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Rette Rsa. Il Tribunale di Firenze: illegittime le richieste ai parenti fondate sui 'contratti'
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Comunicato di Claudia Moretti
31 agosto 2012 10:30
 
Sono illegittimi i 'contratti' con cui i parenti dei pazienti ricoverati in Rsa vengono costretti ad assumersi l'onere del pagamento delle rette che invece dovrebbero per legge sostenere i Comuni.
Col deposito della sentenza del Tribunale di Firenze, Dott.ssa Dania Mori, si è conclusa la vicenda della sig.ra C., figlia di M. e di R., suoi genitori anziani non autosufficienti, ricoverati e deceduti presso una Residenza Sanitaria Assistenziale nel Comune di Borgo San Lorenzo. Sentenza che dichiara il difetto di giurisdizione e annulla le pretese economiche della struttura revocando il decreto ingiuntivo originariamente emesso nel 2009 a suo favore.
 
Alla sig.ra C. era stata ingiunta dal tribunale una somma di oltre 8000,00 euro a titolo di quota sociale della retta di ricovero. La struttura fondava le ragioni del proprio credito per aver la figlia firmato, all'atto di ingresso dei genitori (nel caso di specie, del padre), un “impegno al pagamento della retta di ricovero”. Impegno che viene illegittimamente preteso per procedere con il ricovero.
E' noto che la quota sociale spetta al Comune di residenza della persona ricoverata, con la compartecipazione della stessa, in base ai soli suoi redditi fiscalmente imponibili. I Comuni, fra cui quello di Borgo San Lorenzo, tuttavia, tramite convenzioni e regolamenti illegittimi, scaricano per intero i costi in questione su cittadini e famiglie.
E', infatti, prassi delle strutture che svolgono il servizio per conto delle istituzioni, far sottoscrivere impegnative “privatistiche” ai parenti al momento dell'ingresso, anche se effettuato per il tramite del servizio sociale del comune. Cosicché, a prescindere dalla legittimità o meno degli atti che determinano l'importo (spesso illegittimi), il pagamento spetti comunque al parente del paziente per intero ad altro titolo.
Il Tribunale di Firenze ha accolto l'opposizione della figlia, dichiarando che la materia non può esser regolata tramite “contratto” ma che invece si verte nell'ambito di “procedimento amministrativo” e come tale di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Non valgono le firme apposte all'ingresso della Rsa da parte dei pazienti o dei parenti ad aggirare le norme pubblicistiche che stabiliscono modi e criteri di ripartizione dei costi di degenza fra enti pubblici e cittadini.
Si legge: “...l'utente non ha “contrattato” il prezzo della prestazione sanitaria di assistenza con la Rsa convenuta, disponibile ad offrirgli tale servizio, nell'ambito di un normale rapporto sinallagmatico di tipo contrattuale, bensì è stato inserito nella Rsa a cura dei servizi sociali del Comune proprio perché avente diritto – avendone tutti i requisiti di legge – ad una particolare prestazione socio sanitaria (ricompresa nei c.d. Livelli Essenziali di Assistenza), prestazione che per legge l'ente pubblico gli deve garantire, anche se può farlo direttamente, oppure mediante strutture private all'uopo convenzionate.”
Peraltro, si chiarisce in sentenza, che il solo fatto di esser la Rsa a gestione privata non cambia certo le cose: “La gestione del servizio pubblico affidata per convenzione ad una struttura assistenziale privata, anziché resa direttamente dall'ente pubblico, non fa tuttavia mutare la natura del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione e quindi, questo servizio, che è sicuramente pubblico per antonomasia, non perde tale caratteristica solo perché offerto dalla struttura privata convenzionata con l'ente pubblico territoriale e con la Ausl”.
Questa sentenza, che annulla il decreto ingiuntivo, centra il punto in modo chiaro ed esaustivo. Non si può far rientrare dalla finestra (tramite uno pseudo-contratto), ciò che il legislatore ha messo fuori dalla porta. Si aggiunge, e per fortuna, al trend di sentenze positive (in particolare quelle del Consiglio di Stato) sull'argomento.
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