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Eccessiva lunghezza procedimenti giudiziari. Nuova pronuncia della Corte di Strasburgo
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
11 giugno 2014 11:12
 
Premessa
In Italia i giudizi, si sa, durano anni e anni. Lo Stato italiano si è visto condannare innumerevoli volte dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) per contrasto alla disposizione contenuta nella relativa Convenzione, all'art. 6, che, nel dispone l'obbligo per gli Stati ad un processo equo e che si svolga -e concluda- in tempi ragionevoli.
Per dissuadere i cittadini dal ricorrere in massa alla Corte di Strasburgo, e con il placet della stessa Corte che rischiava di affogare sotto la valanga di ricorsi italiani, nasceva la Legge Pinto, l.89/2001, con la quale si disponeva un “rimedio interno” alla violazione, quale passaggio necessario e preliminare all'eventuale ricorso in Europa. Nella sua prima applicazione, il rimedio italiano rappresentava una versione assai edulcorata e limitativa dei pronunciamenti ottenuti negli anni precedenti alla sua emanazione: una sorta di salva-Stato che consentiva di limitare i danni. I risarcimenti spesso venivano negati o erano irrisori, i denari corrisposti con estremo ritardo o solo per successiva attivazione della fase esecutiva.
Ciò ha, tuttavia, spinto numerosi danneggiati a ricorrere comunque in Europa, ritenendo non effettivo il rimedio interno e come tale insufficiente ad evitare la violazione della Convenzione.
Negli anni, dunque, si è stratificato un doppio canale giurisprudenziale in merito ai danni dovuti alla eccessiva durata dei processi: un primo contenzioso interno tutto italiano ed un secondo e successivo di fronte alla Cedu con ad oggetto il primo. La Corte di Strasburgo ha dovuto progressivamente, con i suoi pronunciamenti, far sì che le Corti d'Appello, chiamate a giudicare in base al procedimento Pinto, si allineassero a quanto disposto in Europa, in punto di ristoro, anche e non solo, nei confronti dello Stato italiano.
 
I punti fermi della Cedu sul risarcimento del danno da lungo processo
In data 3 giugno 2014, la Corte di Strasburgo si è nuovamente pronunciata sulla questione (Sent. Salvatore ed altri V. Italia) , accogliendo il ricorso di sei cittadini che si erano visti negare l'equo indennizzo per l'eccessiva durata dei procedimenti, durati fino a 13 anni. Ha condannato l'Italia al pagamento dei danni morali e delle spese di giudizio. Nella sentenza si ripercorrono i passaggi già evidenziati in numerosi altri procedimenti contro il nostro Paese, e si riaffermano alcuni principi cardine che devono guidare i nostri giudici investiti della materia:
  • la legge Pinto, che pone un rimedio interno di per sé efficace, deve essere applicata tenendo conto l'immediata e diretta rilevanza nell'ordinamento giuridico italiano della Cedu, della Convenzione di Nizza e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ne costituisce parte integrante;
  • pertanto i giudici nazionali dovranno tener conto dei parametri e degli importi adeguati liquidati in sede europea, non potendo disattendere “per difetto” il quantum sui ristori alle violazioni commesse e comunque non oltre una ragionevole misura;
  • a tal proposito, già in altre pronunce la Cedu aveva indicato quali risarcimenti adeguati quelli compresi fra i 1.950,00 e 10.500,00 euro a titolo di danno morale, oltre le spese e gli oneri accessori;
  • le somme disposte a seguito di attivazione del procedimento Pinto devono esser corrisposte dallo Stato inadempiente non oltre i 6 mesi di tempo dalla pronuncia;
  • i risarcimenti sono dovuti anche se l'eccessiva durata del processo è dovuta al comportamento dilatorio delle parti;
  • i procedimenti Pinto, inoltre, saranno considerati di durata consona agli effetti dell'art. 6 della Cedu se gli stessi non supereranno i due anni e sei mesi, compresa quella del ricorso in Cassazione e quella esecutiva.
 
 
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