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La riforma della professione forense: largo ai "vecchi"
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
25 novembre 2009 9:56
 
La riforma forense in questi giorni all'esame del Parlamento porta in se' la strenua difesa della categoria e dei suoi privilegi. Come e' accaduto sino ad oggi nel nostro Paese, le professioni cosiddette "libere" subiscono un progressivo irrigidimento e una definitiva compressione in chiave illiberale, corporativa e lesiva per gli utenti e consumatori. Sotto l'aurea di aumentare la competenza e professionalita' degli avvocati a disposizione del mercato, si ripropongono e si rafforzano invece apparati di potere e di controllo (ordini e Cnf-Consiglio nazionale forense), meccanismi di privilegio per gli insiders gia' esercenti la professione, a discapito degli outsider che si accingono ad intraprenderla. E persino fra gli stessi insiders, si rafforzano i meccanismi per favorire gli "anziani" a discapito dei piu' giovani. Un protocollo in linea con la gerontocrazia in cui viviamo, con il vecchiume corporativo che incombe sulle professioni "libere" che ormai di "libero" hanno ben poco.
La riforma prende le mosse da una duplice esigenza di categoria: assicurare un reddito "adeguato" a chi e' gia' avvocato ed evitare che altri (terzi o aspiranti avvocati) si possano spartire la "fetta di torta". Niente altro che un problema numerico: ridurre gli avvocati, impedire l'accesso e ritardare quanto piu' possibile l'affermazione dei piu' giovani.

Sull'accesso alla professione
L'esigenza prima e' quella dunque di ridurre il numero degli avvocati, che nel nostro Paese esorbita rispetto alle medie europee. Prima pero' di proporre sbarramenti e chiusure occorrerebbe innanzitutto chiedersi:
- quali siano le ragioni della presenza dell'alto numero degli avvocati che abbiamo adesso;
- se detto eccesso crei disagio alla collettivita' o solo a chi vorrebbe (secondo il vecchio metodo delle licenze tanto caro ai tassisti) contenere numericamente il numero degli esercenti la professione forense.
E anche laddove si volesse ammettere (ma non concedere) che la collettivita' ha detrimento dall'eccesso di legali (perche' magari la troppa concorrenza va a discapito della loro professionalita' con conseguente svilimento del lavoro e via e via), occorre poi chiedersi come e quando intervenire nel taglio, nello sbarramento, nella selezione.
Qualunque selezione lo Stato debba fare per avere buoni, competenti e competitivi tecnici del diritto, la deve fare prima dei trent'anni, nella fase della formazione universitaria e immediatamente post universitaria, fino al piu' tardi, all'esame di Stato, non oltre. A quella eta', adulti ormai, si deve poter godere esattamente delle medesime opportunita' di guadagno e di carriera che e' data ad un "anziano" iscritto all'ordine da 10 o 20 anni, cosi' come ai giovani di tutta Europa. Questo ddl propone invece un ulteriore sbarramento, dilazionando l'esame con corsi di formazione obbligatori, imponendo, anche successivamente alla iscrizione all'albo, meccanismi di controllo e oneri per "rimanere" avvocati. Quali l'obbligo di abitualita' e continuita' della professione stessa, le incompatibilita' con altre professioni.
L'esame di stato, pur duro e selettivo, dovrebbe a nostro avviso, esser requisito per l'ingresso nel mercato del lavoro, che selezionera' la professionalita' di ciascuno, senza ulteriore controllo, ispezione, obbligo onere ecc...
Se adeguatamente selettivo, assieme ad un vero percorso universitario di formazione e un tirocinio di due anni, non si puo' ritardare ulteriormente o condizionare la permanenza della qualifica al reddito, alla formazione istituzionalizzata e autoreferenziale degli ordini professionali, o peggio ancora alla abitualita' della prestazione! Proposta assurda e illiberale.
Un percorso ad ostacoli insomma, intraprendere la professione forense, che non termina mai, sempre sottoposto a giudizio e a revoca da parte degli "anziani". Termina semmai quando si approda nelle file stesse degli ordini professionali, o quando si invecchia. A volere del governo, l'eta' e sufficiente a dar prova di competenza e aggiornamento.

Sulle esclusive e sull'estensione dell'obbligo dell'avvocato
Riteniamo che debbano esser eliminate tutte le ipotesi di esclusiva che vorrebbero istituire l'avvocato necessario e indispensabile ovunque, di fronte alle commissioni tributarie, in qualsivoglia luogo si provi a far valere i propri diritti.
In proposito l'esperienza maturata in Aduc non solo mi ha convinta che al contrario, un aumento delle categorie di tecnici del diritto estesa ai non avvocati e' utile e abbatte i costi per molti consumatori che cercano giustizia nelle cause bagatellari, ma ha anche mostrato tutta la stortura dell'obbligo della difesa tecnica di fronte a cause di tenue valore. Chi deve ad esempio far valere un diritto di poche centinaia di euro non vorra' certo anticipare altrettanto al legale, nella speranza che il giudice comprenda, accolga e rimborsi le spese! Insomma, molte cause sono antieconomiche ed e' il legale stesso che, quando e' onesto, sconsiglia di intraprenderle. In questo gia' grave caso, anziche' prevedere un esonero dell'obbligo della difesa tecnica per chi se la sente di affrontare un giudizio da se' (nell'ottica che un domani un maggior numero di persone possano farsi valere nell'Italia delle truffe dove viviamo), il governo oggi –pardon, la lobby- vorrebbe estendere l'obbligo dell'avvocato anche per un parere o una consulenza!

Sulla pubblicita'

L'esperienza a contatto con Aduc ha mostrato che gli attuali meccanismi di controllo deontologico non aiutano l'utente nel rapporto con l'avvocato, che rimane, e rimarra' per effetto della legge che si vuol approvare, filtrato dalla non trasparenza, tariffe elevate, mancanza di preventivi, nel clima di provincialismo e paternalismo che ha caratterizzato negli anni la relazione cliente-avvocato.
Cio' che invece aiuta (quello si'!) l'utente, e' la trasparenza delle informazioni che l'avvocato da' di se' sul web, tramite pubblicazione nelle riviste e nei siti di interesse giuridico, dove si raccontano le iniziative giudiziarie prese ed esperite con piu' o meno successo, dove si mettono a disposizione anche i propri atti legali ed esponendosi a pieno al giudizio della gente.
Ad oggi, nonostante i severi moniti liberalizzatori dell'Europa, non si riesce ad accettare una figura professionale ed intellettuale, che si possa davvero ritenere libera di potersi esprimere con il proprio sito, la propria pubblicita' ecc... e cio' nonostante l'intervento dell'Europa che ha imposto la libera pubblicita' ed ha equiparato la professione legale all'attivita' di impresa. Il ddl in esame tenta di ripristinare un divieto di pubblicita' tramite il potere conferito agli ordini di creare modalita' precise di "informazione" concedibile. Si tenta in buona sostanza di reintrodurre esattamente cio' che l'Unione Europea ha vietato.

Sulle Tariffe forensi e sulla reintroduzione dei minimi tariffari

Con la riforma Bersani sull'abolizione dei minimi tariffari e sull'inserimento della possibilita' di contrattazione dei prezzi e preventivi, ci eravamo illusi che finalmente qualcosa cominciasse a cambiare. Si sperava che l'utente andasse incontro ad una maggior trasparenza in merito ai costi e agli accordi con il proprio legale.
Il preventivo scritto, in ragione della normativa introdotta, forniva infatti al cliente un valido strumento di programmazione dei costi e di bilanciamento con i relativi benefici, prima di affrontare un'azione giudiziaria, soprattutto se cio' poteva esser effettuato in deroga ai minimi tariffari. Con la proposta contenuta nel ddl si vuol "regredire" alla condizione di prima, in cui, sempre in modo oscuro e paternalistico, chi affronta un giudizio non sa mai quale parcella aspettarsi dal legale. Il sistema delle tariffe, se non derogabile nei minimi, si presta infatti ad uno strumento di ricatto da parte del professionista, che ha grande alea e discrezionalita' su quanto fatturare all'assistito. Occorre invece creare meccanismi di trasparenza che consentano a chi intraprende un'azione di forfetizzare grosso modo i costi della stessa, anche non modificando l'attuale possibilita' –introdotta nella passata legislatura- di legare agli esiti della procedura giudiziaria i costi della stessa (c.d. patto di quota lite).
Occorre consentire accordi liberi fra i cittadini e i loro avvocati e non vincolati ai minimi e ai massimi tariffari. In primo luogo per gli utenti, come l'esperienza in Aduc a contatto con gli utenti ha ormai comprovato. Troppe cause di modesto importo non si fanno proprio per i costi legali, e l'effetto e' devastante: esiste di fatto una zona economica in cui l'ordinamento (e i suoi ausiliari avvocati) non da' protezione alcuna, perche' non conviene.
Si pensi a tutte le truffe costanti poste in atto dalle compagnie telefoniche tramite call center, ai disservizi e ai relativi rimborsi delle compagnie di trasporto pubbliche e private, alle questioni di e-commerce ecc... tutto questo di fronte agli acconti del legale e alle incertezze di tempi e costi della giustizia e' antieconomico. Oppure una questione di principio.
Non solo, ma dal sistema dell'inderogabilita' delle tariffe minime -al solito- chi ne trae giovamento dalla proposta del governo, e' l'avvocato ormai affermato e non anche il giovane che tenta di introdursi sul mercato e che per forza di cose deve, stante la sua minor esperienza, offrire quantomeno un minor costo all'utenza.

Sulla formazione continua e sulle specializzazioni

Nell'ottica di creare meccanismi di controllo sugli iscritti agli ordini forensi e di imporre la supervisione degli "anziani" sui "giovani", il ddl conferisce ai Consigli dell'Ordine e al Cnf poteri in merito alla formazione continua degli avvocati. La formazione e l'aggiornamento che loro stessi disciplinano decidono, istituiscono, prescrivono, sanzionano disciplinarmente, in ottica istituzionalizzata e in tutto e per tutto autoreferenziale.
Il quadro delle telecomunicazioni e dei media, soprattutto delle possibilita' fornite dal web, ha stravolto il concetto di formazione tradizionale, che vuole al centro mediante scuole pre-istituite e gestite da coloro che si ritengono detentori del sapere (anziani versus giovani). Molti avvocati si confrontano con materie e quesiti che dieci anni fa neppure esistevano e cio' nonostante si insiste e si impone una modalita' di formazione continua standardizzata e decisa a priori. E' evidente che cio' costituisce ancora una volta l'ennesimo balzello che l'iscritto deve pagare al proprio ordine di appartenenza, che "per lui" gestisce, supervisiona, amministra corsi (ovviamente a pagamento). Insomma, altro modo per "conferire compiti" a chi controlla e sovraintende le "libere" professioni.
Deve invece e dovra' essere il mercato, libero e fluido, sempre attuale e in evoluzione, a dire di che tipologia di legali ha bisogno il cittadino, e di conseguenza, a creare specializzazioni e competenze di volta in volta non istituzionalizzate o bollate con il timbro degli ordini stessi e del Cnf. In questo forse i giovani piu' degli anziani hanno le possibilita' e duttilita' mentali per rispondere ad esigenze nuove. Esattamente quello che gli "anziani" mirano ad evitare imponendo la formazione dei senior.
Non a caso per se stessi predispongono esclusioni ed esenzioni agli obblighi di formazione continua e di aggiornamento. Insomma, ancora una volta i senior, che secondo buon senso avrebbero certo piu' bisogno di aggiornamenti dei junior, sono esentati da oneri e controlli, nell'ottica gerontocratica che mira a bloccare i giovani sottomettendoli al controllo e al dazio dei piu' "esperti". Si tratta di un trend che nel nostro rivela a tutto campo il grande conflitto generazionale, che vede i ventenni parcheggiati in universita', i trentenni a fare "gavetta" e raccattare briciole negli studi degli "anziani", e i sessantenni che detengono patrimonio, reddito e potere.

Sulla difesa d'ufficio
Esiste invece un importante nodo che non e' stato affrontato in sede di ddl: quello della difesa d'ufficio nelle cause penali.
L'esperienza maturata a contatto con Aduc, con le testimonianze degli utenti e dei legali che collaborano con la stessa, mostra l'urgenza di una proposta di modifica nel senso di introdurre una vera riforma in materia. Ad oggi, per come e' gestita e ricompensata la difesa d'ufficio, la si puo' considerare un vero e proprio scandalo. Non e' un caso che la stessa Corte Europea dei Diritti dell'uomo ha in piu' occasioni avuto da ridire in merito.
I difensori d'ufficio lavorano oggi di fatto prevalentemente gratis, perche' il sistema della legge n. 115 del 2002 in materia di spese di giustizia consente loro di recuperare il proprio credito solo in caso di processi svolti nei confronti degli imputati dichiarati "irreperibili" con decreto del magistrato -art. 117 d.p.r 115 del 2002- (la minima parte) con liquidazione diretta da parte del giudice che emette la sentenza del giudizio penale. In tutti gli altri casi, in processi dove gli imputati sono giudicati con alias o falsi indirizzi, a malapena identificati, senza dimora, sedicenti, o anche solo domiciliati presso il difensore stesso (ma cio' non di meno non "irreperibili"), il difensore di fatto presta la propria attivita' gratuitamente.
Cio' comporta che non appena vi sono altre attivita' piu' remunerative, il professionista ad esse si rivolga, a scapito della prestazione d'ufficio. E del resto, come poter pretendere che l'attivita' non retribuita stia a cuore all'avvocato d'ufficio? I giudici si trovano pertanto costretti a nominare per ogni diversa udienza del processo un diverso difensore di volta in volta scelto nelle liste, che ovviamente e' estraneo alle carte e alle vicende processuali. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha sanzionato i Paesi che svolgono processi a carico di contumaci con plurimi avvicendamenti di difesa tecnica.
Dunque occorre che la difesa d'ufficio diventi, al pari dell'Avvocatura di Stato, una attivita' cui si accede per concorso pubblico e adeguatamente retribuita, affinche' sia, come deve essere, una cosa seria e non l'attuale buffonata. Cosi' com'e' ad oggi rappresenta un vero e proprio diniego di difesa.

Sul patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori
L'attuale sistema, e la riforma incide ancor piu' in tale direzione, consente solo agli "anziani" di patrocinare di fronte alle giurisdizioni superiori. Cio' rappresenta l'ennesimo tentativo di inibire l'accesso a maggior guadagni ai piu' giovani esercenti la professione in favore degli "anziani". E' chiaro che si tratta di un segno di sfiducia nei confronti delle nuove generazioni che non ha alcuna ragione d'essere. Le questioni di diritto, se meritevoli, devono esser portate di fronte alla Corte di Cassazione e formulate anche nelle materie meno rilevanti da ciascun avvocato che le incontri nella propria quotidianita' professionale. Spesso il cittadino, di fronte ai costi richiesti dall'avvocato cassazionista e dal suo domiciliatario in Roma non puo' che fermarsi ai gradi inferiori di giudizio. L'ennesimo "abuso di potere" legalizzato con il quale si creano privilegi per gli anziani a scapito dei giovani, del diritto e della sua evoluzione, ma soprattutto dell'utenza meno abbiente che non puo' permettersi i costi della difesa cosiddetta "qualificata".
Per questo e' importante introdurre la possibilita' di consentire a tutti gli avvocati, di patrocinare davanti a tutte le giurisdizioni.
 
 
OSSERVATORIO LEGALE IN EVIDENZA
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS