La fiducia è una forma particolare delle relazioni sociali. Se ne occupano seriamente in molti, sociologi, antropologi, politologi. Alcuni ne fanno abuso, offendendo la buona disposizione dei meno accorti. Imprese economiche e attori del marketing dovrebbero essere esclusi dalla categoria degli approfittatori, anche se spesso sembra il contrario. Nel mondo della correttezza il marketing avrebbe il compito non di vendere a tutti i costi, ma di aumentare il benessere della collettività, cioè di mettere d’accordo al meglio gli obiettivi dei produttori e dei consumatori. Sarebbe suo compito diffondere fiducia.
La nozione di fiducia è facile da definire in astratto meno facile da studiare nel concreto, fondamentalmente perché della fiducia non esiste l’unità di misura e, quindi, non è facile esprimerla in termini quantitativi. La fiducia non è un oggetto misurabile e non si vende o si compra un tanto al chilo.
La fiducia gioca un ruolo fondamentale ogni volta che si ha a che fare con il cosiddetto fattore umano, sia in ambienti dove conta di più la tecnologia, sia in quelli dove conta l’organizzazione. Gli esseri umani, le persone, sono elementi importanti ogni volta che le relazioni tra persone sono inevitabili per organizzare un qualsiasi sistema funzionante. Per esempio, sono sistemi organizzati sia gruppi di lavoro per la produzione sia mercati per lo scambio di beni e servizi. I mercati funzionano come relazioni tra persone, semplificando si può anche dire che sono relazioni tra chi vende e chi compra. Nessuno scambio sarebbe possibile se le due parti, di fatto, non si scambiassero fiducia. Ma allora che cos’è la fiducia?
La fiducia è una volontaria esposizione al volere di un’altra persona, nella consapevolezza che l’altro non abbia cattive intenzioni. La fiducia assume valore (ha valore) quindi nelle relazioni interpersonali.
E le persone – almeno finora – mostrano di avere maggiore fiducia in altre persone e non semplicemente in più o meno complessi apparati tecnologici. In altre parole, la fiducia è l’espressione di una confidenza nella sincerità di una persona o di un sistema mentre siamo in attesa di qualche risultato o di un evento non ancora avvenuti. Se la persona è sincera si può avere fiducia che quello che ci aspettiamo avverrà senza sorprese.
Due fatti al momento sembrano problematici. I mercati oggi sono più aperti e complessi che in passato, per cui gli altri di cui occorre avere fiducia non appartengono più e solo a una comunità locale, ma sono più o meno distanti e non raggiungibili direttamente. In più, siamo chiamati ad avere fiducia per le capacità molto astratte di alcune istituzioni moderne, magari localizzate a Bruxelles o a Washington.
Tre sono le forme di fiducia: esperienziale, caratteristica, istituzionale. La prima si fonda su esperienze relazionali provate in passato. La seconda ci induce a credere che i caratteri manifesti di una persona confermino la sua affidabilità. In qualche misura ci aspettiamo che un medico sia vestito da medico e un pilota di formula indossi una tuta e un casco. La fiducia istituzionale è quella ispirata da enti formalmente organizzati come l’Università, la Scuola, il Comune, la Regione, i Ministeri. La fiducia immediata è relazionale e personale, quella mediata è istituzionale e impersonale.
Per essere sicuri di qualcosa, occorre toccare con mano si diceva tempo addietro o, perfino, non ci credo se non ci metto il naso. Tommaso non si fidava neppure del Cristo trafitto dalla lancia. I consumatori dovrebbero imparare da questo santo.
In ogni caso la fiducia è un modello cognitivo che ci consente di risparmiare la quantità di informazioni da raccogliere prima di prendere una decisione, semplicemente chiedendo a un amico sincero. Il problema è che chi opera nel marketing lavora e studia queste cose ma il consumatore non ha tempo e modo di farlo con lo stesso accanimento. Questo è il vero problema, l’asimmetria abissale tra produttori e consumatori nella quantità di risorse spese per acquisire informazione.
Infine c’è il problema dei marchi. Un marchio è una costruzione mentale basata su tantissimi elementi che influenzano a diverso titolo la percezione di un prodotto o di un servizio. Un brand non è altro che questo, un marchio che corrisponde a un’idea puramente simbolica di un oggetto il cui valore percepito dipende più dal brand che dalla qualità materiale, o chimico-fisica che dir si voglia. Un brand di una merce vive solo nella mente dei consumatori e non ha niente a che vedere né con i loghi né con le etichette. Un brand è – di fatto – la reputazione che i consumatori attribuiscono ai beni o servizi forniti da un’azienda. Un brand è un insieme molto complesso e fluttuante di nome, segno, simbolo, slogan combinati ai pregiudizi fiduciari che i consumatori attribuiscono ai beni e alle imprese. Insomma, la qualità non esiste se non nella mente di chi compra. Proprio per questo i consumatori possono aumentare il potere di mercato confermando o smentendo con i propri comportamenti di acquisto le relazioni tra marchio e qualità materiale del prodotto.
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