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Diffamazione e diritto ad informare ed essere informati.
Consiglio d'Europa: occorre piu' liberta' di stampa
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
1 agosto 2007 0:00
 
Forse non e' troppo presto cominciare a parlare di depenalizzazione del delitto di diffamazione a mezzo stampa, o quanto meno di una rivisitazione della materia che punti all'affermazione piena del diritto all'informazione attiva e passiva, sulla quale si fonda (o dovrebbe fondarsi) una democrazia "matura".
Il Consiglio d'Europa, organismo internazionale dal quale nasce la protezione europea dei diritti umani ed in particolare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e del cittadino, ha fatto il punto della situazione in merito ai principi e alle finalita' in materia di diffamazione. Con un rapporto uscito il 7 febbraio 2007 (CDMC - 2006 - 28), frutto dei lavori dello Steering Committee on Media and New Communication Service (CDMC), sono stati individuati i nodi e i parametri che gli Stati membri dovranno tener presenti nell'adeguare la propria legislazione al rispetto della Convenzione stessa e al suo art. 10:

Liberta' di espressione.
Ogni persona ha diritto alla liberta' d'espressione. Tale diritto include la liberta' d'opinione e la liberta' di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorita' pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
L'esercizio di queste liberta', poiche' comporta doveri e responsabilita', puo' essere sottoposto alle formalita', condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una societa' democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrita' territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorita' e l'imparzialita' del potere giudiziario.


Secondo le tesi del Consiglio, si sono verificati e si verificano troppi attentati alla liberta' di espressione da parte degli Stati membri, laddove le sanzioni astrattamente previste dai legislatori nazionali e le pronunce giudiziali severe dei tribunali creano di fatto una deterrenza all'informazione in quanto minacciano l'operato dei giornalisti. Cio' pregiudica e inficia la funzione della stampa e mina il diritto della collettivita' ad essere informato in quanto in contrasto "con il principio in forza del quale la stampa deve poter svolgere il suo ruolo di cane da guardia in una societa' democratica".
Questi in sintesi i criteri di adeguamento ai principi contenuti dell'art. 10 della Convenzione, elaborati anche dai "case law" (casi giudiziari) che negli ultimi anni la Corte Europea dei diritti dell'Uomo si e' trovata ad affrontare:
1. Occorre rafforzare la protezione delle fonti dei giornalisti, senza la quale il giornalista di fatto non puo' esercitare liberamente la ricerca delle notizie;
2. Occorre limitare le sanzioni sproporzionate che possono portare all'immobilismo della stampa per timori di risarcimenti ingenti o, peggio ancora, di limitazioni della propria liberta' personale o professionale (misure interdittive). Si parla persino di contrarieta' alla Convenzione laddove le legislazioni nazionali prevedano pene detentive per i reati di diffamazione! Cosi' come illegittime sarebbero tutte quelle misure interdittive all'esercizio della professione di giornalista che scaturiscano automaticamente dalle violazioni in questione. In questo senso occorre precisare che al momento la grande maggioranza dei Paesi europei prevede ancora il reato e la sanzione penale e interdittiva, ma che alcuni (fra cui la Francia) hanno di recente proceduto a depenalizzare la fattispecie. Cio', tuttavia, non ha risolto il problema della silenziosa scure su chi fa informazione, visto che, come rileva lo studio in questione, non sono affatto diminuiti i contenziosi civilistici in materia e l'ammontare dei risarcimenti comminati e' ancora troppo alta.
3. Occorre anche rafforzare il diritto di pubblicare notizie su indagini coperte dal segreto istruttorio.
4. Occorre, inoltre, dividere, anche nella stessa legislazione (e non solo per elaborazione giurisprudenziale), il diritto di cronaca dal diritto di critica, il racconto dall'opinione, lasciando a quest'ultima ogni piu' ampia possibilita' di dispiego.
5. Infine, occorre dare alla buona fede del giornalista una qualche rilevanza giuridica tale da attenuare o scriminare la condotta astrattamente punibile.
L'Italia, ma in questo non e' sola, deve ancora lavorare molto sulla propria legge e sulla sua applicazione concreta, al fine di adeguarsi a quanto indicato dal Consiglio d'Europa, e al rispetto pieno della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.
 
 
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