Dopo un vivace dibattito se si doveva dire Franco-Italiano oppure Italo-Francese, con l’auspicio dei Santi del Paradiso fu firmato il
Grande Trattato del Quirinale, con il quale tutti i cugini di qua e di là delle Alpi si trovarono d’accordo. I Paladini Draghi e Macron, vestiti d’azzurro e celeste, dissero: «Italia e Francia più vicine». I giornali scrissero sui temi bilaterali cui faceva riferimento il Trattato: dalla politica europea a quella internazionale, difesa, sicurezza, e ancora economia, industria, spazio, transizione ecologica e digitale, cultura, giovani. Ma s’erano dimenticati le salsicce, i salami e i formaggi, saperi e sapori, come si dice,
territorio contro
terroir, eccellenze sia italiane che francesi. I vini, poi non se li dovevano proprio dimenticare. Contro le bollicine sovraniste dello champagne nelle regioni italiane volavano tappi sospinti dallo spumante italico.
Gli Italiani si inventarono anche un vino verde per avere il tricolore con il bianco e il rosso. Alcuni di destra estrema ribattezzarono come vino nero il vino rosso, accusato di simpatie bolsceviche.
La rivalità tra cugini riprese piano piano, sotto sotto, prima con sussurri poi inesorabilmente con alte grida ad agitare commensali, i mercatanti a chilometro zero, ristoratori localissimi, che si scoprirono Italici Paladini del vanto culinario e del made in Italy. Fatto in Italia fu scartato dai proibizionisti antidrogati. Tutti invocavano uno scontro in armi (
coltelli e forchette) tra Francia e Italia. Si addivenne a un accordo che prevedeva una sfida in pieno campo tra Paladini dell’Eccellenza. Passò alla storia come la famosa Disfida di Forchetta.
Chi vinceva avrebbe invaso le tavole avversarie con i propri prodotti sovrani. I Campioni in arme erano pronti alla battaglia. A capo dei Paladini italiani fu resuscitato
Ettore Fieramosca, mentre i Francesi riesumarono il capitano
Charles de Torgues, lo rimpinzarono di foie gras e lui si riprese subito.
Ecco i risultati delle singole tenzoni.
Nero da Norcia abbatté subito quel tartufo insipido di
Truffe del Périgord con un colpo alla testa. Su una cavalcatura bardata,
Puzzone di Moena ammorbò in un attimo il rivale industriale
Fourme de Rochefort, che scappò in mare affogando.
Moraiolo da Reggello gettò un orcio d’olio novo sotto gli zoccoli del destriero di
Beurre de Blois che era grasso come un maiale e fu presto disarcionato senza più poter combattere.
Nero De’ Nebrodi e
Cinta da Siena s’azzuffarono con
Noir de Bigorre e
Blanche de l’Ouest. Le zanne erano forti e morirono tutti e quattro i maiali, Italiani e Francesi.
La sfida pendeva dalla parte Italiana e
Charles de Torgues schierò i prezzolati
Moët & Chandon e
Mouton Rothschild che misero sotto
Moscato d’Asti e
Brunello da Montalcino, ma dopo una dura lotta che stava per finire alla pari. Visto che la
Disfida di Forchetta sembrava risolversi in un nulla di fatto, da Roma scese un drappello di sovranisti culinari capeggiati da facinorosi armati di cassoeula, salsicce, abbacchi, amatriciane, guanciali, coppe e culatelli. Volarono delle pizze. La zuffa sarebbe continuata a lungo se da Bari e da Napoli non fosse arrivato uno coi
Tarallucci e il Vino. I duellanti rimandarono la disfida giurando di rivedersi per tempo il giorno dopo.
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