“Acque della salute”. L’accoppiamento ai marchi Uliveto e Rocchetta è immediato: la popolarità dei personaggi che si vendono per pubblicità senza porsi problemi hanno dato il loro risultato. Nonostante tutte le autorità possibili e immaginabili che sanzionano le pubblicità ingannevoli si siano espresse dal 2004 ben SEI volte, e abbiano fatto pagare diverse multe: non solo la dizione “acque della salute” non corrisponde a realtà, ma tutte le istituzioni che certificano la presunta esclusività e bontà dei loro prodotti sono discutibili e datate (1).
Probabilmente avrebbero già smesso o chiuso se dietro non ci fosse un’azienda,CoGeDi International spa - Compagnia Generale di Distribuzione, “leader” nel mercato del settore, che fattura miliardi e compra spazi pubblicitari che, nel nostro regime economico, in genere induce a benevolenza mediatica, politica e giudiziaria.
Al punto in cui siamo (1), occorrerebbe fare chiarezza, aggiornare le analisi “pulendole” dal tipico manto pubblicitario dei volti rassicuranti delle bellezze umane e sportive. Non è solo un fatto privato di un’azienda che potrebbe aver rispettato o violato le leggi, ma riguarda tutti gli utenti dei servizi di informazione. Sta di fatto che i provvedimenti delle autorità preposte non sono riusciti, fino ad oggi, a far cambiare idea a questa azienda e far venire scrupoli a coloro che vendono la propria notorietà/corpo (“pecunia non olet”).
Le multe non bastano: gli importi che vengono pagati rappresentano la “tassa” per permettersi di continuare a violare le norme. Con costi per loro razionali e contenuti rispetto ai guadagni.
Occorre un altro tipo di intervento, penale. Non possiamo lasciare che la delicatissima parola “salute” sia patrimonio delle potenze economiche e mediatiche che, nel caso di cui scriviamo e non solo, sembra proprio che la usino a sproposito.
Prosciugare il metodo di guadagno di Uliveto e Rocchetta è una sorta di dovere civico e penale.
I nostri legali sono al lavoro per iniziative presso la procura della repubblica.
1 -
Qui la vicenda, ben argomentata dalla rivista “Il Fatto alimentare”
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