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Svizzera. Intervista al giurista Frank Th.Petermann. "Vietare le organizzazioni d'aiuto al suicidio e' incostituzionale"
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Articolo di hof
28 giugno 2009 0:00
 
L'avvocato Frank Th.Petermann e' considerato uno dei maggiori esperti di diritto in fatto d'assistenza al suicidio. L'intenzione del Governo di regolamentare la materia in modo piu' restrittivo la giudica un errore.

Signor Petermann, il Governo sta esaminando la possibilita' di proibire le organizzazioni d'aiuto al suicidio. Quali conseguenze potrebbe avere?
E' una domanda del tutto ipotetica, giacche' la decisione non spetta al Governo. Il divieto non ha possibilita' di successo in Parlamento. E se, al di la' di ogni aspettativa, riuscisse a ottenere la maggioranza, verrebbe senz'altro indetto un referendum per bocciarlo: gia' le due organizzazioni consorelle di Exit della Svizzera tedesca e francese contano su oltre 65.000 associati, e in base ai sondaggi, il 75% della popolazione condivide le norme attuali. Cosi' quel divieto verrebbe molto probabilmente bocciato dal popolo. Ma quand'anche vincesse, secondo me verrebbe ritenuto anticostituzionale, essendo in contrasto con il diritto all'autodeterminazione stabilito sia dalla Convenzione europea dei Diritti Umani sia dalla Costituzione elvetica.

Perche' il Governo sta esamindo il divieto?
Non glielo so dire perche' sono troppo poco addentro alle questioni politiche. La mia opinione e' che esistono solo due ordini di motivi perche' qualcuno sia contro l'aiuto al suicidio: di potere politico e di visione del mondo. Ma posso anche supporre che il tutto sia soltanto una finta per far passare le regole restrittive come "soluzione mediana".

Cosa intende per potere politico in questo contesto?
E' legato all'idea che chi s'uccide commette un "crimine contro la societa'", in quanto vi si sottrae. Per esempio, smette d'essere un contribuente o, se maschio, un soldato. Ma soprattutto: le persone che pensano e agiscono con autodeterminazione sono sudditi fastidiosi. Schiller lo esprime con la frase di Gertrud Stauffacher: "Un salto da questo ponte mi rende libera". Attraverso una regolamentazione restrittiva dell'assistenza al suicidio si puo' esercitare un potere sui cittadini. La cosa interessante e' che, storicamente, il suicidio veniva proibito quando un numero sempre maggiore di schiavi -proprieta' preziosa- si toglievano la vita.

Per motivi di visione del mondo intende religiosi?
Si', solo che non volevo dirlo in modo cosi' esplicito. Gia' il solo fatto che in un Pase secolarizzato alcuni gruppi pensino di poter tenere al guinzaglio persone che non condividono la loro visione religiosa, lo trovo scandaloso. In piu', ci sono altre riflessioni che rendono poco credibili i membri del Governo quando pretendono di fissare regole piu' rigide a tutela della vita: il Governo dice che ogni anno in Svizzera si verificano dai 20.000 ai 67.000 tentativi di suicido e, di questi, 18.650 - 65.650 falliscono, con conseguenze stimabili nel 5% della spesa sanitaria, pari a 2,5 miliardi di franchi all'anno. Ma proprio in questo campo, e malgrado le sollecitazioni, il Governo fa ben poco per migliorare la salute e la salvaguardia di quest'elevato numero di persone.

Obiezioni a una normativa troppo liberale nell'aiuto al suicidio vengono pero' anche da ambienti non motivati religiosamente. Loro parlano del dovere d'assistenza da parte dello Stato, che e' in rapporto conflittuale con il diritto all'autodeterminazione del singolo. Lei rifiuta il dovere d'assistenza dello Stato?
Soccorrere contro la volonta' dell'"assistito" e' una delle forme piu' perfide di violenza. In questo tipo di sostegno, spesso prevale il voler imporre le proprie idee anziche' la volonta' d'agire nell'interesse altrui. Inoltre, qui manca la chiarezza sul significato di "sostegno". Ad esempio, per sostegno io intenderei l'impegno a far si' che il minor numero possibile di persone si buttino sotto il treno. Dov'e' il soccorso per quell'ineguagliabile numero di coloro che falliscono nel loro solitario tentativo di suicidarsi? In questo contesto preferirei allora parlare d'aiuto contro una decisione precipitosa.
Per concretizzare la tutela contro decisioni affrettate si potrebbe pensare a un lasso di tempo minimo che intercorra tra la visita medica del candidato al suicidio e la messa in opera dell'atto. Nel caso del "turismo della morte" vengono sollecitati proprio questi termini. 
Sulla questione del "turismo della morte" esiste da anni una campagna di disinformazione. Si sostiene che non ci sia praticamente uno stacco tra la dichiarazione della volonta' di suicidarsi e il suicidio. Invece, dai dati dell'organizzazione d'assistenza al suicidio Dignitas che, diversamente da Exit presta la sua opera anche agli stranieri, nel 2005 l'intervallo tra la richiesta d'accompagnamento alla morte e la sua realizzazione e' stato in media di 140 giorni, e tra il momento in cui un medico si rendeva disponibile a redigere la ricetta e l'assistenza alla morte trascorrevano 66 giorni. Se mai, vedrei una regolamentazione di un termine unicamente per persone che non soffrono di malattie somatiche.

Gli psichiatri, che molto hanno a che fare con candidati al suicidio, dicono che non e' facile riconoscere che cosa ci sia dietro a quel desiderio. E che servono degli specialisti.
Qui bisogna distinguere. Conoscere l'origine del desiderio di suicidio e' una pre-condizione per poter aiutare una persona a non suicidarsi, aiutandola invece a risolvere il problema. Per farlo non occorre una conoscenza psichiatrica specifica, ma molto di piu' servono empatia e attenzione. Se il motivo del desiderio di suicidio e' chiaro e comprensibile, si pone allora il quesito della capacita' d''intendere e di volere del soggetto. Contrariamente all'opinione diffusa tra i medici, io sono dell'avviso che anche qui uno psichiatra non sia indispensabile. Se la persona appare complessivamente determinata, se mancano indizi di pazzia, se sa valutare cosa comporta il suo gesto per chi gli sta intorno, allora cadono gli argomenti d'incapacita' di giudizio. Altro e' se una persona si trova in una situazione acuta di crisi -divorzio, fallimento, ecc-. In quei casi ho sempre sostenuto che non si dovrebbe prestare aiuto al suicidio.

C'e' una vera necessita' di regole per l'assistenza al suicidio?
La necessita' la vedo soltanto per due aspetti. Da un lato, per la regolamentazione degli anestetici, dove la posizione legale del sodio pentobarbital, usato nell'aiuto al suicidio, e' opaca e insoddisfacente. Nella prassi ci si muove in una zona grigia, insoddisfacente dal punto di vista legale. Dall'altro, e' assurdo che ordini professionali e autorita' sanitarie impediscano ai medici disponibili ad aiutare persone intenzionate a suicidarsi, di redigere una ricetta per il sodio pentobarbital preceduta da informazioni esaurienti. In questi due ambiti si dovrebbe cercare di migliorare, tenendo sempre presente cio' che il tribunale federale ha riconosciuto come "l'ultimo diritto umano", ossia il diritto a decidere il come e il quando della propria morte.

Tratto da Neue Zürcher Zeitung, traduzione di Rosa a Marca
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