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I nostri consumi alimentari esauriscono le acque sotterranee
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Articolo di Redazione
30 marzo 2017 15:03
 
 Tra mangiare e bere bisognera’ presto scegliere. Utilizziamo sempre di piu’ dei prodotti alimentari che esauriscono le acque sotterranee non rinnovabili. Un fenomeno mondiale che mette in pericolo gli approvvigionamenti sia di cibo che di acqua e potrebbe far schizzare in alto i prezzi delle derrate di base. Cosi’ uno studio di quattro ricercatori internazionali pubblicato nella rivista Nature di oggi 30 marzo. Identificati per la prima volta i Paesi, le coltivazioni e le relazioni commerciali specifiche, i ricercatori sperano di migliorare la durata delle risorse alimentari e la gestione delle risorse.
Diversi scienziati hanno gia’ quantificato e cartografato il consumo in acqua del commercio internazionale, per capire quali beni di consumo utilizzano queste risorse preziose e in quali quantita’. L’agricoltura ne ha inghiottito circa il 90%, grazie all’irrigazione intensiva dei cereali, alla produzione di carne e di prodotti caseari. Ma questo lavoro non e’ mai stato realizzato, a livello mondiale, per qualche tipo di coltivazione ne’, soprattutto isolando le sole acque sotterranee invece di inglobare anche quelle da pioggia e di superficie (laghi e fiumi).
Le falde acquifere, queste vaste riserve naturali di stockaggio delle acque sotterranee, sono una risorsa chiave. Esse rappresentano la maggior parte dell’acqua dolce liquida del Pianeta. Attualmente, il 43% dell’irrigazione proviene da queste riserve. Il problema e’ che si rinnovano molto lentamente, in 1.200 anni in media rispetto ai 15 giorni dei fiumi. La loro conservazione e’ dunque cruciale. “Abbiamo esaminato tutte le falde acquifere del mondo, e considerato la parte che si dissolve, e quelle che non si rinnovano naturalmente grazie al ricarico invernale -spiega carole Dalin, ricercatrice all’Istituto per le risorse durevoli all’University College di Londra e prima autrice dello studio-. Questo ci da' informazioni piu’ particolari sulla durata dei beni di consumo alimentare mondiale. Si conoscono ora i legami commerciali che dipendono dalle falde acquifere non rinnovabili, i Paesi produttori e quelli consumatori”.
Pakistan, Usa e India, principali esportatori
Per realizzare questi lavori, gli scienziati hanno utilizzato un modello idrologico capace di calcolare, per ventisei classi di coltivazioni diverse, quali volumi di acque sotterranee non rinnovabili sono stati utilizzati, nel 2000 e nel 2010. Hanno poi combinato i dati sul commercio internazionale (quelli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) per ottenere quale quantita’ di questa acqua piu’ fragile sia consumata in ogni Paese per produrre 360 beni differenti (cereali, farina, pane, olio, carne, latte, etc.), esportarle o importarle.
Risultati: questi volumi di acqua sotterranea non rinnovata e utilizzata per l’agricoltura, sono calati del 22% in dieci anni, essendo stata utilizzata dal 20% dell’irrigazione mondiale. Questi rappresentano 292 Km cubi, cioe’ poco piu’ del consumo dei francesi in acqua potabile durante cinquanta anni! La parte preponderante di questo uso avviene in un pugno di Paesi: India, Pakistan, Cina, Usa, Arabia Saudita e Messico, cioe’ i principali granai e centri urbani del Pianeta.
Le coltivazioni che ne consumano di piu’, sono esportate da tre Paesi: Pakistan (soprattutto riso, destinato all’Iran, Arabia Saudita e Bangladesh), gli Usa (cotone, grano, mais e soia, verso la Cina, Giappone e Messico) e India (riso e cotone, soprattutto verso la Cina). Cinque Paesi del Medio Oriente (Qatar, Barhein, …) fanno parte dei 10 Paesi maggiori importatori, rispetto alla loro popolazione, di questa acqua virtuale non durevole.
“Non ci sono problemi di produzione in Europa, con l’eccezione di Spagna e Italia, in quantita’ molto minori -assicura Carole Dalin-. La Francia, per esempio, esporta molti prodotti agricoli, ma non attinge alle riserve sotterranee. Questi prodotti sono poco irrigati e vengono alimentati con l’acqua della pioggia e dei fiumi.
“L’Europa ha preso dall’esterno il 40% della sua acqua, da riserve sovrasfruttate all’altra parte del mondo -dice Arjen Y.Hoekstra, professore di gestione dell’acqua ll’Universita’ di Twente in Olanda, che non ha partecipato allo studio-. Abbiamo capito giustamente che l’acqua e’ una risorsa utilizzata in modo non durevole in numerosi luoghi per produrre il cibo per il commercio internazionale. Mettendo anche in pericolo l’economia e l’approvvigionamento alimentare”.
Mancanza di acqua potabile e calo della produzione agricola
I rischi di questo sovrasfruttamento sono in effetti numerosi e presenti sia in Paesi produttori che importatori, dicono i ricercatori. Questo consumo non durevole, che aumentera’ ancora nei prossimi anni, potrebbe portare ad una mancanza di acqua potabile, debordando su delle perdite economiche per gli agricoltori ma anche sull’aumento dei prezzi alimentari. L’esaurimento delle riserve di acqua locale rischia ugualmente di mettere in pericolo le popolazioni, in situazioni di urgenza come siccita’, terremoti o incendi.
Gli scienziati raccomandano, per quanto riguarda la produzione, di aumentare l’efficienza dell’uso di acqua nelle coltivazioni (sistemi moderni di irrigazione attraverso il gocciolamento, per esempio) e di utilizzare delle varieta’ meno di qualita’. Per quanto riguarda il consumo, auspicano di ridurre il consumo alimentare (30% degli alimenti sono perduti) e di adattare i regimi alimentari perche’ venga diminuiti il volume d’acqua per caloria (riducendo in particolare il consumo di carne di bue).
“Le persone hanno ragione a fare le loro spese pensando all’impatto dei prodotti sull’ambiente, ma non si tratta solo della carne contro le verdure, il bio o il sostenibile -dice Carole Dalin-. Dove e come i prodotti sono coltivati e’ una questione cruciale, nel momento in cui alimenti base come il riso e il pane possono avere un impatto negativo sugli approvvigionamenti di acqua mondiale”.

(articolo di Audrey Garric, pubblicato sul quotidiano le Monde del 30/03/2017)
 
 
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