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Il momento 'giusto' per vendere un investimento finanziario
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Articolo di Alessandro Pedone
24 gennaio 2023 10:56
 
Nei mercati finanziari, sapere quando vendere è decisamente più importante di sapere quando comprare. Dipendenti bancari e promotori finanziari (che oggi si chiamano “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede”), salvo perle rare, non prendono mai in considerazione l’ipotesi di disinvestire. Se i mercati vanno bene, investire è una buona opportunità, se le cose vanno male è ancora di più il momento di investire perché i prezzi sono bassi.
Eppure sapere quando è il momento di vendere è una componente fondamentale dell’investimento. Vendere è l’altra faccia della medaglia del comprare. È, per così dire, la “chiusura del cerchio”. Se non vendiamo bene non è possibile fare un buon investimento. 
In genere gli investitori non sanno quando vendere per la semplice ragione che non sanno bene perché hanno comprato. Nell’articolo della passata settimana, “Navighi a vista nei mercati finanziari?” (che rappresenta una premessa ideale del presente) ho chiarito il concetto di domanda aperta e domanda chiusa. La domanda “qual è il momento più opportuno per vendere uno strumento finanziario?” è una domanda alla quale non è possibile dare una risposta definitiva a meno che non sia stata data una risposta circostanziata alla domanda aperta per eccellenza: “perché investo?”. 
Sottolineo “circostanziata” perché la risposta non può semplicemente essere: “investo per guadagnare” perché guadagnare e basta non significa niente. Guadagnare quanto? A quale scopo? A quale rischio?

La risposta, per essere utile a trasformare la domanda sul momento più opportuno per vendere da domanda aperta a domanda chiusa deve riguardare le ragioni per le quali il denaro è utile nella nostra vita. Il denaro è un mezzo, non un fine. 
Fatta questa premessa, in questo articolo desidero fare alcune considerazioni generali riguardo alla fase della vendita degli strumenti finanziari. Mi riferisco prevalentemente agli strumenti finanziari volatili, tipicamente l’azionario.

L’impatto della fiscalità
Un aspetto da tenere sempre in grande considerazione prima di considerare la vendita di uno strumento finanziario è quello della fiscalità. Pagare il 26% sulla vendita di uno strumento perché desideriamo “portare a casa un guadagno” per poi aspettare un’altra opportunità d’investimento simile a quella che abbiamo abbandonato, in genere, è una pessima idea perché subiamo subito un costo molto rilevante (la tassazione) in vista di qualcosa di molto aleatorio. 
L’impatto della fiscalità negli investimenti finanziari è spesso sottovalutato. 
Nel lungo termine, cioè nello spazio di alcuni decenni, per effetto della capitalizzazione composta, trascurare la fiscalità può significare dimezzare il capitale che avremmo potuto avere se non avessimo fatto vendite insensate. 

Investendo in ETF, il problema della fiscalità è molto rilevante (anche perché - inspiegabilmente - non vi è compensazione con le minusvalenze, come per tutti i fondi) e vi è decisa convenienza a ridurre allo stretto indispensabile le vendite “tattiche”.

La regola aurea della vendita: coerenza
Chiarito l’aspetto fiscale, enunciamo un principio generale che non dovrebbe essere mai violato, salvo un’eccezione che indicheremo fra pochissimo. 
Le ragioni per le quali vendiamo dovrebbero essere logicamente coerenti con le ragioni per le quali abbiamo acquistato. Non dobbiamo, cioè, commettere l’errore (frequentissimo) di trasformare un investimento di lungo termine in una speculazione di breve termine perché il titolo “è salito troppo”. Né dovremo fare il contrario, ovvero trasformare una speculazione di breve termine andata male in un investimento di lungo termine perché non ci piace vendere in perdita o perché “tanto ormai è sceso così tanto che non ha senso vendere…”. 
La vendita è la conclusione di un processo, la chiusura di un cerchio, non dovrebbe mai essere il frutto di qualcosa di improvvisato. Non si vende perché il prezzo è “salito troppo”. Si può vendere, invece, perché il prezzo ha raggiunto il livello che ci eravamo prefissati. Può sembrare un gioco di parole, ma fa una grande differenza perché se mi ero prefisso di vendere ad un determinato prezzo avrò anche progettato cosa fare dopo con il ricavato. La vendita era parte di un piano, di un progetto. Non “navigo a vista” per riprendere l’articolo della scorsa settimana. 
C’è un solo caso, che purtroppo bisogna considerare, per il quale la regola aurea deve necessariamente essere infranta: quando ci si rende conto di aver fatto un errore nella scelta. 
Gli errori di scelta degli strumenti finanziari si possono dividere in due grandi famiglie: errori che riguardano i singoli titoli oppure quelli che riguardano i prodotti d’investimento, tipicamente i fondi comuni o simili. 
Nel caso di singoli titoli, ci possiamo rendere conto che l’azienda emittente non era quella che avevamo valutato, o perché abbiamo fatto errori di valutazione iniziali o perché le cose hanno preso successivamente una piega diversa (errori del management, evoluzioni tecnologiche o di mercato, cambiamenti normativi, ecc.). 
Nel caso di fondi, gestioni patrimoniali, fondi assicurativi, ecc., la causa in genere è aver subito le pressioni commerciali di bancari o promotori finanziari. 
In entrambi i casi, quando ci rendiamo conto di aver fatto un errore, l’unica cosa saggia da fare è vendere. E’ sbagliato temere di vendere in perdita sia nel caso del singolo titoli sia nel caso del fondo. Nel caso del fondo, vendere per comprare un fondo meno costoso non significa vendere in perdita. L’investitore, attraverso il fondo, investe in un determinato mercato. Se sostituisce il fondo non sta smettendo di investire in questo mercato, lo sta facendo solo in un modo più efficiente. 
Nel caso di singoli titoli, se perdiamo fiducia nel progetto aziendale è necessario vendere, costi quel che costi. Si può pensare di provare a trovare il tempismo giusto per vendere, ma bisogna farlo per trovare un altro progetto aziendale nel quale si crede.

Vendere per spendere
La ragione naturale per la quale si vende un investimento finanziario è quella di spendere soldi. E’ banale, ma è utile ricordarlo. Il momento migliore per investire è quando abbiamo denaro in eccesso, il momento migliore per disinvestire è quando dobbiamo spenderlo. 
Ovviamente qui non stiamo parlando di piccole spese, ma di uscite importanti (acquisti di beni immobili o auto, barche, viaggi importanti, ecc.). Queste, in genere, si possono programmare. 
In alcuni casi, poi, il patrimonio accumulato deve consentirci di mantenere il tenore di vita in una fase post lavorativa. In questi casi abbiamo dei flussi di uscita programmati. 
Avere una buona programmazione delle uscite ci consente anche di tentare di sfruttare le oscillazioni dei mercati per vendere con un po’ di tempismo. Non sarà ovviamente la parte fondamentale del progetto, ma sapendo che comunque si dovrà vendere ad una certa data, ha senso tentare di massimizzare il rendimento vendendo un po’ prima del dovuto se valutiamo che i prezzi sono saliti in modo eccessivo. In questo caso diventa evidente come avere un obiettivo consente di rendere chiaro il concetto di “momento giusto per vendere”. Se conosco che entro il 2030 mi serviranno 30 mila euro per far studiare mio figlio all’estero, il “momento giusto per vendere” è quello nel quale posso ricavare l’importo più elevato da qui al 2030 minimizzando il rischio di non avere i 30 mila euro. 
In molti casi, però, gli investitori non hanno delle spese da fare, quindi la valutazione della vendita è legata al fatto che si pensa che il prezzo sia ormai “troppo alto” e dovrà scendere… qui entriamo nel “magico mondo delle previsioni finanziarie”...

Vendere per massimizzare il rapporto rischio/rendimento di un portafoglio finanziario
Tolto il caso in cui vendiamo per spendere, l’unico motivo razionale per vendere è perché pensiamo di poter ricavare un maggiore guadagno da un diverso strumento finanziario. 
Bisogna però considerare che gli esseri umani non sono primariamente razionali, sono prevalentemente esseri guidati dalle emozioni. 
Entrano in gioco quindi la paura di perdere quello che consideriamo acquisito ed il rimpianto per non aver guadagnato ciò che avremmo potuto guadagnare. 
In base alla mia esperienza professionale di oltre venti anni a contatto quotidiano con gli investitori, indipendentemente da quello che l’investitore dice al consulente o a sè stesso, se non vi sono specifici obiettivi d’investimento, il vero obiettivo è un mix (diverso da persona a persona in base alla sua personalità finanziaria) di questi tre fattori, due psicologici ed uno razionale: 
1) minimizzare i rimpianti (obiettivo psicologico, in genere il principale obiettivo, ma ogni investitore ha rimpianti di tipo diverso)  
2) conservare il valore del capitale nel tempo (obiettivo razionale, viene spesso espresso come primo, ma in realtà il rimpianto è ancora più forte, ovviamente anche la perdita genera rimpianto) 
3) massimizzare le gratificazioni psicologiche derivanti dall’aver guadagnato a patto di non intaccare i primi due punti (obiettivo psicologico, ogni investitore considera gratificante un diverso livello di rendimento, in genere legato alle aspettative che si erano generate).

Nell’ottica di vendere allo scopo di migliorare il rapporto rischio/rendimento del proprio portafoglio, ci sono alcuni fattori che è importante valutare. 
La premessa fondamentale è sempre quella dell’impossibilità di realizzare, con una ragionevole costanza, previsioni affidabili. 
A questo scopo, consiglio caldamente la lettura di questi tre articoli:
- I mercati finanziari sono prevedibili?
- E’ possibile prevedere i mercati finanziari?
- Il crollo azionario del 2022 e gli àuguri finanziari

Per un professionista del settore è relativamente facile valutare se i prezzi, in un dato momento, sono “eccessivi” (carissimi o bassissimi) oppure “normali”.  Sarebbe però un grave errore pensare che ad un eccesso di prezzo consegua necessariamente in tempi prevedibili una correzione in senso opposto. 
Tutti gli eccessi, prima o poi, vengono riequilibrati, ma nessuno può prevedere come e quando il nuovo equilibrio si realizzerà. Spesso ci si focalizza sul quando, ma anche il “come” può fare tutta la differenza del mondo. Il nuovo equilibrio si può raggiungere attraverso un veloce aggiustamento del prezzo, oppure attraverso un più lento aggiustamento del valore. Per molti mesi, trimestri o addirittura anni, gli eccessi possono non equilibrarsi affatto ed anzi peggiorare a causa di nuovi fattori (interni o esterni al mondo finanziario) che non si sono mai realizzati prima nella storia. I mercati finanziari sono fenomeni sociali, non seguono leggi della fisica. Il denaro è una convenzione sociale. Non esiste un quantitativo di denaro stabilito per natura, così come non esiste un prezzo “giusto” oggettivamente. 
Un investitore adulto deve accettare che gli eccessi esistono ed è ragionevole tenerne conto, ma al tempo stesso che l’incertezza domina sopra ogni altra cosa in finanza. 
E’ per questo che le decisioni d’investimento finanziario devono essere guidate da una combinazione di aspetti strategici e tattici. Le scelte strategiche devono nascere dal “perché investi?” mentre le scelte tattiche devono sempre essere secondarie e prevedere la possibilità di sbagliare senza compromettere gli obiettivi strategici.

Vendere con l’obiettivo di massimizzare i rendimenti è un aspetto tattico che può essere inserito all’interno di un progetto d’investimento prevalentemente allo scopo di rendere psicologicamente più gratificante o più sopportabile lo svolgimento del progetto di lungo termine.

Un buon progetto d’investimento si compone di alcune strategie d’investimento. Una strategia d’investimento è un insieme di regole che definiscono proprio cosa e come (cioè quando ed in quali quantità) comprare e vendere. Una strategia d’investimento piuttosto comune, specialmente, nei paesi anglosassoni prevede di investire per un periodo di tempo di molti anni in un portafoglio suddiviso in determinate asset class. Nella versione più semplice 60% azioni e 40% obbligazioni. In genere la strategia prevede dei ribilanciamenti, il che significa vendere quando, per effetto dei movimenti dei prezzi, una delle due asset class si è spostata in modo significativo dalla percentuale prevista dalla strategia per comprare l’altra asset class che è diminuita. Questo è uno degli esempi più semplici che si possono fare di vendita allo scopo di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento. 

Si possono concepire e realizzare diverse tipologie di strategie d’investimento anche un po’ più articolate. Ricordando sempre che la semplicità in finanza paga sempre, quando vi sono le condizioni, alcune strategie potrebbero lavorare sul concetto di investire e disinvestire ad intervalli temporali prestabiliti ed anche con importi variabili in base ai prezzi di mercato.
Deve essere chiaro che nessuno può garantire che queste strategie siano in grado di massimizzare il rapporto rischio/rendimento. Se sono ben progettate, però, possono rendere il progetto d’investimento psicologicamente più sostenibile. 

Da questo punto di vista, uno degli elementi più importanti di un piano d’investimento è legato al tentativo di evitare i crolli dei mercati azionari. Abbiamo ripetuto ormai fino allo sfinimento che prevedere i movimenti dei mercati è impossibile. Al tempo stesso, sappiamo che i grandi crolli dei mercati azionari sono eventi relativamente rari e con effetti estremamente rilevanti sui rendimenti di lungo periodo. Raramente (di media, cioè, una volta ogni lustro circa) si realizzano una  combinazioni di indicatori sia macroeconomici che finanziari dai quali si può ipotizzare (senza alcuna certezza) che potrebbe realizzarsi un crollo generalizzato dei mercati azionari. Può essere ragionevole, anche razionalmente, subire dei costi per tentare di evitare questi crolli. Questo rende psicologicamente più sostenibile un piano d’investimento che magari contiene una componente azionaria più elevata di quello che l’investitore tollererebbe se non vi fosse questo meccanismo di protezione. 

Vendere l’investimento in singoli titoli azionari
Vendere una categoria d’investimento (un certo tipo di azioni o un certo tipo di obbligazioni) è molto diverso, in termini di processo decisionale, rispetto alla vendita di un singolo titolo azionario. Questo perché le ragioni per le quali si inserisce un singolo titolo in portafoglio sono abbastanza diverse dalle ragioni per le quali si inserisce un fondo d’investimento (sia esso a gestione indicizzata come un ETF oppure a gestione attiva come uno dei tanti fondi venduti dai venditori della finanza). 
La singola azione in portafoglio ha prevalentemente la funzione di aumentare le probabilità di ottenere una gratificazione psicologica dall’investimento il che è molto correlata ad un rendimento decisamente superiore rispetto a quello che può offrire un fondo. 
Come è noto (o dovrebbe esserlo) investire in una singola azione implica il rischio di perdere l’intero capitale investito in quell’azione. Investendo in un intero settore azionario (come le azioni europee, USA, giapponesi, ecc.) non si correrà mai il rischio di perdere l’intero capitale investito. 
Sia chiaro, potremo comunque investire, indirettamente, in azioni di aziende che falliranno perdendo tutti i soldi investiti in quell’azione, ma la quantità di denaro investita in quelle azioni è talmente piccola che diventa invisibile all’interno della normale oscillazione del complesso dell’investimento. 
Quando si investe in una singola azione, invece, per quanto lo si possa fare in modo oculato, investendo una percentuale ragionevolmente piccola del complesso del portafoglio (io consiglio di non superare mai il 2%), il rischio di perdere l’intero capitale investito nella singola azione rappresenta qualcosa di molto più tangibile rispetto a ciò che accade con i fondi. 
Perché allora un investitore dovrebbe investire in singoli titoli azionari? 
La maggioranza degli investitori infatti non dovrebbe farlo. 
Investire in singoli titoli azionari è qualcosa che richiede una esperienza ed una capacità fuori dalla portata della quasi totalità degli investitori non professionali. 
I singoli titoli azionari hanno oscillazioni molto più accentuate rispetto all’andamento complessivo dei vari mercati, ma proprio per questo investire in azioni offre la possibilità di ottenere guadagni di dimensioni percentuali che sono precluse agli investimenti negli ETF.
Raddoppiare il capitale investito in una singola azione nell’arco di 3-5 anni non è un’esperienza così rara, anche se ovviamente rimane un’eccezione.
Un secondo elemento che può rendere l’esperienza dell’investimento nella singola azione gratificante è tutta la narrazione collegata all’azienda. 
Quando si sceglie un singolo titolo azionario si può (ed è cosa molto utile e funzionale al successo dell’investimento) informarsi sull’azienda, il suo management, i suoi prodotti, le differenze con la concorrenza, le condizioni finanziarie, l’andamento dell’azione, ecc... 
L’informazione legata all’evoluzione dell’azienda fa nascere nell’investitore delle convinzioni circa l’evoluzione futura. Il successo o l’insuccesso dell’investimento diventa qualcosa di più di una mera questione economica. Diventa anche una gratificazione più psicologica per aver saputo “sfruttare un’occasione” o comunque aver tratto profitto da una serie di informazioni e circostanze piuttosto esclusive. 
La scelta di vendere un singolo titolo azionario deve sempre e comunque aderire alla regola aurea, ovvero deve essere coerente con la strategia con la quale si è acquistato il titolo. 
Non si deve mai, come già accennato, commettere l’errore di trasformare un investimento che nasce per il breve termine in un investimento di lungo termine a seguito di perdite inaspettate, ne dobbiamo fare l’inverso, ovvero vendere il titolo nel breve termine perché è “cresciuto troppo”. 
Quando si acquista un singolo titolo azionario è importante chiarire bene con sé stessi le ragioni, anche di ordine psicologico, per le quali si acquista il titolo e definire prima quali sono le circostanze, i livelli di prezzo, che ci porteranno a vendere il titolo e perché.
E’ importante cercare di non prendere decisioni sulla base di fatti o notizie che ci colgono di sorpresa. 
Sarebbe molto utile scrivere nero su bianco sia le ragioni per le quali si compra sia le condizioni per le quali venderemo e perché. 

In genere questo non si fa ed allora sorgono una serie di domande nel corso dell’investimento.

Una domanda frequente riguarda il caso in cui un titolo collezioni qualche giorno o settimana di fila di risultati eccezionalmente positivi. Molti chiedono se sia il caso di prendere profitto per poi attendere che l’eccesso sia compensato da una ipotetica correzione successiva per tornare ad investire a prezzi più bassi oppure spostandosi su altri titoli. 
E’ chiaro che non vi è una risposta che vada bene per tutti i casi. Non tanto e non solo perché ogni azione ed ogni momento è diverso dall’altro, quanto perché ogni investitore è diverso dall’altro. 
Un investitore adulto dovrebbe avere ben chiaro in testa che non è possibile, per nessuno, sapere per quanto tempo ancora il titolo continuerà a salire e quando correggerà gli eccessi. Sicuramente ci sarà una fase di discesa dei prezzi, ma comunque non è possibile sapere se i prezzi torneranno mai a livelli più bassi rispetto a quelli della presunta vendita. 
Se si ha ben chiaro in testa tutto questo diventa evidente che la risposta al quesito è quasi esclusivamente una questione psicologica: è superiore la gratificazione per aver realizzato un guadagno oppure il rimpianto per aver venduto prima che il titolo continui a macinare grandi guadagni? 
Ogni investitore ha un suo punto di equilibrio fra queste due forze che si contrastano. 
Il modo migliore per risolvere la questione, come abbiamo già scritto, è quello di definire questi limiti prima anche perché l’aspetto fondamentale è quello di stabilire, insieme alla decisione di vendere, anche quella di come impiegare nuovamente il capitale. 

Altra domanda che si pone spesso chi acquista singole azioni senza definire prima quando vendere è cosa fare nel caso in cui il titolo inizi a scendere, magari pesantemente. Quando accettare la perdita? Quando mediare al ribasso? 
Vendere in perdita non è sbagliato in assoluto, ma è accettabile solo se fa parte di una strategia basata sul trading di breve periodo. Allora porsi degli stop-loss diventa una parte fondamentale del cosiddetto risk management. 
Se si investe in singole azioni con un’idea di lungo termine, i ribassi del titolo dovrebbero essere opportunità di acquisto, cioè per “mediare al ribasso”,  naturalmente a patto che si mantenga la fiducia sul progetto aziendale. Se si è investitori di lungo periodo è imprescindibile conoscere bene l’azienda, bisogna essere più interessati all’evoluzione dell’azienda che non al prezzo dell’azione. 
Conoscendo bene l’azienda, se il prezzo scende e si è nelle condizioni economiche per comprare, avremo fatto un affare e dovremo ringraziare il mercato. 
Se invece ci facciamo venire dubbi dal movimento del prezzo significa che non conosciamo sufficientemente bene l’azienda e non dovremmo essere investitori di lungo termine. 

L’importanza di un progetto d’investimento
Come dovrebbe essere chiaro ormai, domandarsi quando è il momento giusto per vendere significa fondamentalmente non aver ben chiaro il proprio progetto d’investimento. 
Il tema del progetto d’investimento è l’aspetto chiave che manca alla quasi totalità degli investitori.  Consiglio a chi desidera approfondire questo argomento l’iscrizione ad un Webinar promosso da Ascofind, l’associazione di categoria delle Società di Consulenza Finanziaria Indipendenti, che si terrà Lunedì 30 Gennaio alle 18 dal titolo “Costruzione di portafogli finanziari. Il ruolo di strumenti, strategie e progetti d’investimento”. La partecipazione è gratuita, previa iscrizione. Risponderò a tutte le domande poste in diretta ed eventualmente anche dopo il webinar qualora, per ragioni di spazio, non sarà possibile farlo in diretta. 
 
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