Ovviamente nessuno oggi partirebbe per visitare Israele, i Territori palestinesi o il Libano. E si contano sulle punte delle dita chi va in iraq o Siria. Si tratta, a parte Israele, di destinazioni che in questi ultimi decenni sono state comunque di un turismo di nicchia. Nicchia che però non è per due altri Paesi della zona, Egitto e Giordania, politicamente oltre che storicamente e geograficamente molto coinvolti nei conflitti in corso.
In questi giorni entrambi i Paesi, colpiti da diverse cancellazioni di viaggi, si sono fatti avanti per scongiurare queste disdette. Il “Jordan Tourism Board Italy” fa sapere che la Giordania è un paese mediororientale in pace con tutti, tranquillo e ospitale, e che dall’8 ottobre in poi (irruzione di Hamas in Israele) non si registrano problemi. Il ministro del turismo egiziano, volato nei giorni scorsi a Roma per tranquillizzare gli operatori turistici, ha ricordato che l’Egitto è un grande Paese che da sempre lavora per la pace e continua l’impegno in atto per migliorare i servizi (alberghi e trasporti).
Il sito del ministero italiano degli Esteri che segnala le situazioni di crisi per chi si reca all’estero (Viaggiare sicuri), non indica problemi per entrambi i Paesi.
Tutto a posto?
Certo, oggi potrebbe essere un problema anche fare un viaggio a Parigi, Bruxelles, Londra e Berlino, per esempio, dove si registrano episodi violenti filo-Hamas di intolleranza (spesso a caso e non con precisione di obiettivi). Ma è innegabile che Giordania ed Egitto non sono Paesi potenzialmente sicuri quanto le quattro capitali europee citate. Inoltre, la situazione in “zona” e non solo, può degenerare nel giro di poche ore e - non sarebbe la prima volta - le persone più colpite sono spesso i turisti, soprattutto se di Paesi che sostengono in qualche modo Israele.
Il nostro consiglio - non ce ne vogliano egiziani e giordani - è di evitare questi Paesi: la situazione è esplosiva (e potrebbe diventare tale anche a Roma… per inquadrare il contesto). L’archeologia, le bellezze naturali e storiche, le popolazioni di questi Paesi meritano di essere conosciute in presenza, ma non ora. Il fatto che loro ci rassicurano e che il nostro ministero degli Esteri non comunichi criticità, non basta… non sarebbe la prima volta che le istituzioni arrivano troppo tardi.
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