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GIOVANNINO
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 ottobre 2003 0:00
 
Gia', Giovannino. Quanti anni avra' adesso? E che cosa sara' diventato?
Ogni tanto mi viene in mente quel soldo di cacio che, fuggevolmente, mi ha attraversato la vita in un giardino pubblico, un pomeriggio di una lontana stagione che non mi riesce piu' di identificare -era primavera inoltrata o forse un inizio d'autunno?
Sto a fare un po' di conti: quanti anni poteva avere quando l'ho incontrato? E QUANDO l'ho incontrato? Deve essere stato all'incirca venticinque anni fa, e lui non poteva avere piu' di cinque anni. Dunque, oggi, un giovane uomo trentenne, al quale, senza che lui lo sappia, e' ovvio, mi lega qualcosa di simile alla gratitudine .. In un certo senso, mi ha insegnato a vivere.

Le cose andarono cosi'.

Abitavo allora a Firenze, nella zona che, nei primi anni Sessanta, quando mi ci trasferii, era l'estremo limite sud della citta', il confine con una bella campagna ancora coltivata -una meraviglia per me vissuta, fino ad allora, in una citta' murata. Bastarono pero' pochissimi anni perche' il " benedetto pian di Ripoli" sparisse sotto il cemento e l'asfalto, anche se lo sviluppo urbanistico in quella zona della citta' si puo', tutto sommato, definire "a misura d'uomo": condomini non troppo alti e spesso intervallati da ampi spazi di verde privato e pubblico.
E' uno di questi giardini pubblici, il piu' vasto e il piu' bello della zona, oltre che il piu' lontano dalla mia abitazione, che divento' la meta preferita della passeggiata che facevo quando non ne potevo piu' .. di tante cose. Camminavo per quei circa mille metri, scegliendo la via secondo me piu' tranquilla e piu' piacevole, con palazzi quasi signorili da una parte e un resto di campi dall'altra: ovunque molte piante, fra cui, alla loro stagione, un grande tripudio di mimose. Alla fine, arrivavo in questo vasto giardino, una sorta di isola verde dove un viale alberato si snoda ai piedi di una collinetta artificiale, sulla cui sommita', piccoli prati, alberi e panchine offrono la possibilita' ai grandi di riposare, ai bambini di giocare.
Un pomeriggio di una stagione abbastanza mite -si poteva stare senza soprabito- ero seduta su una di queste panchine, piu' persa dietro ai miei deprimenti pensieri che attenta alla vita che si svolgeva intorno a me -bambini che correvano, mamme che chiacchieravano fra loro, qualche cane che ogni tanto veniva a curiosare-, allorche' la mia attenzione fu richiamata da un movimento e un vocio concitati un paio di panchine piu' in la', alla mia destra. Quando guardai in quella direzione, vidi che si stava formando un piccolo capannello festante di mamme e bambini intorno a una signora di una certa eta', che doveva essere una nonna, e al bambino che era con lei, un bel ragazzino sui cinque anni vestito con una salopette di jeans.
L'unica parola che mi arrivo' nitida fu il nome, ripetuto piu' volte con soddisfazione: "Giovannino! Giovannino!", e da tutta quella festosita' dedussi che Giovannino doveva essere un bambino conosciuto e benvoluto da grandi e piccini, che era stato assente per diverso tempo dal giardino, e che ora finalmente vi tornava a giocare.
Mentre le signore restavano a fare domande alla nonna (e' qui che pensai che il piccolo poteva essere stato malato), i bambini sciamarono via, tornando ai loro giochi, e anche Giovannino si scosto' dal gruppo adulto. Non so perche' ne seguii le mosse, e vidi che, con grande determinazione, si diresse dall'altra parte dell'aiola centrale, dove un bambino, piu' o meno della sua stessa eta', ma piuttosto impacciato, era salito su una biciclettina con le rotelle posteriori e cominciava a dare, faticosamente, le prime pedalate. Giovannino gli si paro' davanti, afferro' con ambo le mani il manubrio della bicicletta con l'evidente intenzione di appropriarsi di essa, e alla resistenza, che incontro', rispose rovesciando a terra mezzo e passeggero, incurante delle proteste del piccolo ciclista, che immediatamente diventarono un pianto dirotto.
Tutto cio' richiamo' l'attenzione delle signore che, intanto, erano tornate a sedersi, e un paio di loro si precipitarono a soccorrere il caduto, portando verso le panchine lui e l'oggetto del contendere. Probabilmente a Giovannino tocco' qualche parola di rimprovero, perche' lo vidi bloccarsi per un attimo, senza pero' abbassare la testa, anzi seguendo con sguardo fermo il gruppetto che si allontanava.
Rimasto da solo, si mosse con gravita' e decisione insieme. Mi passo' davanti, le mani alla pettorina della salopette, lo sguardo fiero, scandendo con grande convinzione queste parole: "Tutti i bambini fanno la lotta".

Tutti i bambini fanno la lotta. Un messaggio per me. Per ritirarmi fuori dal pozzo in cui mi sentivo sempre piu' scivolare. Per rilanciarmi nella vita.
Quante volte me lo sono ripetuto in tutti questi anni? Quante volte mi ha soccorso quando ho avuto tanta voglia di gettare la spugna?
Si', tutti bambini fanno la lotta. Anch'io. E dunque: grazie a te, inconsapevole messaggero di nome Giovannino.
 
 
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