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C'E' UN GIUDICE A STRASBURGO
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Comunicato 
3 gennaio 2000 0:00
 


L'ITALIA CONDANNATA PER PROCESSO NON EQUO.
MA PER FAR SI' CHE QUESTE SENTENZE NON SIANO SOLO SODDISFAZIONE MORALE, OCCORRE INTERVENIRE IN TEMPO

Firenze, 3 gennaio 2000. Il caso di A.M. che stamane e' stato presentato in una conferenza stampa a Firenze, tenuta dall'avv.Lorenzo Zilletti e dall'avv.Antonio D'Avirro, e' indicatore che non tutto e' perduto quando si finisce nelle grinfie della giustizia italiana, perche' a Strasburgo c'e' un giudice, quello della Corte europea dei Diritti dell'uomo, ma bisogna intervenire in tempo, altrimenti diventa difficile.
Cosi' interviene il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito.
Il caso di A.M., condannato in via definitiva dalla Cassazione nel 1997 per atti di libidine in luogo pubblico, e' stato portato alla Corte Europea che, lo scorso 14 dicembre, con voto all'unanimita', ha condannato -con una multa di 50 milioni di lire piu' le spese legali dell'intera vicenda giudiziaria italiana ed europea (quasi 5 milioni di lire)- l'Italia per processo non equo, perche' ha violato l'articolo 6 della convenzione, che accorda all'accusato il diritto di "un'occasione adeguata e sufficiente per contestare una testimonianza a suo carico, e di interrogarne l'autore, al momento della deposizione o piu' tardi". Condizione che nel caso di A.M. non era stata rispettata, in quanto era stato condannato dopo una segnalazione giunta dagli Usa in seguito ad una dichiarazione dell'accusante (che non era neanche la vittima, ma il genitore) davanti a dei poliziotti.
A parte il fatto che la sentenza italiana viola anche l'articolo 111 della Costituzione, che stabilisce il diritto dell'imputato a interrogare o fare interrogare chi ha deposto contro di lui, rimane il macigno che la sentenza italiana e' irrevocabile, a meno che gli avvocati di A.M. non riescano ad ottenere una revisione (caso molto difficile, perche' le revisioni in Italia si ottengono con la presentazione di nuove prove, e la sentenza di Stasburgo non crediamo possa essere considerata tale).
Quello che intendiamo sottolineare, oltre all'importanza della sentenza di Stasburgo, e' che e' meglio intervenire in tempo, prima che in Italia sia emessa una sentenza definitiva, altrimenti riavere giustizia diventa difficile se non quasi impossibile.
E' prassi che il ricorso a Strasburgo sia fatto dopo che sono state esperite tutte le vie nazionali, ma e' una prassi che non e' scritta da alcuna parte della convenzione, ma e' solo una interpretazione corrente. Nulla vieta di chiedere l'intervento della Corte anche durante lo svolgimento del primo processo: spettera' poi ai giudici della Corte Europea stessa stabilire se e' il caso o meno di emettere una sentenza prima di quella italiana definitiva. E visto che in Italia ci sono ancora dei giudici che sentenziano come nel caso di A.M., e' meglio non lasciare tutto alla sola probabile soddisfazione finale di aver avuto ragione, ma -comunque- di essersi beccati una condanna.
 
 
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