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OMAGGIO A GIUSEPPE
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 marzo 2003 0:00
 
Ma la prima, vera, autentica BUONA NOTIZIA della "Buona Notizia" comunemente nota come EVANGELO, non e' forse lui? Non e' proprio quest'uomo di cui non abbiamo che poche notizie, ne' conosciamo alcuna parola?
Solo questo sappiamo: che si chiamava Giuseppe, discendeva dalla stirpe del re Davide, faceva il falegname a Nazareth in Galilea ed era sposo promesso di una ragazza dal comunissimo nome di Myriam, che da noi e' diventato il comunissimo nome di Maria.
Ma proprio su questo silenzio della parola parlata, la quale e' sempre cosi' ambivalente, si staglia nitida la chiarezza inequivocabile dell'azione. Che ce lo rivela come AMANTE, nel senso piu' letterale di questa tanto diffamata parola. Giuseppe e' un uomo CHE AMA. Contro tutto e contro tutti. Contro il proprio dubbio personale. Contro le convenzioni sociali. Contro il buon senso. Contro la buona reputazione. E, ancor di piu', contro l'istinto animale della certezza della paternita', che ha rappresentato e rappresenta una strategia dell'evoluzione non solo fra i mammiferi, ma anche fra gli uccelli e alcune specie di pesci, per convincere i maschi a condividere con la femmina l'accudimento della prole.
Dicono di Gesu' di Nazareth che rappresenti l'uomo nuovo, la persona umana come dovrebbe essere nel momento in cui si dispieghi totalmente lo spirito di umanita', superando le oscurita' della natura e realizzando la sintesi fra istinto e spirito, come sembra adombrare il vangelo di Marco, quando dice: "Subito dopo (il battesimo) lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano" (1, 12-13).
Ma non e' giusto fare un passo indietro?
Prima di Gesu', l'uomo nuovo -sia come maschio sia come essere umano-, in realta', e' Giuseppe. Proprio perche' non si cura della certezza della paternita' -anzi, a stare al vangelo di Matteo, che e' l'unico che ne parla esplicitamente, di certezza ha proprio quella di NON essere il padre del bambino. Il gene egoista con lui non funziona: la natura animale deve cedere a un qualcosa d'altro, di diverso, d'inaudito.
Che tale resta ancora oggi dopo i fatidici 2000 anni dalla nascita di quel suo figlio non suo -perche' in realta' nessuno ha voluto curarsi e prendere davvero sul serio questo oscuro artigiano. Non la chiesa cattolica che si concentra sulla verginita' fisica di Maria (prima, durante e dopo il parto), e Giuseppe lo vede soltanto come "suo castissimo sposo" (dove castita' e' sinonimo di astinenza sessuale), e neppure le chiese protestanti, mi pare, che riportano tutta la storia in un alveo di normalita' un po' troppo scontata. Tutti quanti d'accordo, comunque, nell'ignorare l'elemento umanamente dirompente, la novita' strabiliante a livello terreno del racconto della nascita di Gesu'.

Giuseppe, NON e' il padre genetico di Gesu', ovverosia, Gesu' non ha il DNA di Giuseppe. Lui, Myriam non l'ha toccata, eppure lei e' incinta. Che lo sia per virtu' dello Spirito Santo, come dogmaticamente s'intende, o per l'intervento di un comune maschio terreno (ma poi, chi lo sa quali vie usa lo Spirito?), non e' questo che conta. Giuseppe si ritrova di fronte a una gravidanza in cui lui non c'entra, e questo ancor prima di andare a vivere insieme, ancor prima che il matrimonio sia perfezionato. Tradito preventivamente, verrebbe da dire. C'e' di che adontarsi, e cacciare via la fedifraga, negando a lei e al nascituro ogni cura e protezione, come l'istinto primordiale esigerebbe -sostenuto e rinforzato, nelle societa' umane, da norme giuridiche, sociali o religiose, che puniscono la femmina umana, la cui creatura e' d'incerta paternita', con l'emarginazione, o anche, dove ancora vigente, come ai tempi di Giuseppe, l'eliminazione fisica per lapidazione.
Ma Giuseppe non fa niente di cio' che la legge gli riconoscerebbe come diritto e forse anche pretenderebbe da lui come adempimento di un dovere di moralita' pubblica. Era un uomo giusto, dichiara il vangelo di Matteo (1,19) con un sobrio accenno alla sua lotta interiore fra amor proprio e amore per Myriam, non voleva ripudiarla -il che avrebbe significato per la giovane donna la lapidazione; e mentre sta decidendo -con quanto dolore?- di "licenziarla in segreto", ecco, in sogno, apparirgli il primo di una serie di angeli che lo guideranno in questo non facile percorso di paternita' putativa. Perche', dopo, la sua vita sara' stravolta dalla necessita' di fuggire nel deserto, fino in Egitto, per sottrarre il bambino all'irosa angoscia di Erode il Grande che fara' strage di innocenti a Betlemme, per poi, dopo -dopo quanto? mesi, anni?-, tornare nel paese d'Israele e, forse, ripartire da zero, a Nazareth, col suo lavoro di falegname. E intanto? Come ha provveduto per tutto questo tempo alla madre e al figlio? Da quanti altri pericoli li ha dovuti difendere? Com'e' stata, cos'e' stata questa sua vita silente? Nella realta' quotidiana, come si saranno materializzati questi angeli di cui parla il vangelo di Matteo? Non potrebbero, semplicemente, significare la chiarezza dell'amore che a un certo punto squarcia le nebbie del dubbio e rende vigili tutti i sensi per proteggere quello che e' il bene piu' grande? La gioia di avere accanto, di vedersi accanto questa donna che ama, e questo bambino che ama non perche' ha il suo DNA, ma perche' e' figlio di lei (e con un sentimento del genere, anche un padre biologico potrebbe neutralizzare l'egoismo del gene contribuendo ad affrancare l'umanita' dal dominio di un istinto che sembra non servire ad altro che a creare violenza, ingiustizia, sofferenza, paura, emarginazione!).

"Per amore, solo per amore" -come dice il titolo del romanzo di Pasquale Festa Campanile- agisce, dunque Giuseppe, secondo questa rivoluzionaria leggenda della nascita di Gesu' di Nazareth, e cio', del tutto a prescindere dal fatto che abbia poi avuto, a sua volta, da Myriam figli e figlie col suo DNA.

E chissa' che Gesu', quando invitava la gente a chiamare Dio con il nome confidenziale di "Abba'", babbo, appunto, non avesse davanti agli occhi l'immagine di Giuseppe, di quest'uomo che non era suo padre ma gli aveva fatto da babbo, andando ben oltre il livello di sensibilita' umana corrente allora -e anche adesso-, e che proprio questa figura cosi' glissata nei vangeli e cosi' poco considerata sempre e ovunque, non rappresenti proprio la struttura portante della totale fiducia che Gesu' invita ad avere in questo "Padre nostro" che e' nei cieli. Oltre, naturalmente, del suo approccio alla vita cosi' originale e creativo, nuovo e dirompente per il suo tempo come per il nostro.

Note
1. Il Vangelo di Matteo e' quello che parla piu' ampiamente di Giuseppe: nel capitolo primo (Mt 1,18-24) e nel secondo (Mt 2,13-23). Il vangelo di Luca, pur contenendo informazioni piu' dettagliate sulla nascita, i primi giorni di vita di Gesu' e Gesu' dodicenne, fa il nome di Giuseppe pochissime volte e di sfuggita: per dire che Maria era sua sposa promessa (Lc 1,26) e che, essendo originario di Betlemme, egli doveva recarsi laggiu' con la famiglia per il censimento (Lc 2,3). E' rammentato col suo nome anche quando i pastori vanno a trovare il bambino appena nato (Lc 2,16) e all'inizio della genealogia di Gesu' (Lc 3,23). E' interessante notare che, invece, Matteo non lo ricorda presente al momento in cui arrivano i Magi, i quali "entrati nella casa, videro il bambino e sua madre" (Mt 2, 11). Una piccola curiosita': un affresco di scuola senese nella chiesa di San Niccolo' a Treviso, fedele a questa descrizione, mette Maria con in braccio Gesu' in una piccola stanza, mentre Giuseppe, all'esterno, osserva la scena dell'adorazione dei Magi da una finestra aperta nella parete destra del vano.

2. Sulla certezza della paternita' come istinto animale ho trovato informazioni nel libro di SUSAN ALLPORT, "Tutti i genitori del mondo", Baldini & Castoldi, Milano 1998, pp. 59, 67, 70, 72, ecc.

3. L'espressione "il gene egoista" la devo al titolo del libro di RICHARD DAWKINS, "Il gene egoista : la parte immortale di ogni essere vivente", Mondadori-De Agostini, Milano 1995. Con tutto cio' non intendo riferirmi al contenuto del libro, che conosco solo attraverso le parole di un amico.

4. Per l'interpretazione dei versetti di Marco 1,12-13 nel senso della sintesi fra spirito e istinto, rimando all'approfondito esame in chiave di psicologia del profondo di EUGEN DREWERMANN, "Il vangelo di Marco -Immagini di redenzione", Queriniana, Brescia 1994 pp. 124-140.

5. Il romanzo di PASQUALE FESTA CAMPANILE, "Per amore, solo per amore" apparve da Bompiani (Milano) nel 1983, ma credo che sia stato ristampato abbastanza di recente.
 
 
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