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Luci e ombre sul difficile viaggio dal device al frigorifero
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Articolo di Redazione
3 dicembre 2022 8:58
 
 Non solo colmare un’esigenza legata al momento storico, ma andare incontro a nuovi bisogni e a nuovi modelli di spesa, anche duraturi. Aiutare le persone a mangiare sano e sostenibile e a rispettare i cicli naturali della natura e la biodiversità. Sembra questo il segreto del successo di molte startup e aziende della spesa online, realtà economicamente dinamiche che tuttavia non riescono a raggiunge la grande distribuzione e arrivano a coprire per adesso solo il Nord Italia e al massimo il Lazio.

Come è emerso anche dal rapporto 2022 di McKinsey sullo stato della vendita al dettaglio in Nord America, le realtà di medie dimensioni e regionali possono assumere un ruolo di primo piano e trovare una nicchia di consumatori da conservare nel tempo. Il target di questo tipo di aziende infatti è preciso: persone con a cuore l’ecosostenibilità e l’attenzione allo spreco, che in Italia sono sempre di più. La svolta nelle abitudini sembra essere la nascita di un figlio, è quello il momento in cui si comincia a fare più attenzione all’alimentazione. Il consumatore tipo è la giovane coppia con bambini piccoli, la famiglia un po’ più grande o la donna tra i 45 e i 55 anni.

Secondo l’Osservatorio eCommerce della School of Management del Politecnico di Milano, il food & grocery è cresciuto del 17% nell’ultimo anno, anche grazie a chi durante la pandemia ha cominciato a fare la spesa online. Ma nelle grandi catene di supermercati, che spesso si affidano alle varie app di consegna rapida, non è andata allo stesso modo.

Carlo Buttarelli, direttore ufficio studi e relazioni con la filiera di Federdistribuzione, lo spiega chiaramente: «Il mercato dell’online rappresenta quote molto significative per prodotti non alimentari: almeno il 40% delle vendite di tali beni passa per l’online. Durante la fase più acuta della pandemia, nel 2020, la vendita online è cresciuta di oltre il 100%, con strascichi fino ai primi mesi del 2021. Ma terminato il lockdown, c’è stato un ritorno al negozio fisico molto significativo. Le persone preferiscono toccare con mano il cibo da comprare. Dopo la fase più critica, una piccola quota di clienti ha continuato ad acquistare online, facendo registrare una crescita poco inferiore al’1%. Ad oggi, le vendite online di food and grocery rappresentano una percentuale appena superiore al 2% del totale. Poiché l’inflazione per il carrello della spesa ha superato abbondantemente il 12%, anche l’ambito online ne risente per via del costo aggiuntivo dovuto al trasporto e alla consegna».

Il motivo principale che rende difficile il modello di business della spesa online è l’alta deperibilità dei prodotti e di conseguenza il rischio che molti beni invenduti vadano sprecati. L’acquisto online spesso asseconda il bisogno di un dato momento o saltuario.

Dunque, per le aziende, è difficile prevedere le scelte del consumatore. Tuttavia, alcune piccole imprese hanno trovato una soluzione: permettere al cliente di prenotare i prodotti preferiti, dal sito o su una web app dedicata a seconda dei casi, con qualche giorno di anticipo sulla consegna; oppure, in altri casi, dare al consumatore la possibilità di sottoscrivere un abbonamento. In questo modo, a cadenza settimanale o mensile, l’acquirente riceve a casa la box, cassetta o scatola, 100% plastic free, con i prodotti selezionati dal consumatore o dalla stessa azienda, sempre freschi e di stagione, del territorio e acquistati direttamente dal produttore, dall’agricoltore o dall’allevatore.

In questo modo, le aziende sanno prima quanti prodotti acquistare dai produttori e con quale frequenza. Il cliente può scegliere la taglia della box, ogni quanto vuole riceverla, la fascia oraria migliore per la consegna e può indicare i prodotti da non ricevere, che dunque saranno esclusi da chi prepara la cassetta. Si va avanti in automatico ma è possibile modificare l’ordine e disdire l’abbonamento quando non si vuole più ricevere la box.

Funziona così, ad esempio, il sistema proposto da Cortilia e da Zolle. La logistica di queste imprese è un affare complesso perché i prodotti alimentari necessitano di precise condizioni di conservazione previste dalla legge, si devono considerare i costi di magazzino e quelli relativi al personale che impacchetta e consegna a casa la spesa. Costi molto alti se si pensa in particolare alle startup di consegna ultra rapida. Anche se tali costi ricadono sul cliente, l’investimento iniziale può rendere economicamente insostenibile l’attività stessa. Zolle, invece, che tuttavia opera solo su Roma, vanta un sistema di logistica tra i più complessi in Europa. Le zolle, o scatole, vengono preparate ogni mattina in un unico magazzino e un furgoncino refrigerato gira per le varie zone della città e fa da hub alle biciclette che garantiscono la consegna capillare.

A Milano, Firenze, Bergamo, Trieste e Roma è presente a livello di quartiere L’Alveare che dice Sì!, un sistema di spesa online altamente ecosostenibile nato in Francia nel 2011 che garantisce la filiera corta e il km0. Nel novembre 2014, arriva a Torino, nel quartiere di Mirafiori. Attraverso le vendite negli Alveari, nel 2020 sono stati fatturati undici milioni di euro (erano stati otto in totale nei quattro anni precedenti, n.d.r.), una cifra interessante, soprattutto in considerazione del fatto che l’80% del prezzo di vendita rimane al produttore. Dopo il boom, il consolidamento raggiunto nel 2022. La consegna avviene una volta a settimana a un orario prestabilito a casa o in luoghi selezionati, come bar, piccole librerie o case private. Si prenota la spesa direttamente dal produttore. La commissione fissa ammonta a pochi euro ed è sostenuta dal produttore stesso, una cifra certamente più bassa di quella pagata per esporre i prodotti al mercato del contadino o a quello rionale. Quando la spesa arriva, si passa a ritirare.
È un sistema conveniente? A questa domanda risponde Lisa Casali, scienziata ambientale, cuoca, content creator e scrittrice: «Con questo tipo di servizi è difficile che si risparmi. Ma il prezzo chiesto dai produttori per alimenti biologici è equo. Conviene di certo all’ambiente perché l’agricoltura biologica previene possibili contaminazioni del terreno, dell’aria e danni a specie e habitat per il minore ricorso alla chimica, anche se non è la più efficiente per le performance dal punto di vista dei consumi. Ma dopo cinque anni, un terreno coltivato in maniera intensiva probabilmente sarà desertificato e senza l’aggiunta di nitrati non produrrà più nulla. Al contrario, uno coltivato in maniera biologica sarà ancora fertile e potrà ospitare flora e fauna». «Conviene senza dubbio, da un punto di vista meramente economico e in un’ottica di breve periodo, andare a fare la spesa al supermercato. – precisa Manuela Canneti di Zolle – Ma, dovremmo chiederci, prima di acquistare, che tipo di agricoltura vogliamo sostenere. Così, la convenienza assumerebbe per tutti un significato diverso, più ampio e sociale».

A parte le grandi catene di supermercati, la spesa online sembra quindi resistere alla fine della fase più critica dell’emergenza sanitaria quando, oltre a provvedere a un servizio, le aziende sono in grado anche di offrire dei valori, più difficili da trovare. Alcune di queste, quelle che già esistevano, sono tornate ai livelli precedenti alla pandemia, altre hanno acquistato nuovi clienti dopo i lockdown, altre ancora sono nate in pandemia e ora non solo mantengono ma conquistano sempre più consumatori. È successo, per esempio, a Babaco Market, nata nel 2020 per dare uno sbocco commerciale a tutti quei prodotti difettati dal punto di vista estetico e scartati dai supermercati. «Nel 2021 abbiamo chiuso a circa 800mila euro di fatturato, – commenta Francesco Gilberti, Ceo e fondatore – quest’anno chiuderemo a circa un milione e sette».

(Erminia Voccia su Linkiesta del 03/12/2022)

 
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