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ALLA STAGION DE' SALDI.....
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 gennaio 2003 0:00
 
Ogni volta che spunta una nuova stagione di saldi e mi ritrovo a passare per le strade fra molte vetrine schermate da cartelli che promettono all'acquirente affari mirabolanti, confesso che mi viene una discreta irritazione. Il fatto e' che, di fronte al crollo dei prezzi che viene sbandierato (anche del 50 e piu' per cento), mi si affaccia una domanda scomoda che non posso eludere: ma chi e' il derubato? Io, fino a ieri, quando il prezzo era pieno, o il commerciante, oggi, che dice di regalare? E siccome non mi piace ne' la parte di derubata ne' quella di derubante, resto in compagnia di un grande fastidio.
E poi, naturalmente, mi chiedo: ma perche' non fanno gia' in partenza dei prezzi inferiori? Gli rimarrebbero senza dubbio meno pezzi invenduti e a quel punto potrebbero, si', abbassare i prezzi ma in modo meno indecente e offensivo per tutti -anche, ne sono certa, per se stessi.

Quando mi e' capitato di fare questa considerazione a qualcuno vicino al settore, mi sono sentita obiettare che gli sconti sarebbero legati al fatto che ormai, per i vari articoli, l'assortimento e' limitato. Il cliente, a quel punto, prende quello che trova -se lo trova- in fatto di taglia, foggia, colore. Quando, invece, vi e' ampia possibilita' di scelta, il che viene considerato come un migliore servizio al cliente, questo stesso fatto giustificherebbe il prezzo piu' elevato. E' un'osservazione che ha un senso, ma che non giustifica, secondo me, l'eccessiva differenza ormai corrente fra il prezzo "normale" e il prezzo di "saldo" e soprattutto non dice niente sull'effettivo valore della merce. Oltre tutto, in un negozio normale, l'assortimento pieno viene meno dopo poche vendite, e quindi gli sconti dovrebbero partire -come, in effetti, sono partiti in alcuni casi quest'anno- entro breve tempo.

L'impressione che mi resta e' che ci sia qualcos'altro. Potrebbe essere un intreccio di timori e di preconcetti?
Per esempio, il timore del commerciante che non ha poi cosi' tanta fiducia che le cose vadano bene e, quindi, cerca di salvaguardarsi in prima battuta, facendo un prezzo che gli assicuri un rientro dopo poche vendite. Il resto e'.... grasso che cola. Una cosa del genere si assortisce (e' proprio il caso di dirlo) benissimo con l'idea preconcetta, e molto diffusa, che un prezzo elevato sia garanzia di buona qualita', di buon gusto, di distinzione. Ciascuno di noi, a ben guardare, ha molteplici esperienze -qualcuna anche scottante- che testimoniano il contrario, eppure il prezzo elevato sembra conferire pregio a una merce. Che, naturalmente, diventa ancora piu' appetibile, quando il prezzo scende. E', questo, solo un fatto pragmatico, di convenienza spicciola? O puo' esserci anche una qualche implicazione piu' profonda, forse non solo psicologica, legata al fatto che cio' che prima era su, su, nella scala del valore economico, magari anche a un livello poco o nient'affatto raggiungibile, adesso, e' come se si degnasse di scendere verso di me, persona comune (perche' di comune potere d'acquisto), per rendermi partecipe, in certo qual modo, della sua intrinseca elevatezza?
Se ci fosse in ballo qualcosa di simile, tutta la questione dei prezzi pieni e dei saldi non acquisterebbe una luce diversa da quella puramente economica? Non potrebbe avere, tutto quanto, la natura di un vero e proprio rito -con tutta la serieta' che comporta una cosa del genere?
-con i commercianti in veste di officianti di questo rito, in quanto coloro che mediano fra me e la merce oggetto del mio desiderio di elevazione, o di felicita', o di....(qualunque altra cosa a piacere).

E dove trovare, allora, una difesa seria dagli abusi di alcuni (molti, troppi?) di questi commercianti a cui conferiamo, senza accorgercene, questo grande potere? Come salvaguardare l'integrita' dei nostri portafogli -ma, in primo luogo, quella di noi stessi?

Non bastano le associazioni dei consumatori. Sono preziose, ma non bastano. Perche' esse possono agire solo a livello esteriore, ma nel nostro intimo ci possiamo avventurare soltanto da noi, in prima persona. E non vi e' dubbio che quei bisogni, che all'esterno cercano di trovare appagamento in un rito, risiedano dentro di noi, siano parte di noi.
Siamo noi, proprio noi, gli unici in grado di vedere come stanno davvero le cose.

Ci sono dei momenti piu' favorevoli a un'osservazione attenta e disincantata della nostra realta' umana, e a me pare che questo periodo sia uno di essi. Perche' la situazione difficile che stiamo vivendo, il minor potere d'acquisto del nostro denaro, la poverta' che avanza con la disoccupazione e la precarieta' del lavoro, che e' pur sempre l'unica fonte di reddito per la maggioranza della gente, ci obbliga a fermarci, a farci i conti in tasca, a confrontarci con cio' che e' cosi' com'e'.
Non potremmo coglierla al volo, questa meravigliosa occasione, proprio per fare un passo avanti rispetto ai preconcetti, alle abitudini, alle apparenze?
Che cosa mi serve sul serio? Di che cosa ho veramente bisogno? Di che cosa hanno veramente bisogno mia figlia, mio figlio -le persone che mi stanno accanto?
So, di prima mano, cosa significano parole come necessita', utilita', superfluita'? Cosa sono per me, proprio per me, gli oggetti? E per se stesso, un oggetto, sara' qualcosa o no? Perche' questo mi pare un punto importante. Puo', un oggetto impersonare, ad esempio, il senso di sicurezza che non riesco a trovare da nessuna parte? Oppure, conferirmi la stima di me, di cui ho un gran bisogno, ma mi sento continuamente negata? Puo' un oggetto rappresentare al posto mio l'attenzione e la cura per quella data persona -piccola o grande che sia- che non mi riesce o non mi va di prestare nella misura richiesta?

Ma se gli oggetti fossero SOLO cio' che -peraltro onestamente- dicono di essere, che cosa dovremmo aspettarci se non che facciano bene la loro unica parte? Che cosa chiedere a un cappotto di piu' che ripararci dal freddo, a un CD di riprodurre bene la musica, a un paio di scarpe di farci camminare con comodita'?
E, allora, ogni altra incombenza a loro assegnata non puo' diventare un'illusione pericolosa creata, comunque, con la nostra diretta -anche se inconsapevole- complicita'?

Piu' guardo la cosa, piu' si fa largo l'impressione che la parola-chiave di tutta questa faccenda sia "POTERE".
Ci accorgiamo del potere che abbiamo, anche se e quando ci sembri di essere i piu' miseri e impotenti della terra? Ci rendiamo conto della inalienabile responsabilita' che portiamo nei confronti di questo potere? Che cosa accade quando lo ignoriamo, lo trascuriamo o cerchiamo di abdicare ad esso e lo trasferiamo su un oggetto (o su un altro essere umano) perche' ci rappresenti la' dove non abbiamo voglia o temiamo di spenderci in prima persona? Che costi ha un'operazione del genere? E questo nostro potere, che abbiamo voluto trasferire altrove, che cosa diventa, quale ritorno puo' avere? Non potrebbe essere qui una radice della dipendenza?

Come sara' andar per saldi in compagnia di questa cascata di interrogativi? Tutto sta a provare. Chissa', potrebbe anche essere che gli acquisti (o i non acquisti) diventino piu' divertenti e ci diano piu' soddisfazione.

 
 
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