Una
sentenza del Tribunale di Prato di pochi giorni fa ha affrontato nell’ambito di un medesimo giudizio, tre aspetti interessanti relativi rispettivamente ai requisiti che l’amministratore di condominio deve rispettare al fine dell’instaurazione di un valido rapporto di amministrazione condominiale, all’eventuale obbligo di rilevare la nullità di una delibera in sede di mediazione e al termine di impugnazione della stessa, ed infine ai requisiti necessari per chiedere la condanna al risarcimento danni per lite temeraria.
Il Tribunale rileva che l’art. 1129, c. 14 c.c. (ai sensi della quale “l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”) prevede un’ipotesi di nullità testuale della delibera di nomina dell’amministratore condominiale che non rechi la specifica indicazione del suo compenso.
Infatti, a seguito della riforma introdotta con la legge n. 220/2012, la costituzione di un valido rapporto di amministrazione condominiale richiede la sussistenza di un documento, approvato dall’assemblea, che rechi l’importo dovuto a titolo di compenso; la Corte di Cassazione ha evidenziato che detto requisito formale può ritenersi soddisfatto anche in presenza di un richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso (cfr. Cass. 22/04/2022 n. 12927 ). Tale previsione, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’amministratore, è tassativa e non ammette equipollenti.
Non basta quindi riportarsi semplicemente ad un vecchio preventivo indicando che “”i condomini presenti all’unanimità respingono le dimissioni e riconfermano l’attuale amministratore confermando anche il preventivo di spese annuali di loro conoscenza”, in quanto tale generica dicitura non soddisfa i requisiti imposti dalla normativa.
Proprio perché la sanzione prevista è quella della nullità (e non dell’annullamento) la contestazione di tale profilo di censura non soggiace al termine decadenziale di 30 giorni, che l’art. 1137 c. c.c. impone esclusivamente per la proposizione dell’azione di annullamento.
Non vi è pertanto obbligo di adire l’autorità giudiziaria nel termine di 30 giorni qualora si debbano impugnare delibere inesistenti e nulle, aggredibili in ogni tempo da chiunque dimostri di avervi interesse, come nel caso di delibera di nomina di amministratore di condominio, il quale tuttavia non abbia indicato specificatamente il proprio compenso.
Il Tribunale rileva poi che non appare meritevole di accoglimento l’eccezione di parte convenuta secondo cui la censura di nullità sarebbe improcedibile in quanto non rilevata in sede di mediazione.
Il Tribunale afferma così un altro principio, per cui qualora l’eccezione di nullità di delibera assembleare non venga dedotta da parte attrice in sede di mediazione obbligatoria, quand’anche il giudice rilevi d’ufficio la suddetta nullità, non è tenuto a delegare alle parti una nuova procedura di mediazione; a maggior ragione un tale obbligo non può sussistere qualora l’eccezione di nullità sia stata effettuata dalle parti.
Infine, il Tribunale affronta anche il tema della c.d. lite temeraria e relativa richiesta di condanna al risarcimento del danno, distinguendo l’ipotesi in cui si riconduca la domanda all’art. 96 comma 1 c.p.c., nel qual caso la stessa costituisce una forma speciale di responsabilità contrattuale, che dunque soggiace alla disciplina della ripartizione degli oneri probatori dettati per l’art. 2043 c.c.
Pertanto, la parte che agisce per la condanna al risarcimento del danno c.d. da “lite temeraria” è quindi tenuta a provare
• l’esistenza e la misura del pregiudizioche la stessa assume di aver subito,
• la circostanza che l’azione è stata esperita con mala fede o colpa grave e
• la sussistenza di un nesso eziologico tra il preteso danno e l’altrui comportamento colpevole .
Sarà quindi necessario allegare quale pregiudizio le parti avrebbero subito in conseguenza dell’azione o della costituzione nel giudizio. Omissione, questa, che non può neanche essere sopperita con il ricorso alla liquidazione in via equitativa da parte del giudice, la cui applicazione presuppone comunque che la parte abbia fornito prova di aver subito un pregiudizio.
Ove poi si riconduca la richiesta risarcitoria all’ipotesi prevista dall’art. 96 comma 3 c.p.c., la stessa non merita comunque accoglimento considerato che secondo la giurisprudenza di legittimità la mera infondatezza, quand’anche manifesta, delle tesi prospettate da una parte non è elemento di per sé sufficiente a giustificare l’accertamento della sua responsabilità aggravata (cfr. Cass. 03/05/2022 b. 13859 ).
(anche su IlSole24Ore del 02/10/2023)
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