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Il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Hiroshima
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
13 marzo 2025 8:23
 
L’8 marzo scorso, durante la sua visita in Giappone, il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato il Memoriale e il Museo della Pace di Hiroshima. In questa occasione ha incontrato i sopravvissuti ai bombardamenti atomici (in giapponese: Hibakusha) di Hiroshima, colpita il 6 agosto 1945, e Nagasaki, colpita il 9 agosto, rivolgendo loro il discorso , che si può leggere di seguito. La scelta di consentire la lettura integrale del discorso di Mattarella è dovuta alla convinzione che in questo momento di così grande confusione a livello nazionale e internazionale, in cui sembrano prevalere la crudeltà, il cinismo e la riduzione dell’essere umano a mero oggetto commerciale, le parole del nostro Presidente ci indichino la strada giusta da percorrere se vogliamo conservare la nostra umanità e la nostra rettitudine.
(l’uso del grassetto in certi passaggi è una scelta mia).
 
«È con profondo rispetto e con sentimento di partecipazione che prendo la parola.
Ringrazio il co-Presidente Mimaki per le parole di benvenuto e le autorità locali che hanno voluto associarsi a questo incontro, che giunge al termine della toccante visita che ho appena effettuato all’interno del Parco del Memoriale della Pace.
Con il suo braciere rivolto al cielo, con lo struggente monumento ai bambini, con la Cupola della bomba atomica, scheletrica e silente, esso è simbolo universale, ovunque riconoscibile, della furia distruggitrice dell’uomo e, al contempo, di resilienza.
L’architettura di questo complesso monumentale è eloquente, evocativa, ma nulla quanto la vostra testimonianza, parla del dramma della guerra e del valore della vita.
La testimonianza personale, delle esperienze vissute da ciascuno in quei fatali momenti dell’agosto del 1945 e nelle atroci settimane che seguirono ai bombardamenti atomici di Hiroshima e di Nagasaki.
La testimonianza collettiva, con l’Associazione Nihon Hidankyo, che dal 1956, con instancabile dedizione, offre all’umanità intera un monito alto e severo.
Il conferimento del Premio Nobel per la Pace per il 2024 è il meritato tributo al valore incommensurabile del vostro costante impegno alla riflessione sulla tragedia atomica e sulle cicatrici indelebili ch’essa ha lasciato sul pianeta e nella coscienza collettiva del mondo.
Questo prestigioso riconoscimento - per il quale mi congratulo - auspico possa ispirare le future generazioni affinché colgano il valore della memoria delle tragedie dell’umanità, non ne smarriscano il senso e sappiano farne tesoro nell’esercizio delle loro responsabilità.
Cari Hibakusha,
non è retorica definire un privilegio l’essere qui con voi.
Induce a riflettere quanto ha detto il Professor Terumi Tanaka nel ricevere il Premio Nobel.
A Oslo ha evocato con accuratezza straordinaria la devastazione di Nagasaki.
Ha ripercorso, con parole commoventi e con lucidità efficace, gli eventi che hanno segnato la sua vita e quella di milioni di persone.
Ha ricordato il fragore dell’esplosione, la luce accecante che ha trasformato la realtà in un incubo, il silenzio surreale che ne è seguito.
Ha posto in luce la sofferenza fisica e il trauma che hanno segnato le persone in maniera indelebile.
Ma non si è trattato soltanto della rievocazione del dolore del passato, del calvario, delle malattie della popolazione, dei tormenti sofferti dai sopravvissuti ai bombardamenti atomici del 6 e del 9 agosto 1945.
L’impegno della vostra Associazione per la pace e contro la proliferazione delle armi nucleari, ha sempre espresso un appello accorato per il futuro: che nessun altro popolo, che nessun altro Paese debba mai affrontare una tragedia simile.
Mai più!
La vostra azione - di valore universale - ha saputo ispirare i tanti movimenti che, nel mondo, hanno testimoniato opposizione all’arma atomica e al suo uso.
Anche in Italia si prese coscienza - per usare le parole della scrittrice Elsa Morante - contro “l’occulta tentazione di disintegrarsi” con le bombe “orchesse balene”.
Grazie, cari Hibakusha, per aver sottolineato che l’orrore da voi vissuto deve rimanere unico, tragico, spartiacque nella Storia.
Una cesura irreversibile nel percorso dell’umanità, affinché non sia più varcata la soglia dell’annientamento nucleare.

Signore e signori,
occorre oggi interrogarsi.
Il dramma che si è consumato a Hiroshima e Nagasaki, suona a sufficienza quale richiamo alle coscienze sulla capacità autodistruttiva che l’umanità ha generato?
A ottant’anni di distanza, quei due lampi accecanti, quelle due onde d’urto inimmaginabili, costituiscono ancor oggi un monito intangibile, il fulcro di una avvertita coscienza?
L’atrocità di quei due momenti, le terribili conseguenze delle radiazioni, contribuirono a formare il consenso internazionale intorno a un imperativo morale: che la bomba atomica non dovesse mai più essere utilizzata.
Da quell’orrore trasse nuovo vigore il dibattito sul disarmo.
Il Trattato di Non Proliferazione del 1968, ancor oggi architrave della vita internazionale, cristallizza un impegno che ogni Stato ha assunto il dovere di onorare.

Eppure, oggi, l’architettura del disarmo e della stessa non proliferazione delle armi di distruzione di massa appare minata da irresponsabili retoriche di conflitto, quando non dai conflitti in atto.
Minacce di ricorso agli ordigni nucleari sono pronunciate con sconsideratezza inquietante.
Sono in gioco i destini dell’umanità.

Trattati fondamentali sono ostacolati o abbandonati.
Si vagheggia persino di “armare” lo spazio extra atmosferico, sottraendolo a una cooperazione pacifica a beneficio di tutti.
Il tabù nucleare – pilastro nei rapporti internazionali per decenni – viene eroso, pubblicizzando l’esistenza di armamenti atomici di cui si sottolinea la portata cosiddetta “limitata”, controllabile, asseritamente circoscritta a singoli teatri di operazioni e, dunque, implicitamente suggerendo la loro accettabilità nell’ambito di guerre che si pretenderebbero locali.
La Federazione Russa, in particolare, si è fatta promotrice di una rinnovata e pericolosa narrativa nucleare, a cui si aggiungono il blocco dei lavori del Trattato di Non Proliferazione, il ritiro dalla ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari e le minacce rivolte all’Ucraina, instillando l’inaccettabile idea che ordigni nucleari possano divenire strumento ordinario nella gestione dei conflitti come se non conducessero inevitabilmente alla distruzione totale.
La Repubblica Italiana condanna fermamente queste derive pericolose.


Occorre ribadire, con determinazione inequivocabile, che una guerra nucleare non può essere vinta da alcuno e non deve mai essere combattuta.
Le potenze nucleari, soprattutto quelle che siedono quali membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non possono esimersi dal rispettare gli obblighi che hanno concorso a definire.
Il dialogo strategico ha, sin qui, evitato un nuovo olocausto nucleare. Occorre impedire che la logica dello scontro porti a imboccare sentieri forieri soltanto di indicibili sofferenze, lutti, distruzione.
Le minacce si vanno moltiplicando, con lo sviluppo di arsenali la cui unica giustificazione appare quella dell’aggressione e della dominazione e non della difesa.
In questa area del mondo che ha così sofferto appare imperdonabile l’atteggiamento della Corea del Nord. Pyongyang deve abbandonare immediatamente il proprio programma atomico e missilistico, e impegnarsi nel percorso della denuclearizzazione della penisola coreana.
Al termine di una guerra disastrosa, di cui sono stati, purtroppo, corresponsabili, il Giappone e l’Italia hanno saputo contribuire alla ricostruzione di un ordine internazionale fondato su regole condivise e valide per tutti, a tutela della pace, della stabilità e, quindi, anche dello sviluppo economico e sociale.
Non è immaginabile essere, oggi, corresponsabili di un ritorno a criteri di scontri imperialistici che contraddicono il faticoso cammino compiuto dall’umanità negli ultimi ottant’anni.
Insieme siamo chiamati a sostenere le nostre civiltà e gli ordinamenti che hanno consentito loro di risollevarsi e di crescere.
Il contributo alla vicenda internazionale che Giappone e Italia hanno offerto e continuano ad offrire è tanto più prezioso nel momento in cui assistiamo a pulsioni di dominio che ruotano intorno a concetti di potenza e a logiche di spartizione in cui i popoli altrui diventano oggetti.

Desidero ringraziare il Giappone per il ruolo di primo piano nel dibattito globale sul disarmo nucleare.
Una posizione che affonda le sue radici nell’esperienza sconvolgente della devastazione atomica.
Non è un caso che durante la presidenza giapponese del G7 i leader mondiali abbiano adottato la Visione di Hiroshima sul disarmo nucleare, riaffermando con fermezza l’auspicio di un mondo libero da tali minacce. L’Italia abbraccia con convinzione questo percorso e rinnova il suo impegno nella piena realizzazione dell’Articolo VI del Trattato di Non Proliferazione.
Roma riconosce l’urgenza di un’azione condivisa che coinvolga necessariamente tutte le potenze nucleari.
Con profonda consapevolezza continuiamo a sostenere questi processi e le attività delle organizzazioni internazionali – consessi, per quanto imperfetti, imprescindibili – di dialogo e di confronto, convinti come siamo che un multilateralismo efficace sia il miglior presidio per la pace.
Non è - come qualcuno vorrebbe pretendere - un confronto tra illuse anime “belle” e “realisti”, bensì tra le ragioni della vita e le ragioni della morte. Tra le ragioni della pace e quelle dello scontro.
Tra le ragioni che hanno dato vita a ordinamenti internazionali in cui gli Stati si sono impegnati al rispetto di norme che non contraddicano mai la dignità degli esseri umani e i diritti inviolabili della persona e le ricorrenti tentazioni di assumere, dall’altra parte, comportamenti che le smentiscano nei fatti.
Le tragedie vissute nel ‘900 hanno visto gli Stati sottoscrivere Convenzioni internazionali orientate all’obiettivo di prevenire gli orrori vissuti e fra essi l’olocausto nucleare di popolazioni civili.
Ogni volta che ce ne discostiamo poniamo a rischio pace e convivenza internazionale, diritti e dignità delle persone. 

Cari Hibakusha,
la vostra testimonianza è un dono inestimabile perché è tramite vostro che possiamo comprendere quel che non può essere narrato. La Storia scritta sui libri non riesce a esprimere le cicatrici che voi portate e che parlano direttamente alla coscienza dei popoli.
I vostri occhi trasmettono, come null’altro potrà mai fare, l’orrore della devastazione nucleare.
Non possiamo permettere che la scomparsa, anno dopo anno, dei testimoni diretti di quei tragici eventi ne renda sbiadito il ricordo e apra spazio all’oblio. E, con esso, al ripetersi di eventi drammatici.
La vostra esperienza va tramandata, come responsabilità comune, alle future generazioni, affinché non cadano nell’illusione che il passato sia un’ombra lontana, priva di insegnamenti.
La memoria è resistenza contro l’ignoranza. È educazione alla pace, alla dignità umana, alla consapevolezza della fragilità della nostra esistenza. 
Il vostro insegnamento rappresenta un messaggio di speranza.
Speranza in un’umanità capace di apprendere dai propri errori, di costruire un mondo in cui nessuno debba più sperimentare ciò che voi avete vissuto.
Avete lottato per un mondo migliore. Tocca a tutti noi continuare.
Vi ringrazio per aver scelto di trasformare il dolore in monito, la sofferenza in speranza, la tragedia in impegno.
Vi sono riconoscente per questo incontro».
 
I discorsi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sono leggibili qui  
 
 
 
 
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