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S'I' FOSSE FOCO.. OVVERO:
DI UN POSSIBILE USO PRATICO DELLA CULTURA
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 luglio 2005 0:00
 
"Annapaola, si vive anche senza!" - osserva immancabilmente G., il mio giovane amico quasi sedicenne (e promosso alla prima liceo classico!), quando lo invito a leggere qualcosa di nuovo o ad approfondire una conoscenza che mi pare sia un po' troppo superficiale per l'uso che ne vuole fare.
E io, senza scompormi, gli rispondo, ogni volta: "Verissimo! Ma puo' darsi che sapendo qualcosa in piu' si viva un po' meglio! Perche' non provare?".

Sono proprio convinta che sia cosi', e la conferma mi viene dalla situazione di questi giorni, in cui il caldo, le zanzare, e soprattutto la confusione notturna organizzata a gara da associazioni private e amministrazioni pubbliche, leva francamente di cervello, produce abbondanti scariche di adrenalina nel sangue come risposta all'aggressione che si subisce dentro le mura di casa, e, quindi, uno sgradevolissimo senso di impotenza (e si capisce come qualcuno gia' provato pesantemente da altre cose, possa ricorrere a quello che i giornalisti definiscono "un atto inconsulto").

E' allora, appunto, che constato l'utilita' pratica del "sapere", della "cultura".

La rabbia che mi fa venire la voglia di strozzare gli organizzatori del torneo di calcio che distrugge la quiete delle mie serate estive (oppure il sindaco che ha dato il permesso di farmi il cinema all'aperto sotto casa), o almeno di coprirli di (inutili) contumelie riesce a stemperarsi quel tanto che basta a prenderne una salutare distanza, nel momento in cui mi vengono alle labbra i versi furiosi e giocosi, a un tempo, di una poesia che mi ero scordata. E non solo mi afferra col suo ritmo iniziale, ma, quando la memoria viene meno, mi spinge a ricercarne il testo intero in una vecchia antologia; non solo, ma anche mi fa venire la curiosita' di saperne di piu' sull'autore. E cosi', quando sollevo la testa dal libro, mi scopro circondata dal silenzio che avevo tanto invocato. Guardo l'ora, e' quasi mezzanotte; le partite sono finite, l'ultimo quarto di luna comincia a spuntare a oriente, e io mi accorgo che non sono piu' arrabbiata e neppure nervosa..

.. e dunque: grazie, Cecco Angiolieri, poeta senese del tempo di Dante -grazie a te e al tuo salutare essere cosi' "politicamente scorretto"!

"S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dío, mandereil'en profondo;

s'i' fosse papa, sare' allor giocondo,
che' tutti i cristiani imbrigherei;
s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?:
A tutti mozzarei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, andarei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi' madre.

S'i' fosse Cecco, com' i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui".

(da CECCO ANGIOLIERI, Rime, Rizzoli (BUR), Milano 1979, p. 98)


(Per quanto scritto in lingua del Due-Trecento, mi sembra che il sonetto sia ben comprensibile, almeno a livello intuitivo; casomai due parole hanno bisogno di una spiegazione: "imbrigherei", che significa "imbroglierei", e "torrei" che vuol dire "prenderei").

NOTA
1. Della poesia ci sono due versioni leggermente diverse; non so se cio' si debba a Cecco Angiolieri stesso, che vi e' tornato sopra, oppure agli amanuensi che, non comprendendo bene lo scritto, hanno inserito alcune varianti. Tuttavia, l'idea esposta non cambia.
2. Breve biografia di CECCO ANGIOLIERI.
CECCO ANGIOLIERI nacque a Siena verso il 1260 e mori' forse nel 1312 (certo prima del marzo 1313). Fu dunque contemporaneo di Dante, che invece visse tra il 1265 e il 1321, e proprio con Dante si lego' in una difficile, combattuta amicizia, di cui sono prova alcuni sonetti scambiati fra i due poeti fra la fine del 1200 e l'inizio del 1300 (purtroppo quelli di Dante non ci sono pervenuti). Cecco nacque in una ricca famiglia di banchieri molto in vista nella loro citta', studio' secondo la tradizione dell'epoca ed ebbe una vita molto movimentata. Sono registrate negli atti d'archivio diverse multe che egli subi' nel 1281 (per essersi allontanato dal campo militare in Maremma che assediava il castello di Turri, tenuto dai ghibellini), e poi nel 1282, anno in cui ebbe tre multe, una delle quali per essere stato trovato in giro per la citta' nell'ora del coprifuoco. Nel 1291 fu coinvolto nel ferimento di un uomo, pero' non fu condannato. Risulta essere stato bandito da Siena almeno due volte, forse per ragioni politiche. Una di queste volte si sa da un suo sonetto che si era rifugiato a Roma. Anche se non si sa niente di un suo matrimonio, lascio' parecchi figli e figlie; in un atto notarile del 25 febbraio 1313 sono citati Meo, Deo, Angioliero, Arbolina, Sindone, che rifiutano l'eredita' paterna perche' gravata dai debiti (un'altra figlia, Tessa, risulta gia' emancipata).
Stando alle sue parole, gli oggetti del suo amore furono tre: "la donna, la taverna e il dado", a cui pero' non pote' dedicarsi come avrebbe voluto per mancanza di soldi.
Fra i motivi della sua poesia, l'amore per Becchina, figlia di un cuoiaio, e il risentimento verso i genitori, che i critici dicono "velato di malinconia". Il suo linguaggio e' popolare e molto colorito. Per concludere va detto che fra i sonetti a lui attribuiti ve ne sono senz'altro alcuni che non sono suoi.
3. Fonti delle informazioni:
CECCO ANGIOLIERI, Rime, Rizzoli, Milano 1979
e clicca qui
 
 
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