nel mondo del lavoro e con un lavoro non dipendente, è probabile che la quasi totalità dei consulenti consigli loro di investire una quota preponderante del portafoglio previdenziale in azioni, date i bassi livelli di sostituzione che li attendono in futuro.
Però è solo grazie ad una stima elevata (probabilmente erronea) dell’equity premium futuro che il consulente consiglia di investire anche o solamente in azioni per il lungo termine ed esiste perciò la possibilità di riuscire a raggiungere un determinato target anche con un capitale a disposizione o un tasso di risparmio attuale che sarebbe insufficiente dati i rendimenti degli strumenti risk-free.
Ironicamente, ma neanche poi tanto, date le sempre più basse pensioni che lo Stato fornirà in futuro, a sempre più lavoratori sarà consigliato di investire in strumenti dal rendimento atteso elevato, quali le azioni, che però non potranno assumersi il rischio tipico dell’investimento azionario. Molti infatti, visti i magri assegni pubblici, non potranno rischiare di perdere nemmeno un euro dei loro risparmi; ossia, se si verrà consigliati di investire in azioni per raggiungere un determinato livello di ricchezza o di rendita alla pensione, significherà che non ci si potrà permettere di investirvi!!
Semplicemente, perché così facendo ci si espone alla possibilità di perdere, in termini nominali/reali, parte dei risparmi che devono integrare la pensione. Non può che essere così: un lavoratore che stima di avere bisogno al momento della pensione di una ricchezza finanziaria molto più elevata di quella attuale, non può assumersi il rischio di avere invece un capitale in termini reali/nominali minore di quello a disposizione ora. Fatto, questo, più che possibile investendo in strumenti dal rendimento incerto.
L’investimento in azioni o in altri strumenti finanziari dal rendimento incerto non può e non deve essere considerato la soluzione del problema pensionistico.
Per tutti coloro che non possono permettersi di perdere, lo strumento più sicuro per traghettare i propri risparmi nel corso del tempo, non è certamente l’investimento in azioni.
Formuliamo ora la seconda fallacia della consulenza finanziaria attuale. Prendiamo la seguente argomentazione: le azioni sono strumenti dall’alto rendimento atteso. Gli strumenti finanziari con alti rendimenti attesi sono fondamentali per il raggiungimento di target finanziari futuri ambiziosi, ossia irraggiungibili attraverso investimenti più sicuri. Dunque le azioni sono adatte per raggiungere tali eventuali obiettivi finanziari.
La premessa di questa argomentazione ne implica anche la conclusione. Infatti, dando per scontato fin dalla partenza che le azioni sono strumenti finanziari dall’alto rendimento atteso, è ovvia anche la conclusione, ossia che le azioni sono adatte ad esempio al raggiungimento di obiettivi finanziari irraggiungibili con gli investimenti risk-free.
Non si dovrebbe però presupporre che le azioni abbiano un rendimento atteso molto elevato, in quanto non è affatto pacifico che le azioni debbano rendere molto più dei bond; al contrario si dovrebbe portare delle prove a sostegno di questa affermazione, cioè si dovrebbe spiegare perché si stima un tale rendimento in eccesso nello specifico periodo di investimento che interessa al singolo lavoratore/risparmiatore che viene consigliato ad allocare in tal modo il proprio portafoglio previdenziale. E quando si inizia a discutere di equity premium (puzzle) la questione è tutt’altro che semplice: chi ha davvero studiato questo topic finanziario sa bene quanto questa stima sia sfuggente, nonostante sia la più ricercata in ambito finanziario.
Questo dunque è il ragionamento circolare che molti consulenti finanziari sono soliti commettere e che rappresenta la seconda fallacia della consulenza finanziaria attuale, cioè dare per scontato che l’equity premium futuro che ci si può attendere investendo in azioni sia molto alto, ad esempio pari al 6%. Chiariamo che un equity premium alto o basso fa tutta la differenza del mondo ovviamente: se le azioni hanno un rendimento atteso dell’8,5% con una volatilità del 18% e i bond un rendimento del 2,5%, la probabilità di shortfall in un periodo di 30 anni, ossia la probabilità che le azioni rendano meno dei bond è del 3,4%; se le azioni invece hanno un rendimento atteso più basso, ad esempio del 3,5%, ossia un equity premium dell’1%, la probabilità di shortfall è del 38%. Decisamente una bella differenza, tanto da decidere di non investire in azioni.
Se incontrerete in futuro un consulente finanziario che vi consiglia assolutamente di investire in azioni per il lungo periodo, perché ad esempio convinto che un portafoglio ben diversificato di azioni internazionali sia in grado da qui a 30 anni di offrire un rendimento reale molto superiore a quello dei bond indicizzati all’inflazione statali, chiedetegli di garantirvi per iscritto quanto sostiene, obbligandolo a pagarvi la differenza tra montante finale assicurato da un BTPei e il valore finale del portafoglio di azioni da lui consigliato, nel caso poco probabile (impossibile forse per il consulente) di shortfall delle azioni, ossia nel caso le azioni abbiano un rendimento reale minore di quello dei bond indicizzati all’inflazione.
Ecco, vedrete in quanto poco tempo, direi pochi secondi, il consulente cambierà opinione e vi consiglierà di investire in titoli di stato indicizzati all’inflazione.
Cercasi consulente finanziario, con sufficienti capitali, disponibile all’accordo.

Nicola Zanella si occupa di ricerca finanziaria. Ha fondato il sito www.bondreali.it I suoi interessi di ricerca sono: la teoria dei mercati efficienti, la finanza comportamentale, l’equity premium e l’equity premium puzzle, la prevedibilità delle serie azionarie, l’effetto di diversificazione temporale delle azioni, l’asset allocation e le obbligazioni indicizzate all’inflazione. Può essere contattato all’indirizzo E-mail: n.zanella (c-h-i-o-c-c-i-o-l-a) aduc (p-u-n-t-o) it, oppure usando la form

 
 
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