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Bigenitorialità. La sua assenza al servizio dell’Italia maschilista allontana la parità di genere
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
28 giugno 2020 11:20
 
La bigenitorialità è legge dal 2006, ma ancora i tribunali non riescono proprio a farsela andar giù. Con pronunce altalenanti, infatti, o di riffa o di raffa, emerge sempre un genitore di serie A e uno di serie B (generalmente il genitore di sesso maschile).
A volte, invece, la superiorità genitoriale di genere femminile è a tal punto postulata che non si sente neppure il dovere di argomentare il perché si chiedano o si concedano provvedimenti sui figli, squilibrati verso l'altro genitore.
Né, del resto, gli stessi giudici sentono vigente un obbligo motivazionale relativo alla suddetta falsa applicazione della legge.
Oppure lo hanno fatto con delle pseudo motivazioni:
  1. la bigenitorialità è un principio che va declinato, di volta in volta, non garantendo “parità” di tempi per l'uno e l'altro genitore, ma garantendo solo un imprecisato continuativo “rapporto” con entrambi. Ma che vuol dire, se ciò non prevede poi la parità dei tempi di permanenza dei figli con ciascuno?
    Per molte corti, infatti, bigenitorialità può voler dire ad esempio, che se io padre vedo mia figlia di 5 anni una volta alla settimana, dovrei esser a posto, avendo comunque ottemperato al diritto dovere di essere padre, ed avrò con lei un “rapporto al pari della madre”. Molte altre corti hanno fatto persino di peggio, “garantendo” al padre e al figlio una frequentazione di un giorno ogni quindici (!)
  2. l'infondato principio psicologico della maternal preference
  3. l'esigenza di non “sballottare” il minore, che comporta, chissà perché, sempre la prevalenza della domiciliazione presso la madre, anziché presso il padre.
A ben vedere, nessuna di queste, che chiamo pseudo motivazioni non a caso, ha alcuna ragionevole logica, e di certo non trova in sé la forza di privare il figlio della presenza stabile, paritaria, sebbene turnaria, del genitore che, guarda caso, è sempre il padre.

Ma quali sono le vere motivazioni di questa disapplicazione costante della regola giuridica?
Personalmente ritengo che vi siano due macro ragioni.
In primo luogo vi sono ragioni culturali e di formazione di molta parte della magistratura, formatasi in tempi passati ed abituata a relazionarsi con la tradizionale famiglia di un tempo. In altre parole, la superiorità della madre sul padre in punto di cura ed accudimento della prole, è un dogma malcelato delle molte pronunce che derogano alla normativa in materia.
In secondo luogo, attraverso il provvedimento relativo ai figli, si coglie impropriamente a volte, l'occasione per metter mano ad un riequilibrio economico fra i due sessi, giustificandolo anche tramite la predisposizione di un calendario di frequentazione sbilanciato che giustifichi l'altrettanto sbilanciamento economico. Con ciò riproponendo, seppur a fin di tutela del genitore debole, lo stesso squilibrio preesistente in corso di rapporto di coppia, dovuto ad una disparità di ruolo durante la convivenza. Per queste ragioni ancora trova scarsa adesione giurisprudenziale la regola del mantenimento diretto.
Di tal ché, in costanza di matrimonio prima, come in separazione poi, c'è chi ha il compito di accudire figli (madre) e c'è chi paga perché l'altro li accudisca per lui (padre), procrastinando logiche passate, suddivisioni squilibrate del carico familiare ed allontanando proprio quel cambiamento culturale approdato nel Paese con la riforma del 2006.

E quali sono le conseguenze di una distorta ed inapplicata bigenitorialità?
Il risultato è preservare lo status quo. Lo status che vede e vuole confinare il ruolo della donna principalmente nell'ambito familiare (del resto è un lavoro a tempo pieno fare il genitore, soprattutto di figli in età scolare). E che per farlo talvolta mal utilizza l'artificio del ritenerla “migliore” dell'uomo, più adatta, più devota, meno impegnata altrove ecc. Con la conseguenza che il padre si sentirà meno padre, meno bravo, meno devoto, più impegnato altrove ecc...
Il risultato è che i figli cresceranno in questo terreno culturale stereotipato, con i simboli e gli esempi della genitrice collocataria e prevalente, e del genitore delle “visite”.
Con la conseguenza che, nel tempo futuro, rischino di identificarvisi in modo acritico, riproponendo modelli, percorsi, schemi e dinamiche di genere che solo a parole, si afferma di voler superare.
Credo sia importante, lo dico da avvocata, da madre e da figlia di genitori separati negli anni 80, che i padri colgano l'opportunità della separazione per essere – e se del caso diventare- a pieno genitori di serie A. Ancor più importante che, al contempo, le madri accettino di avere un co-genitore al proprio pari e le conseguenze anche economiche del mantenimento diretto.
Per far questo anche la magistratura dovrà applicare con rigore le norme disattese in punto di bigenitorialità, chiamiamola “perfetta”, non lasciando tracce del passato nelle generazioni di oggi. Sono sfide psicologiche e culturali senza le quali, però, non potrà esistere alcuna vera parità di genere.
 
 
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