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MANGIAMO LA CARNE: COSA MANGIAMO
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 novembre 2000 0:00
 
Alimentazione
Da queste colonne e da queste pagine web e' stata richiamata l'attenzione sulla possibilita' nient'affatto remota che chi mangia carne bovina possa contrarre il morbo della mucca pazza. E di fronte alle drammatiche novita' che la stampa internazionale ci propone quasi quotidianamente sull'argomento, e' stato gia' rivolto ripetutamente l'appello a non mangiare questo tipo di carne.
Che non si tratti di gratuito allarmismo lo dimostra, ad esempio, una notizia che chiamare sconvolgente non e' eccessivo: una bambina di 11 mesi, figlia di una madre molto giovane, e' risultata infettata da questo morbo, e cio' mina quella che finora era sembrata l'unica certezza scientifica sull'argomento, cioe' il fatto che il periodo di incubazione sia molto lungo.

Continuare a mangiare carne bovina sembra essere sempre piu' un gioco pericoloso, una sorta di roulette russa a scoppio piu' o meno ritardato non solo per i diretti consumatori, ma anche per gli eventuali destinatari di loro donazioni di sangue e, se sono giovani e comunque in eta' fertile, per i loro discendenti.
Inoltre recenti esperimenti hanno dimostrato che questo morbo si puo' propagare anche ad altri animali, come gli ovini, e quindi la mappa dell'alimentazione ad alto rischio si puo' allargare a dismisura.

Questa tuttavia e' solo la punta -minacciosa- di un iceberg.
Non c'e' praticamente carne che oggigiorno, nella nostra parte di mondo, non possa rappresentare un rischio per la salute. Anche polli, maiali, e pesci non ci fanno dormire sonni tranquilli, in quanto portatori di diossina, peste o mercurio.

La nostra reazione, in generale, e' di allarme iniziale al momento in cui riceviamo la notizia, un allarme che pero', dopo poco, si attenua ed e' ben disposto a rientrare, soddisfatto delle rassicurazioni che vengono diffuse dagli "organi preposti". Successive notizie di fatti che smentiscono le rassicurazioni appena fornite non trovano, di solito, l'attenzione dovuta. Effetto, questo, del nostro umano desiderio di tornare ad adagiarci nelle abitudini quotidiane -di cui quella di consumare carne e', nel nostro mondo, una delle piu' radicate e quindi difficili da mettere in discussione.
Eppure, da persona comune quale sono, e anche proprio da onnivora, quindi consumatrice, sia pure non assidua, di carne (e pesce), di fronte a questo moltiplicarsi di segnali di pericolo, mi trovo obbligata a pormi una domanda in modo piu' serio di quanto abbia fatto fino ad oggi.
La domanda la posso formulare cosi': questi segnali di pericolo non potrebbero essere veri e propri richiami ad assumere una maggiore consapevolezza su quelle che sono abitudini cosi' inveterate che ci sembrano addirittura costituire i fondamenti della nostra cultura e della nostra personalita'? Nel settore dell'alimentazione cio' potrebbe significare chiedersi:

Se mangiare e' necessario -ed e' un dato di fatto- e' altrettanto necessario mangiare tutto quello che siamo abituati a mangiare e, nel caso della carne, in una quantita' che, stando ai dati dell'Istituto italiano della nutrizione, supera di ben tre volte la necessita' di un individuo normale?
Siamo consapevoli -davvero consapevoli fino in fondo- del fatto che mangiare carne significa avere tolto la vita a quel certo animale?
Siamo consapevoli in che modo a questo animale e' stata tolta la vita e come ha vissuto la sua vita dalla nascita fino alla morte, per darci questa carne che spesso, piu' che mangiare e gustare davvero, consumiamo molto distrattamente?

Circa venti anni fa, in un paesino della Maremma toscana, dove per alcune estati trascorsi un periodo di vacanza, c'era una simpatica donna, che si chiamava Anna e faceva la macellara. Aveva sempre della carne molto buona, ma un giorno mi disse che quella che stavo acquistando era proprio speciale, perche' era di un "suo vitellino", e mi racconto' con che cura l'aveva allevato. Era commossa mentre ne parlava, me ne ricordo bene. Veniva fuori un bel rapporto con quell'animale che, anche se doveva essere sacrificato alle nostre esigenze, risultava tuttavia aver vissuto una vita degna di questo nome: era stato in un pascolo all'aria aperta, aveva respirato l'aria delle colline coi profumi della macchia mediterranea, dei cipressi e dei pini, era stato riparato in una piccola ma comoda stalla, nutrito con ottimo fieno e abbeverato secondo le sue necessita'. Si', aveva vissuto la sua pur breve vita a un ottimo livello di vita bovina. Ci si sarebbe potuti spingere a dire che mangiare quella carne era una partecipazione a quella vita cosi' vicina alla natura. Certo, la morte e il modo del morire erano dati per scontati, ma altrettanto certo era che la gratitudine e la commozione della signora Anna l'avevano accompagnato a quell'ultimo passo e forse si era ripetuto, sia pure inconsapevolmente, quel rito di richiesta di perdono allo Spirito dell'animale sacrificato, che alcune popolazioni della Terra adottavano - non so se posso dire adottano ancora - consce che la loro necessita' di procurarsi il cibo in questo modo significa ledere la vita di un altro essere vivente.
La vita condotta dal "vitellino" della signora Anna era gia' allora un'eccezione.

Ma che vita fanno comunemente gli animali destinati alla nostra tavola, che provengono dagli allevamenti industriali?
I vitelli vengono separati dalla madre al massimo dopo diciotto giorni dalla nascita e spesso costretti a viaggi snervanti per raggiungere la stalla in cui passeranno le circa 16 settimane della vita loro concessa ristretti in angusti box nei quali non possono muoversi e neppure distendersi. L'alimentazione naturale, che sarebbe di erba e latte, e' sostituita da pastoni caldissimi di sostanze proteiche povere di ferro per ottenere carni bianche e tenere. Neppure l'acqua che bevono e' normale; vi vengono infatti aggiunte resine a scambio ionico e poi dei dolcificanti per farla risultare piu' gradevole. La carenza di ferro e di altre sostanze essenziali rendono questi animali deboli e nervosi; l'impossibilita' di muoversi atrofizza i loro arti; allo scopo di avere un piu' rapido raggiungimento del peso da macello, sui tre quintali, agli animali vengono somministrate sostanze anabolizzanti e stimolanti. Non succede di rado che in queste condizioni innaturali i vitelli si lecchino in continuazione strappandosi il pelo che vaga nel rumine dove imputridisce sviluppando sostanze velenose. I manzi vivono invece liberi fino a sei mesi, ma poi, per i restanti 150 giorni riceveranno anch'essi lo stesso trattamento dei vitelli.

Gli ovini negli allevamenti al posto dell'erba da pascolo ricevono erba e ormoni. Alle femmine da riproduzione vengono somministrate anche altre sostanze che incrementano il numero delle gravidanze.

I polli da carne dopo la nascita, che avviene in incubatrice, vengono ammassati in capannoni che possono contenerne fino a 50.000, con la luce accesa 24 ore su 24 per costringerli ad alimentarsi in continuazione e quindi crescere piu' rapidamente. Gli atti di cannibalismo, che non esistono in natura, ma sono indotti dal sovraffollamento, sono evitati provvedendo a tagliare i becchi con un'apposita macchina. Le galline ovaiole passano la vita in gabbie di filo metallico dette batterie, disposte a piu' livelli, in cui ciascun animale ha a disposizione uno spazio di poco piu' di 450cmq, una superficie inferiore a quella di un foglio di carta formato A4 (DPR 233/88). Come succede per tutti gli altri animali allevati industrialmente, anche il pollame viene nutrito con pastoni composti da varie sostanze, in cui si mescolano anche antibiotici e altri medicinali che avrebbero lo scopo di proteggerli dall'insorgere di epidemie, ma che, seppur raggiungono lo scopo prefisso (e non sempre lo fanno), si comunicano comunque ai consumatori delle loro carni, come e' espressamente denunciato dall'Organizzazione Mondiale della Sanita'.

In certi casi, del resto, e' proprio una malattia quella che si ricerca, come succede per le oche sottoposte all'ingrasso forzato per ottenere il famoso pate' de foie gras. Infatti, come si legge nel volume L'oca - guida all'allevamento familiare, Edizione Edagricole, "Il principio di base e' semplice: iperalimentare le oche con pastoni sino a quando il fegato si ammala e va in steatosi epatica". Le principali indicazioni pratiche sono le seguenti: "Ricordate che nel giro di poche settimane l'oca da fegato dovra' subire una forzatura alimentare non indifferente e che per scongiurare problemi fisiologici dovra' arrivare al periodo di clausura e di ingozzamento in una forma fisica perfetta, ben sviluppata, ma non grassa..... L'oca deve essere ingozzata con regolarita' 2-3 volte al giorno.....per un consumo giornaliero di circa 1 chilogrammo di pastone". Per poter fare comodamente tutto cio' "all'inizio puo' essere comodo l'impiego di una <<cassettina>> a misura d'oca, con un unico foro dal quale fare emergere il collo dell'animale in maniera da non doversi distrarre a tener fermo il soggetto" nel cui becco viene inserito un imbuto in cui " e' generalmente montata una vite senza fine che spinge notevoli quantita' di alimento all'interno dell'animale in pochi secondi."

I suini negli allevamenti industriali hanno un comportamento autolesivo indotto dalla mancanza di spazio di angusti box o dal sovraffollamento, che consiste nello strapparsi la coda. Per evitare cio', gli allevatori provvedono a mozzarla alla nascita. Possono pero' sempre darsi episodi di cannibalismo e vere e proprie sindromi depressive. Al posto dell'alimentazione onnivora, con prevalenza di radici e tuberi che avrebbero in natura, ricevono razioni di cibo preconfezionate e appositamente studiate per aumentare rapidamente il peso e rendere la carne meno grassa.
Le scrofe sono obbligate a figliare in continuazione in box poco piu' grandi di loro.

Il trasporto degli animali, la cui carne finira' sulla nostra tavola, e' un altro capitolo degno di interesse per acquisire una consapevolezza completa di cio' che veramente mangiamo.
Il 16 gennaio di quest'anno la LAV (Lega antivivisezionista) ha presentato in Italia un "video choc" che testimonia le condizioni atroci a cui milioni di cavalli, maiali, pecore sono sottoposti negli estenuanti viaggi da una nazione all'altra per raggiungere il luogo della macellazione, dove arrivano spesso feriti, agonizzanti o anche gia' morti. Lo scopo della LAV e' quello di arrivare a una Direttiva che ponga fine al trasporto degli animali, dato che quella che doveva proteggerli risulta, per ammissione delle stesse autorita' europee, largamente disattesa. Specialmente in Italia, paese che e' a rischio di procedura d'infrazione da parte della CE, in quanto non ha ancora attuato correttamente la normativa comunitaria in materia. Secondo la denuncia della LAV sono di normale amministrazione viaggi di 50 ore, ad esempio, per il milione di maiali esportati dall'Olanda con destinazione Italia e Spagna, mentre i 150mila cavalli che arrivano nei mattatoi italiani da Polonia, Lituania e Romania arrivano a sopportare fino a 95 ore di viaggio. Arriva a 100 ore di viaggio a bordo di TIR, treni e navi gran parte del milione di pecore e agnelli esportati annualmente dalla Gran Bretagna con destinazione Italia, Belgio, Olanda, Grecia e Spagna.
In tutto questo tempo gli animali sono esposti al cocente sole estivo o al gelo invernale e lasciati per ore e ore ammassati nei camion in attesa di essere sdoganati o che il camionista si riposi o consumi i suoi pasti, mentre ad essi scarseggia o manca del tutto acqua e cibo.
Infine, nonostante l'esistenza del D.L. 532/92, che prevede il controllo sulla densita' degli animali negli autocarri, la regola sembra essere ancora quella del sovraccarico, con il risultato che gli animali si feriscano o arrivino anche qui ad atti di cannibalismo.

Non ci vuole molta immaginazione per rendersi conto che moltissimi degli animali, della cui carne ci alimentiamo, sono costretti a condurre una "vita" carica di stress e di vera e propria sofferenza fisica e psichica. Noi sappiamo che stress e sofferenza, negli esseri umani, possono causare vari disturbi fino a vere e proprie malattie. A volte, in presenza di situazioni insopportabili, arriviamo a dire che la vita ci e' stata avvelenata. E non credo che sia solo una metafora. Potremmo dire che anche quella degli animali cosi' trattati e' una vita avvelenata nel vero senso della parola? E, se cosi' e', questi altri veleni, che vanno ad aggiungersi alle sostanze certo non benefiche assunte con i mangimi e con i farmaci, che effetto possono fare sulla nostra salute?

Conferme implicite che questi interrogativi non sono peregrini vengono da piu' parti. Una direttiva della Comunita' europea vieta l'allevamento in batterie delle galline ovaiole (in Italia verra' recepita completamente solo dall'1/1/2012, mentre dall'1/1/2003 sara' proibito costruire nuovi impianti) . Pare infatti dimostrato che le uova delle galline allevate in liberta' siano migliori di quelle delle galline allevate in batteria.
Un'altra direttiva europea riguarda l'allevamento dei vitelli, che, dopo le 8 settimane, non potranno essere piu' tenuti ristretti nei box e che, "dopo la seconda settimana di eta', dovranno ricevere un'alimentazione adeguata con fibre per raggiungere un tasso di emoglobina tale da non farli essere piu' anemici". Segno che e' stato riconosciuto che, anche per la salute umana, un allevamento piu' vicino alla natura risulta migliore.
Un'ulteriore conferma implicita e' venuta il 5 ottobre di quest'anno da un convegno su "Le resistenze dei batteri agli antibiotici" tenuto all'Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Roma, in cui e' stato lanciato l'allarme sugli effetti dell'uso eccessivo e improprio degli antibiotici sia nell'uomo sia nella zootecnia e nell'agricoltura. Fra un paio d'anni, e' la conclusione del convegno, potremmo tornare esposti ai pericoli per la salute che vi erano prima del 1942, l'anno in cui si comincio' a usare la penicillina, perche' un numero sempre maggiore di batteri sta diventando sempre piu' resistente agli antibiotici conosciuti.

Rendere piu' naturale la vita di questi animali, considerarli quello che sono, cioe' esseri senzienti con organismi e reazioni molto simili ai nostri, e non, come troppo spesso accade oggi, solo delle "macchine da carne", sottrarre quindi gli allevamenti alla logica inflessibile della massima redditivita', sembrano essere scopi ragionevoli proprio per assicurare ai consumatori di carne la garanzia di alimentarsi senza necessariamente avvelenarsi.
Certo e' che il raggiungimento di questa "sicurezza", almeno da noi in Italia, e' quantomeno parziale e comunque rimandato di una decina di anni, come si vede nel caso delle Direttive europee su vitelli e galline ovaiole.

Abbattimento e macellazione
Resta tuttavia un altro capitolo, molto piu' arduo, da affrontare, ed e' quello dell'abbattimento e della macellazione degli animali. Questo non si puo' eliminare, ovviamente, se vogliamo mangiare carne. Uccidere e' comunque un atto di violenza - su questo penso che possiamo essere tutti d'accordo. La diversita' di opinione viene dopo: se accettare questa violenza come necessaria o rifiutarla come una cosa gratuita e superflua.
Chi la carne non la mangia e' schierato con questa seconda posizione. Chi, per un motivo o per un altro, la considera indispensabile sosterra' che questa violenza e' necessaria, ma, a mio avviso, deve anche rendersi conto che cio' comporta una responsabilita', che, al minimo, e' quella di non "consumare" con distrazione cio' che mangia. E sapere anche come si compie questo ultimo atto che gli consente di cibarsi di quella carne.

Qui mi voglio affidare esclusivamente alle fredde parole della normativa vigente in fatto di abbattimento , che tuttavia riassumero' per questione di spazio.
La normativa italiana che regola questa materia e' il Decreto Legislativo 1/9/1998, n. 333, che recepisce una Direttiva comunitaria. Come sappiamo bene, quando si sente il bisogno di legiferare su qualcosa, significa che, a monte, c'e' una disparita' di comportamenti, alcuni dei quali, in quel determinato momento, non si ritengono corretti e/o sono causa di conflitto nella societa'. Questo succede fin dal codice di Hammurabi. Di conseguenza, quando leggiamo, ad esempio, nel Decreto in questione che "gli animali devono essere immobilizzati nel modo idoneo a risparmiare loro dolori, sofferenze, agitazioni, ferite o contusioni evitabili", dobbiamo onestamente ritenere per certo che queste attenzioni, prima della legge, erano un "optional", probabilmente pochissimo praticato. E sappiamo pure che anche nella vita di tutti i giorni, e sotto gli occhi di tutti, nonostante le leggi, molti comportamenti continuano imperterriti come prima, (per esempio, l'uso delle cinture di sicurezza in auto, l'obbligo del rilascio dello scontrino fiscale, ecc. ecc.), perche' ciascuno trova piu' logico, piu' comodo, piu' vantaggioso "fare come gli pare". Figuriamoci cosa succede la' dove i comportamenti avvengono in uno spazio separato, nascosto ad occhi indiscreti, come puo' essere, nel nostro caso, quello di un macello. Percio' dobbiamo tener presente nella realta' concreta un bel margine di deviazione dal dettato della normativa di cui ci occupiamo.
Nel D.Lvo 333/98 si spiega la distinzione fra stordimento, abbattimento e macellazione.
Lo stordimento e' il procedimento che "determina rapidamente uno stato di incoscienza che si protrae fino a quando non intervenga la morte", l'abbattimento e' "qualsiasi procedimento che produca la morte", e la macellazione e' "l'uccisione dell'animale mediante dissanguamento".
Per lo stordimento, che "non deve essere praticato se non e' possibile l'immediato dissanguamento degli animali", sono ammessi 4 metodi:
- con pistola a proiettile captivo,
- con provocazione della commozione cerebrale,
- con elettronarcosi,
- con esposizione al biossido di carbonio.
Il primo metodo, lo sparo di un proiettile che deve penetrare nella corteccia cerebrale e che poi ritorna al suo posto, e' riservato a bovini, ovini e caprini; il secondo, che "e' ammesso soltanto se si utilizza uno strumento a funzionamento meccanico che procuri una scossa al cervello" (cioe' una botta in capo), "senza la frattura del cranio" pare piu' usata per animali piccoli, come i conigli.
L'elettronarcosi, a sua volta, puo' essere usata in modi diversi: o con l'applicazione di "elettrodi intorno al cervello in modo da consentire alla corrente di attraversarlo", o con i bagni d'acqua , metodo impiegato per i volatili da cortile, che, appesi per le zampe a dei ganci, abbiano la testa a diretto contatto con l'acqua attraverso cui passera' la scarica di corrente, a una intensita' tale "da garantire che l'animale passi immediatamente a uno stato di incoscienza persistente fino alla morte".
Vi e' infine l'esposizione al biossido di carbonio, trattamento che pare riservato ai suini, i quali vengono fatti entrare in una cella in cui e' stato immesso il biossido di carbonio. "Essi devono essere convogliati il piu' rapidamente possibile dalla soglia al punto di massima concentrazione di gas ed essere esposti al gas per un tempo sufficiente per rimanere in stato di incoscienza fino a che la morte sopraggiunga".
Lo stordimento, per legge, deve essere immediatamente seguito dal dissanguamento, che si attua mediante "recisione di almeno una delle due carotidi o dei vasi sanguigni che da esse si dipartono, e la legge precisa anche che "il responsabile dello stordimento, impastoiamento, carico e dissanguamento degli animali, deve eseguirle consecutivamente su un solo animale prima di passare a un altro animale".
Per i volatili da cortile si precisa che il dissanguamento puo' avvenire "mediante decapitazione eseguita automaticamente" e in tal caso "dev'essere possibile l'intervento manuale diretto in modo che, in caso di mancato funzionamento del dispositivo, l'animale possa essere macellato immediatamente".
Non puo' sfuggire tuttavia che, almeno nel caso dei volatili e dei suini, che vengono storditi tutti insieme in grandi quantita', la disposizione di legge di passare immediatamente al dissanguamento non e' possibile per i singoli animali, tranne che per il primo. Tutti gli altri dovranno comunque aspettare un certo lasso di tempo, che puo' non essere poco, il tempo che occorre alla macchina decapitatrice o al singolo macellaio di fare, animale dopo animale, il loro lavoro.

Come si vede, nonostante tutto l'impegno profuso, anche ammesso che sia davvero profuso cosi' come chiede la legge -cosa di cui si puo' ragionevolmente dubitare per i mille fattori che possono intervenire, neppure necessariamente legati all'insensibilita' degli operatori nei confronti di questi animali-, il momento dell'abbattimento continuera' ad essere anch'esso fonte di paura e di sofferenza per gli animali. La paura, sappiamo, provoca quantomeno scariche di adrenalina.

In che modo modifichera' la sostanza della carne che mangeremo?
Quanti altri "veleni" si scaricheranno nel sangue e nella carne di questi animali anche in questo momento estremo - a maggior ragione in questo momento estremo? Dove andranno a finire? Non sara' che, mangiando questa loro carne, ci cibiamo, in realta', anche della loro "ultima" paura?

La macellazione rituale
Per completezza, ritengo di dover inserire un cenno anche sulla macellazione rituale, che in Italia e' riconosciuta alle religioni ebraica ed islamica.
La macellazione e' definita dalla legge "uccisione dell'animale mediante dissanguamento", quindi senza stordimento preventivo. Qui l'animale si trova vis-a'-vis con la morte in piena coscienza e con questa piena coscienza avvertira' la vita che lo abbandona nel periodo di tempo (dieci minuti, come si dice? O di piu' ancora?) che passa tra la recisione della carotide e il sopraggiungere della morte. E qui vi e' un'ulteriore contraddizione della legge. Non si vede infatti perche', se la sensibilita' generale ha ritenuto necessario, piu' rispettoso per gli animali, alleviare loro la paura e l'esperienza diretta della morte, ed eliminare il dolore fisico facendoceli arrivare storditi, si debba lasciare questo spazio di riconosciuta crudelta' a chicchessia, sia pure in nome della liberta' di religione. Ma c'e' qualcosa di piu' e di piu' inquietante. Qui lo Stato italiano fa un altro passo indietro, quando riconosce che "il Ministero della sanita', il servizio veterinario della regione o provincia autonoma, il veterinario ufficiale....", che sono l'autorita' competente per tutto il resto, in questo caso non lo sono piu', e sancisce esplicitamente che " per le macellazioni secondo determinati riti religiosi l'autorita' competente e' l'autorita' religiosa per conto della quale sono effettuate le macellazioni".
Suggerendo a chi vuole saperne di piu' sull'argomento (e anche sul dibattito che si e' aperto) di cercare su Internet, basta qui osservare che quello che oggi si chiama "sgozzamento rituale" (recisione della carotide con un solo colpo assestato con un coltello ben affilato) era, per l'epoca in cui fu introdotto, una forma di eutanasia e quindi attesta la sensibilita' dell'uomo per la sofferenza dell'animale. Ma oggi, questa sensibilita' puo' esprimersi meglio? E come? Questa e' la domanda che anche chi e' legato a una religione sarebbe giusto si facesse, perche', attenersi rigidamente "a cio' che sta scritto" puo' significare, come in questo caso, proprio rovesciarne il significato e l'essenza.
Tanto piu' che oggigiorno, in una societa' come la nostra, avida di presunte novita', anche la carne macellata ritualmente puo' rappresentare (e vi sono gia' testimonianze in tal senso) una "curiosita'" da esplorare e una moda da seguire (come del resto quella della carne di struzzo), ritorcendo paradossalmente contro gli animali proprio quella legge che intendeva tutelarli un po' di piu'.
A maggior ragione e' importante renderci conto il piu' direttamente possibile di cio' che avviene veramente dietro le quinte di qualunque comportamento e di qualunque abitudine. Cercare di conoscere con esattezza i costi -per noi e per gli altri- di cio' che si fa potrebbe forse trattenerci dal dilapidare allegramente patrimoni di cui in realta' neppure disponiamo davvero -consistano essi nella nostra salute e vita o in quella di altri esseri.  

 
 
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