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Perché Estendere l’Ora Legale Non Conviene. Anzi
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Articolo di Redazione
23 ottobre 2022 10:23
 
 L’autore ha confrontato i consumi di gas per riscaldamento e di elettricità per la luce, nei mesi invernali, con o senza ora legale. Sorpresa: facendo bene i conti si scopre che è meglio mantenere l’ora solare e ritardare le attività (e, di conseguenza, il riscaldamento degli edifici) per sfruttare al massimo il calore diurno, risparmiare gas e mantenere il comfort.

Si è discusso nella UE anni or sono di ora legale. Con la crisi, ci si interroga oggi in Italia su una sua estensione invernale. L’energia è un tema interdisciplinare. Non può essere affrontato per parti, pena il fallimento degli obiettivi. Fateci caso, chi tratta metano chiama il gas energia. Chi lavora con l’elettricità, la chiama energia. Chi vive di petrolio, lo chiama energia. Chi promuove rinnovabili, idem. Tout court. Così non và. Occorre una visione d’insieme; e contestualizzare il ragionamento allo scenario. Impieghiamo in Italia il gas non solo per produrre elettricità. Ma anche per riscaldarci.

Il fabbisogno di calore per riscaldamento dipende da un numero di fattori. Anzitutto dalla differenza di temperatura tra interno ed esterno; e a parità di questa, da quanto il fabbricato è coibentato. Poi dal soleggiamento, e dai relativi ombreggiamenti. E dalla inerzia dell’edificio in caso di accensioni intermittenti. Molto importante è poi l’affollamento interno, cui deve essere proporzionale - in un corretto e salubre uso - la quantità di aria esterna di rinnovo da riscaldare, al netto del calore che può essere con appositi dispositivi recuperato, o che è comunque generato all’interno.

Dovendo razionare con urgenza la distribuzione di metano, e non avendo sufficiente tempo per apportare modifiche strutturali al parco edilizio, il fabbisogno di calore per riscaldamento può essere ridotto con due provvedimenti gestionali: uno sul numero di ore in cui ci si riscalda; l’altro sulla differenza di temperatura tra interno ed esterno. Guai invece a ridurre i ricambi d’aria, pena un favoreggiamento inaccettabile della diffusione di patogeni d’ogni risma (il Sars-CoV-2 si spera almeno abbia impartito una severa lezione al riguardo).

Abbassare la temperatura interna è la soluzione banale: spalma su tutte le ore un delta secco di minori consumi. Non se ne considerano mai peraltro i risvolti negativi, quali per esempio l’aumento di umidità e di muffe, i cui danni si cumulano nel lungo termine sui soggetti fragili e anziani (se l’aspettativa di vita è salita, è stato anche grazie a case più asciutte e più calde). Occorre più cautela.

Parrebbe invece inevitabile subire la temperatura esterna, sperando nella clemenza dell’inverno e magari … nel riscaldamento globale. E invece no! La scienza del clima, applicata a bisogni reali e pressanti, davvero può esserci di grande aiuto.

La temperatura dell’aria atmosferica al suolo varia durante le 24 ore, per ragioni non solo casuali quali la copertura nuvolosa e il vento; ma anche per cause deterministiche, in primis l’alternanza giorno-notte. Sì da riscontrare pressoché sistematicamente - come è ben noto ai meteorologi – le temperature minime poco prima dell’alba, e le massime tra le ore 14 e le 15. E poiché d’inverno le giornate sono brevi e il sole sorge tardi, il profilo invernale di temperatura dell’aria è caratterizzato dal contrasto tra una ripida salita (da noi, in sole 6-7 ore) dall’aurora al primo pomeriggio; e una successiva molto più lenta discesa (fin di 17-18 ore) di sera e di notte.

Se estendessimo l’ora legale anticiperemmo l’uso degli edifici, andando incontro alle temperature esterne minime. Se invece si posticipa l’inizio delle attività, di primo mattino basta un’ora per salire fin di due gradi. E poiché la discesa di temperatura è più blanda della salita, la maggior dispersione di calore serale sarà più che compensata dal forte risparmio al mattino. Tutto questo ovviamente a parità di altre condizioni: di temperatura interna, di durata dell’uso, di soleggiamento (complice della mitigazione), di sovraccarico per l’avviamento (dopo l’interruzione o l’attenuazione notturna), peraltro in genere d’inverno poco o punto influenzate dal posticipo. Lo constatai osservando i profili orari del fabbisogno termico nel grande campus (dell’ordine di un milione di mc) della Università di Tor Vergata in qualità di energy manager anni or sono. Fatti i conti, con un’ora di slittamento in avanti dell’apertura, poniamo dalle 8:30 alle 9:30, in generale i fabbisogni di calore diminuirebbero, in assoluto, quanto più (da 2 a 3 volte) il mese è freddo; e, in termini relativi, comunque dell’ordine di grandezza del 10%. Lo stesso risultato mediamente ottenibile, ai nostri climi, abbassando di un altro grado la temperatura interna. Ma senza rischio per la salute!

Ovviamente una tale strategia deve tenere in conto due esigenze. La prima è il contemporaneo possibile maggior uso serale degli impianti di illuminazione. Dati alla mano, con la immediata adozione di lampade a Led (il cosiddetto relamping) potrebbe ogni ora aversi al più (non è infatti detto che anche di prima mattina d’inverno non debbano accendersi le luci, anzi) un fabbisogno serale aggiuntivo diffuso di energia elettrica di 0,5-1,0 Wh per metro cubo costruito; a fronte, il risparmio di calore, ogni ora di punta del freddo, andrebbe da un minimo di 1 Wh/mc per fabbricati ben coibentati in zone temperate, fino a  5-10 Wh/mc per quelli poco isolati in climi più rigidi. Anche assumendo un fattore 3 tra i rendimenti globali di produzione di calore e di elettricità, far slittare di 1 ora la fruizione degli edifici più energivori e con impianti meno efficienti potrebbe far risparmiare al sistema Italia, nelle condizioni più severe delle zone climatiche E ed F, da 0,2 fino a 1 mc di metano ogni 1000 metri cubi edificati (in Italia, tra abitazioni, uffici e commercio, abbiamo 18 miliardi di mc costruiti). Per ogni giorno di slittamento!

La seconda esigenza è di natura sociale: ritardare il lavoro di una o due ore richiede una sincronizzazione dei servizi ancillari a famiglie e lavoratori, quali assistenze, collaborazioni, asili nido, scuole primarie e altro.

Accendere il riscaldamento in casa, o entrare in ufficio, un’ora dopo. Dove e quando fa più freddo. Andando nella direzione opposta dell’ora legale: di un ritardo cioè, e non di un anticipo. Curando di non accrescere lo stress da rientro da quella estiva, in quanto il periodo da sperimentare cade tra dicembre e febbraio, a seconda del luogo e dell’immobile. E senza ulteriori abbassamenti della temperatura interna, a tutela – in una popolazione che invecchia - dei più vulnerabili da freddo e umidità. Cominciando dal relamping, possiamo agire subito. Pur continuando ovviamente a migliorare a medio termine la prestazione energetica degli edifici, e l’efficienza del sistema elettrico. E si potrebbe lasciare libertà alle amministrazioni - pubbliche e private - di valutare la misura in cui farlo. La distribuzione statistica delle adesioni aiuterà trasporti e servizi, grazie a uno scaglionamento orario della loro fruizione più esteso, a renderla più sostenibile.

Rielaborazione dell’articolo de Il Sole24Ore/Commenti, 4 ottobre 2022

(di Angelo Spena, Ordinario di Gestione ed Economia dell’Energia - Università di Roma “Tor Vergata”, su L'Astrolabio  - newsletter degli Amici della Terra -  del 18/10/2022)
 
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