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Anelare alla dittatura significa calpestare per primi la propria libertà e soprattutto la propria dignità
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
5 settembre 2024 11:06
 
Mi inquieta molto la così netta affermazione di “Alternative für Deutschland” (AFD) nelle elezioni regionali in Sassonia e Turingia, due Länder (Regioni) della ex Germania est, quella che restò in balia dell’Unione Sovietica dalla fine della seconda guerra mondiale sino al 1989.
Possibile che in regioni, dove la popolazione ha subito per più di cinquanta anni, una dietro l’altra, due tremende dittature, quella nazista dal 1933 e quella imposta dall’URSS, dal 1945, possa affermarsi una nostalgia così grande di una nuova tirannia? Evidentemente sì. Ma perché?
 
A questo proposito mi tornano in mente due episodi del mio passato, uno dei primi anni Ottanta e un altro proprio al tempo della riunificazione delle due Germanie.
Il primo riguarda un libro di un autore della Germania est, di cui non ricordo il nome. Si trattava di una serie di racconti che si svolgevano nella “sogenannte DDR” (cioè: la cosiddetta Repubblica Democratica Tedesca, come veniva chiamata, all’Ovest, la Germania orientale); precisamente in una zona rurale con protagonisti contadini costretti a lavorare la terra come voleva il partito comunista. Mi è rimasta l’impressione di un paesaggio piatto e soffocante e di gente, soprattutto uomini, dominata da un sordo risentimento verso gli attuali “padroni”, e venato da una certa qual nostalgia per quello che c’era stato prima, che era, alla fin fine, il nazismo.
Quella lettura, ora me lo ricordo bene, mi lasciò l’amaro in bocca.
Il 3 ottobre 1990, poco più di un anno dalla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989), fu sancita la riunificazione delle due Germanie, di cui parla un film famoso e di successo del 2003, "Good by Lenin!" , la cui vicenda è intessuta di tristezza e ironia.
Proprio a quell’epoca avevo occasione di frequentare un giovane tedesco dell’Ovest che sulla riunificazione fu lapidario: «Abbiamo comprato 17 milioni di naziskin!». Io rimasi basita. Ma ... aveva qualche ragione per dire così?
Mi ha aperto gli occhi sull’argomento una riflessione di Mattia Feltri su “La Stampa” di ieri, dal titolo “Prezzolinen”, in cui riporta l’opinione di uno storico tedesco, nato a Berlino est nel 1967, Ilko-Sascha Kowalczuk, sull’affermazione del partito neonazista AFD.
Per dirla in poche parole, quando si è dissolto il dominio sovietico, i Paesi dell’Europa orientale hanno riposto nella democrazia aspettative molto forti che sono andate deluse, perché la democrazia si basa sulla libertà e la libertà è una cosa impegnativa che vuole il contributo personale di ciascun cittadino. «Nell’Est (…)», afferma Kowalczuk, «resiste la convinzione che tutto debba essere regolato dallo Stato, ritenuto responsabile di tutto. Da una parte lo Stato viene criticato per tutto, dall’altra gli si demanda ogni incombenza».
Mattia Feltri, a questo punto, resta in qualche modo folgorato dalla coincidenza di questa affermazione con una analoga fatta da Giuseppe Prezzolini (1882-1982): «L’italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; però non c’è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al Governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto». Mattia Feltri annota: «Era il 1921. L’anno dopo sarebbe arrivato Benito Mussolini». 
Secondo Kowalczuk, nel riassunto che ne fa Feltri, la ricerca dell’uomo forte, che cresce nella Germania est, «significa consegnare ogni cosa allo Stato e lamentarsi di ogni cosa con lo Stato, e questo è la negazione stessa della democrazia, perché ci risparmia dall’avere una responsabilità. Meglio un uomo forte a cui affidare la responsabilità del nostro destino, pur di non rischiare la responsabilità del nostro fallimento».
Eppure, per quello che sento io, non si sfugge mai alla responsabilità personale. Essa è all’opera anche e proprio nel momento in cui, per paura di fallire, mi consegno al dittatore di turno vendendogli la mia libertà, e non si dimentichi, anche e soprattautto la mia dignità.
Quella libertà che ci rende cittadini responsabili, come, nel 1960, invitava a essere John F. Kennedy nel suo motto elettorale: «Non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese».


 
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