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Il valore delle nuove tecnologie genomiche. Deforestazione dei miti 
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Articolo di Primo Mastrantoni
8 ottobre 2022 11:32
 
 Tonnellate di legna ardevano ogni giorno nei forni per riscaldare l'acqua e gli ambienti delle terme degli antichi romani. Per millenni il legno fu usato per rendere calde le case, per cucinare, per costruire abitazioni, mobili, mezzi di trasporto e arnesi. Il risultato fu che intere foreste furono rase al suolo. Gli esseri umani hanno abbattuto alberi per millenni.
Poco dopo la fine dell'ultima era glaciale - circa 10mila anni fa - il 57% della terra abitabile del mondo era coperta da foreste per un toltale di 6 miliardi di ettari; oggi ne sono rimasti solo 4 miliardi. Il mondo ha così perso un terzo delle sue foreste. Metà della perdita totale si è verificata dall'8.000 a.C al 1900 d.C, l'altra metà nel secolo scorso.
La deforestazione non è un problema nuovo: popolazioni relativamente piccole del passato erano in grado di causare la perdita di grandi estensioni di alberi. Per la maggior parte del periodo precedente al 1900, gli esseri umani abbattevano le foreste anche con una popolazione decisamente inferiore all'attuale. Perfino con il più basilare degli stili di vita rispetto agli standard odierni, l' "impronta ambientale" pro capite dei nostri antenati è stata consistente. La bassa produttività agricola e la dipendenza dal legno come combustibile, hanno fatto sì che ampie zone boschive siano state spianate a causa della continua espansione della terra per usi agricoli, ancor più degli insediamenti urbani che rappresentano solo l'1% della terra abitabile. La grande impronta dell'umanità è dovuta a ciò che mangiamo, non dove viviamo.
 Il mondo ha superato il "picco di deforestazione" nel 1980 e da allora è in diminuzione. I miglioramenti nelle rese delle colture hanno avuto come conseguenza la riduzione della domanda pro capite di terreni agricoli. Dal 1961, la quantità di terra che utilizziamo per l'agricoltura è aumentata solo del 7%, mentre la  popolazione mondiale è aumentata più del doppio, passando da 3 a 8 miliardi. Ciò significa che i terreni agricoli pro capite sono stati più che dimezzati, scendendo da 1,4 a 0,6 ettari ("Our World in Data"). 

Le tecniche tradizionali di coltivazione hanno notevolmente aumentato la resa delle coltivazioni ma, con la crescente domanda di cibo e i cambiamenti climatici, sono necessari nuovi approcci per migliorare la produzione agricola. Senza dover attendere migliaia di anni per le mutazioni, si può ricorrere all'ingegneria genetica per avere migliori e maggiori prodotti agricoli; infatti, mais, soia e colza sono stati geneticamente modificati per ottimizzarne la resa e sono globalmente commercializzati - anche in Italia - nonostante un'irrazionale ostilità. 

Le Nuove tecnologie genomiche (Ngt) sono le più promettenti nel campo dell'ingegneria genetica, perché possono agire selettivamente su un singolo gene, permettendo miglioramenti nelle colture (resistenza agli insetti, agli stress idrici, efficienza nutrizionale) senza alterare l'insieme del genoma. Così si possono recuperare le aree dismesse e ripristinare gli ambienti precedentemente utilizzati. 

(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione dell'8 Ottobre 2022)
 
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