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Il Condominio. Compravendita di immobile e risoluzione del contratto per difformità edilizie
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Il condominio di Laura Cecchini
23 novembre 2023 14:02
 
Nell'ambito del mercato immobiliare ricorre, con sempre maggior frequenza, l'instaurazione di contenzioso giudiziale avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento del venditore conseguente alla presa di coscienza e consapevolezza, da parte dell'acquirente, di irregolarità e abusi edilizi nell'unità oggetto di compravendita.

La sentenza resa dal Tribunale di Cosenza (n.1787 del 30 ottobre 2023) è l'occasione per affrontare l'argomento con un approfondimento della normativa e Giurisprudenza dettata in materia.

Sul tema, per un compiuto ed agevole inquadramento preliminare, è utile ricordare che la nozione di abuso edilizio interessa: (i) l'avvenuta realizzazione di opere senza che sia intervenuta alcuna preventiva e doverosa richiesta di permesso agli uffici competenti e, per l'effetto, autorizzazione e (ii) l'esecuzione di interventi difformemente dal progetto presentato e approvato.

In questo contesto, ulteriormente, non possiamo omettere di rilevare che, comunque, il cosiddetto "benestare" rilasciato dalle autorità preposte, sotto il profilo edilizio - urbanistico, non esclude la necessità di un assenso di terzi, quali il condominio, qualora i lavori interessino parti comuni dell'edificio ed incidano, con modifiche, sulle stesse.

Compravendita di immobile e risoluzione del contratto per difformità edilizie. Fatto e decisione
L'acquirente di un unità immobiliare ad uso di civile abitazione ha convenuto avanti al Tribunale il venditore chiedendo - in via principale - la nullità del contratto di compravendita per gravi irregolarità edilizie taciute alla medesima o, - in subordine - , la risoluzione del contratto per grave inadempimento dello stesso con richiesta di rimborso della somma versata oltre al risarcimento danni.

A sostegno della azione promossa l'acquirente ha dedotto ed eccepito che l'immobile oggetto del contratto non era abitabile in quanto, non solo la canna fumaria non era posizionata a norma ma, altresì, poiché si erano verificati episodi di percolazioni dalla copertura condominiale la cui causa era da attribuirsi, in aderenza all'esito dell'accertamento tecnico preventivo esperito, da opere eseguite al tetto, poste in essere dal venditore senza le doverose autorizzazioni ed il consenso del condominio.

In proposito, è stato illustrato e documentato che i lavori compiuti dal venditore hanno apportato modifiche importanti alla falda del tetto, essendo stato realizzato all'interno dell'immobile un locale non esistente in precedenza, con correlato aumento di volumetria, in assenza di alcuna preventiva autorizzazione edilizia.

In considerazione di ciò, lo stato di fatto dichiarato al rogito notarile non è risultato corrispondente a quello reale, non essendo conforme alla DIA presentata.

Al contempo, l'acquirente ha rilevato come, sebbene fosse stata risolta, dallo stesso venditore, la problematica lamentata per la canna fumaria, persisteva quella inerente l'abuso edilizio da cui avevano origine le infiltrazioni che impediva la commerciabilità del bene.
Il venditore si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto delle domande avanzate all'uopo contestando che le difformità edilizie, in quanto parziali, non configuravano un'ipotesi di nullità dell'atto precisando che il condominio non aveva chiesto alcuna indennità ed era ormai decorso un anno dalla consegna dell'abitazione, motivo per cui erano spirati i termini di decadenza e prescrizione dell'azione.

Il Giudice assumeva le prove testimoniali e disponeva CTU.

Ipotesi di nullità ex art. 46 D.P.R. n.380/2001
In tema di contratto di compravendita, il disposto precettivo di cui all'art. 46 D.P.R. n.380/2001 ed agli artt. 17 e 40 Legge n.47/1985 impone la indicazione nell'atto degli estremi del titolo abilitativo, quale requisito indefettibile posto a pena di nullità.

Sul punto, preme evidenziare che la nullità prevista dal richiamato art. 46 è di natura "testuale" ed interessa gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono e, quindi, è univocamente diretta a sanzionare la mancata inclusione negli stessi degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile.

Tale ipotesi di nullità è, altresì, riconducibile al dettato dell'art.1418, comma III, c.c., secondo il quale "Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge" e di cui, quindi, costituisce una espressa declinazione.

Tanto premesso, è opportuno rappresentare che, in concreto, il requisito formale atteso dalla citata norma è soddisfatto laddove nell'atto sia resa dal venditore una dichiarazione comprensiva degli estremi del titolo urbanistico, reale e afferente all'immobile.

In ragione di ciò, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione e/o opera realizzata.

Il principio sopra espresso è stato affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale ha riconosciuto che "In tema di contratti aventi ad oggetto diritti reali su immobili, sussistendo il requisito di forma richiesto dalla legge, ossia la indicazione degli estremi del permesso di costruire o dell'istanza di sanatoria, l'eventuale difformità sostanziale della costruzione rispetto al titolo abilitativo non comporta nullità del contratto, ma rileva in termini di inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto" (Cassazione Civile sez. n., 22/03/2019, n.8230).

 Acquisto immobile con difformità: quando si prescrive l'azione di risoluzione?
Alla luce della normativa richiamata, come confortata dalla interpretazione della Giurisprudenza di Legittimità, ne deriva che se la dichiarazione de qua è stata manifestata nel corpo del contratto, la esistenza di difformità edilizie, come nella fattispecie in esame, non configura un'ipotesi di nullità.

Abuso edilizio e risoluzione del contratto
Fermo quanto sopra esposto, l'acquirente ha pur sempre la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto quando sia stata accertata la sussistenza di un abuso edilizio, non conosciuto al momento della stipula del rogito, se è compromessa la abitabilità dell'immobile.

Sul punto, appare confacente rammentare che, nelle compravendite di immobili destinati ad uso di civile abitazione, grava sul venditore l'obbligo di consegnare il relativo certificato di abitabilità ai sensi e per gli effetti dell'art. 1477, comma III, c.c.

Invero, il certificato di abitabilità integra un requisito giuridico essenziale ai fini non solo del legittimo godimento ed uso, ma anche della normale commerciabilità del bene.

A tal riguardo, è dirimente accertare se le difformità riscontrate possono essere sanate o meno.

Nel primo caso, l'inadempimento del venditore comporterà, unicamente, il diritto al risarcimento del danno, mentre nel secondo, ovvero qualora le difformità non possano essere sanate, non ricorrendo neppure le condizioni propedeutiche a consentire il rilascio del certificato di abitabilità, si configura una ipotesi di vendita di aliud pro alio ed il correlato diritto a chiedere la risoluzione del contratto.

A conferma, l'orientamento della Giurisprudenza di Legittimità è consolidato nel riconoscere che "In tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l'ipotesi di vendita di "aliud pro alio" qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l'ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l'ipotesi dell'inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa" (Cassazione civile sez. II, 02/08/2023, n.23604).

Ebbene, venendo alla disamina e trattazione del caso concreto, dalla consulenza tecnica esperita nel corso del giudizio, come ammesso anche dallo stesso venditore, è emerso che quest'ultimo, dopo aver completato i lavori e chiuso le pratiche edilizie avviate per le stesse, ha realizzato ulteriori modifiche all'immobile di rilevante entità, aumentando anche la volumetria e la superficie abitabile.

Pertanto, la planimetria catastale prodotta ed allegata in sede di compravendita, seppur rispondente a quella depositata presso gli uffici del Comune, non è risultata conforme allo stato di fatto dell'abitazione.

Preso di tale situazione, il CTU ha accertato l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi che hanno interessato anche la copertura condominiale, in assenza di alcuna preventiva e necessaria autorizzazione.

Peraltro, l'indagine espletata ha rilevato che le difformità riscontrate integrano abusi edilizi sanabili solo con la rimessa in pristino dello stato dei luoghi, ivi compreso il tetto, da cui ne consegue sia una significativa riduzione della metratura dell'immobile che una sostanziale riduzione e differente distribuzione dei locali.

In ragione di tali risultanze, il Giudicante ha, giustamente, ritenuto di inquadrare la fattispecie nella vendita di aliud pro alio poiché con il ripristino delle condizioni dell'immobile in conformità al titolo edilizio non sarebbero più state realizzate le esigenze abitative per le quali lo stesso era stato acquistato, trattandosi di modifiche ingenti e sostanziali.

Il Tribunale ha accolto la domanda di risoluzione del contratto avanzata dell'acquirente con restituzione di quanto versato, rigettando la domanda di risarcimento del danno non essendo stato assolto l'onere probatorio.

(Pubblicato anche su Condominioweb.com)
 
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