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Due tragedie: Hiroshima e distruzione del Tempio di Salomone. 6 agosto 2022 / 9 del mese di Av 5782
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
7 agosto 2022 11:02
 
Ieri, nel calendario civile, che è solare, era il 6 di agosto 2022. In quello ebraico, che è lunisolare, era segnato, dal tramonto del 5 al tramonto del 6 agosto, il 9 del mese di Av 5782.
 
Quest’anno le due date coincidono. Ambedue ricordano delle tragedie.
 
E non importa se, mentre la tragedia che, come vedremo tra poco, ha colpito il popolo d’Israele il 9 del mese di Av (in ebraico: Tisha be-Av) appare ancora come una sorta di “fatto privato” di un popolo, per giunta abbastanza piccolo, la tragedia di Hiroshima, seguita dalla distruzione di Nagasaki il 9 agosto, è stata quasi subito avvertita, come una tragedia mondiale.
Perché la bomba atomica ha avuto effetti sino ad allora sconosciuti, e neppure mai immaginati; una atroce distruzione immediata, mai vista da altre parti, della città nipponica e dei suoi dintorni – uccise sul colpo tra le 70 000 e le 80 000 persone; circa il 90% degli edifici rasi al suolo, compresi i 51 templi della città;
conseguenze gravissime, anche a distanza di spazio e di tempo, su persone, animali e piante e cose – cecità momentanea o definitiva per ustione della retina, degenerazione dei tessuti, e ancora danni genetici che hanno fatto la loro comparsa nei figli anche avuti negli anni successivi dai sopravvissuti rimasti ancora in grado di generare, sviluppo di tumori, anche dopo molti anni dall’esplosione, ecc.;
infine, lo scatenamento, in tutto il mondo, dell’incubo della guerra nucleare, che essa inaugurò e che ancora ci sovrasta, a causa della corsa agli armamenti nucleari da parte di diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Unione sovietica e Francia, e dei relativi esperimenti, molti dei quali fatti nell’atmosfera, sia in zone considerate desertiche degli USA e dell’URSS, oppure di scarsa importanza come l’atollo di Mururoa e quello vicino di Fangataufa nella Polinesia francese. Per avere la messa al bando totale di questi esperimenti si dovette attendere la firma del trattato promosso dall’ONU, il 10 settembre 1996.
Per me, che deliberatamente sto mettendo in parallelo la tragedia di Hiroshima del 6 agosto (1945) e quella del 10 di Av del popolo ebraico, infatti, non c’è differenza tra di esse – esse riguardano, entrambe, tutta l’umanità.
Come, del resto, l’attuale  tragedia ucraina non è un fatto privato dell’Ucraina e neppure della sola Europa, o magari, al massimo, della Unione Europea. Anche questa, dell’Ucraina, è tragedia dell’umanità.

Perché là dove un popolo soffre a causa di un altro, tutta l’umanità precipita nella sofferenza. Tutti gli esseri umani, e non solo quelli direttamente colpiti, sono travolti in questa spirale di sofferenza, anche quelli dei Paesi che tale sofferenza infliggono – pensiamo solo alla gente semplice, la “carne da cannone” buttata allo sbaraglio in guerre di conquista. Sofferenza che può pure non essere percepita come tale, ma, magari, “solo” come inquietudine, instabilità personale o di gruppo, perdita di punti di riferimento precisi nella società di appartenenza, malessere personale che finisce per avvolgere l’intera società o cospicue parti di essa.
E, dunque, mentre ieri ho ricordato con dolore la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, seguendo alcune commosse celebrazioni fatte in Giappone, a cominciare dai rintocchi della “campana della pace”  che suona alle 8:15 ora di Hiroshima, proprio quando fu sganciata sulla città la bomba atomica, desidero richiamare qui anche la sofferenza, di cui il popolo ebraico fa memoria il 9 del mese di Av, definito “il più triste giorno della storia ebraica”.
Questa ricorrenza, in realtà, ricorda diversi eventi tragici del popolo ebraico, fra i quali quelli fondamentali sono:

La distruzione del primo tempio, quello fatto edificare da Salomone, da parte delle truppe di Nabucodonosor il 9 di Av del 416 avanti era volgare (a.e.v.) e la conseguente “cattività babilonese" degli ebrei;

la distruzione del secondo tempio, quello ricostruito dopo l’esilio babilonese nel 515 a.e.v. (il racconto si trova nel Libro di Esdra), da parte del futuro imperatore romano Tito Flavio Vespasiano, ancora il 9 di Av del 70 e.v. (dopo tre mesi di assedio, i Romani rasero quasi completamente al suolo l’edificio, di cui è restato solo il muro occidentale, “il muro del pianto”). E qui cominciò la Diaspora ebraica, la fuga degli ebrei dalla loro terra.

Vengono unite, però, a questa memoria, tra l’altro, quella della sconfitta di Bar Kokhba, che aveva guidato una rivolta contro i Romani, nel 135, seguita dalla trasformazione di Gerusalemme in colonia romana e dalla proibizione per gli ebrei di risiedervi (136), il che rafforzò la diaspora.

Si ricorda inoltre anche l’espulsione degli ebrei dall’Inghilterra (1290), la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492 e, infine, la deportazione a Treblinka degli ebrei del ghetto di Varsavia, avvenuta la vigilia del 9 di Av del 1942. La coincidenza di certi tragici eventi il 9 di Av, ho letto, è stata espressamente voluta dai persecutori.

Ecco dunque quanta materia c’è per riflettere anche su questi tragici eventi che solo all’apparenza, come già osservato, riguardano elusivamente il popolo ebraico.
 
Un’ultima annotazione

Come ho detto all’inizio, ieri coincidevano il 6 agosto e il 9 del mese di Av, ma, essendo sabato – Shabbat -, la memoria di questo giorno luttuoso è spostata al 10 di Av, cioè dal tramonto del 6 agosto al tramonto del 7 agosto, cioè di oggi, domenica.
Infatti, di Shabbat non si può celebrare un lutto, a meno che non si tratti dello Yom Kippur , cioè il “giorno dell’espiazione” che prevale anche sullo Shabbat.
 
Desidero segnalare, infine, il video del Canto del popolo ebraico massacrato, un poema scritto, fra il  3 ottobre del 1943 e il 17 gennaio 1944, da Yitzhak Katzenelson, un ebreo polacco, nato il 1 luglio 1886 e ucciso ad Auschwitz il 1 maggio 1944, che aveva partecipato alla rivolta del ghetto di Varsavia. Questa versione, che si trova su Raiplay, è andata in scena il 25 gennaio 2020 al Binario 21 della stazione di Mlano, sede della Fondazione Memoriale della Shoah. E' interpretata da Moni Ovadia, in jiddish con sottotitoli in italiano.

Due canti di questo poema sono qui    
 

 
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