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Francia. Le opinioni di Jean Leonetti
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Articolo di Express
9 dicembre 2008 0:00
 
Il 2 dicembre, la commissione che ha valutato la legge del 2005 sul fine vita ha consegnato al Governo le sue conclusioni. Jean Leonetti, autore della legge e presidente della commissione, tre giorni dopo ha risposto alle domande dei lettori di L'Express. Qui alcuni dei passaggi piu' significativi.

Rifiutando di legalizzare l'eutanasia e l'assistenza al suicidio, non pensa di favorire condizioni di fine vita a due velocita' in Francia? Non ci saranno, da una parte, coloro che hanno i mezzi per morire all'estero, che sapranno come ingegnarsi per ottenere i farmaci o le droghe necessarie per farla finita e, dall'altra, coloro che, per mancanza di conoscenze o mezzi finanziari, sono condannati a subire una morte difficile?
E' nei paesi legalizzatori dell'eutanasia che ho visto la morte a due velocita'. Quella che si fa in Svizzera con i malati nemmeno gravi o incurabili. Quella che si fa in Belgio o in Olanda, con i malati psichiatrici. Le disposizioni francesi, invece, tendono a far si' che l'accesso alle cure di qualita' per tutti sia l'obiettivo civico. Nei paesi che hanno legalizzato l'eutanasia la scelta avviene spesso, come capita ancora qualche volta da noi, che la domanda di morte nasca dalla carenza di strutture e d'assistenza per evitare l'abbandono e la sofferenza. E' li', secondo me, la vera disuguaglianza.

Mettiamo il caso di una donna affetta da cancro al seno (causa di circa 12.000 decessi l'anno in Francia) con delle metastasi ossee responsabili di dolori intollerabili che nemmeno gli analgesici piu' potenti riescono ad alleviare. Questa donna, molto debilitata fisicamente dalla malattia e consapevole d'essere condannata irrimediabilmente, reclama l'assistenza al suicidio. Concretamente, che soluzione propone per gestire un caso simile, considerando che c'e' d'aspettarsi che i reni smettano di funzionare fino a causarle la morte?
Poiche' la motivazione della domanda di morte e' una sofferenza intollerabile, lo scopo dev'essere di sopprimere la sofferenza a costo d'accorciare la vita, e non di sopprimere il malato per sopprimere la sofferenza. E dunque, non esiste un dolore resistente ai sistemi attuali di antidolorifici e di sedazione.

Non teme che i francesi se ne vadano nei paesi dove l'eutanasia e' "piu'" autorizzata per morire in serenita' e dignita', visto che in Francia non gli viene concesso?
Non ho la sensazione che la morte data in Svizzera conferisca maggiore dignita' quando e' praticata dalla sola associazione che pratica il turismo della morte senza un vero controllo e talvolta con il gas elio introdotto in un sacco di plastica sulla testa del paziente. Anche le autorita' svizzere sono estremamente preoccupate per la situazione e si pongono il problema se cambiare la legislazione. E hanno chiesto alla Germania, da dove vengono numerose persone per morire, di prendere misure adeguate per evitare questo stato di cose.
Non sara' che il dibattito sull'eutanasia sia troppo contaminato da valori religiosi e loro corollari?
Axel Kahn, Robert Badinter, Emmanuel Hirsch, Régis Aubry e anche altri, non noti per la loro militanza cristiana, s'oppongono alla legalizzazione della pratica eutanasica. Non e' che da una parte ci sono i medici e i cristiani, e dall'altra i cittadini e i laici.

Con quale diritto i nostri eletti decidono per noi? Ci vuole un referendum per trovare la soluzione al quesito. O vogliamo che il diritto a morire quando lo si vuole sia riservato alla classe agiata?
Gli eletti non decidono della morte volontaria, che nel nostro paese resta una liberta'. La corte europea dei diritti dell'uomo la considera infatti come tale, e non un diritto, giudicando che "non esiste un diritto alla morte equivalente al diritto alla vita". Anche noi, durante le audizioni abbiamo constatato che giuridicamente l'assistenza al suicidio, se non si palesa ne' come incitamento ne' come manipolazione di una persona vulnerabile, non e' incriminata cosi' come non lo e' il suicidio di per se'. Non e' perseguita, la legge francese lo prevede gia'! Esiste una giurisprudenza. Poiche' il suicidio non e' reato, non si persegue, nelle condizoni precisate, qualcuno che aiuti in un'azione che non sia delittuosa.

Non potrebbe darsi che il rifiuto dell'eutanasia sia legato a un tabu' culturale, vale a dire alla paura della morte (o di darla)? Perche' non considerare l'eutanasia come un atto fraterno?
Perche' e' il contrario di un atto fraterno. Le domande d'eutanasia sono per l'appunto paradossalmente paure della morte. La si anticipa per non vivere la fine della vita. La prova: la domanda di morte s'attenua man mano che la morte s'avvicina. Oggi il dibattito e' mutato. Inizialmente la domanda d'eutanasia veniva fatta alla fine della vita a causa dei dolori intollerabili. Grazie ai progressi medici e assistenziali, la domanda e' fortemente diminuita, a favore di domande piu' distanziate dalla morte, quando un malato teme un fine vita difficile. La prova: all'ospedale di Losanna, che pure ha aperto alla possibilita' di suicidio assistito, la qualita' delle cure palliative ha fatto si' che la domanda di morte sia stata solo una in un anno e mezzo. Mentre, viceversa, un terzo delle persone che hanno "beneficiato" del suicidio assistito in Svizzera non aveva una malattia grave e incurabile. La legge che noi abbiamo messo in piedi deve regolare le situazioni alla fine della vita. Al contrario, non regolamenta la richiesta di morte a distanza dalla fine della vita poiche' si tratta di suicidio assistito, il cui unico criterio e' la domanda lucida di colui che vuole ottenerla. E' li' che si pone la vera questione filosofica: davanti a qualcuno che chiede la morte senza essere in fase terminale di una malattia mortale, la societa' deve fornirgli i mezzi per il suo progetto?

Traduzione di Rosa a Marca

 
 
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