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Teleselling. Garante Privacy versus chiamate e sms indesiderati. Le lacune della giustizia
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
15 luglio 2007 0:00
 
Tutti sanno, se non altro dal notevole peggioramento della qualita' della vita e della burocrazia che ne e' derivato, della corposa normativa sul trattamento dei dati personali. Tutti ci troviamo spesso a sottoscrivere e a far sottoscrivere liberatorie di pagine e pagine, anche quando non vogliamo tutela alcuna. Ma quel che e' peggio, e' che sappiamo anche che, nonostante cio', molte compagnie, soprattutto telefoniche, fanno esattamente cosa vogliono dei nostri indirizzi, numeri telefonici, email, e chi piu' ne ha piu' ne metta. E ci troviamo subissati di telefonate indesiderate tanto da preferire a volte lo stacco completo dell'apparecchio.
Lo scorso 15 giugno il Garante della Privacy ha diffuso cinque provvedimenti contro il teleselling e contro altri abusi di legge. In particolare i gestori telefonici e i call center oggetto degli stessi dovranno:
- interrompere l'uso indebito di numeri telefonici raccolti e utilizzati a scopi commerciali senza il previsto consenso degli interessati;
- regolarizzare le loro banche dati informando gli utenti interessati sul trattamento sulla provenienza dei dati e sul loro uso e ottenendo dai medesimi lo specifico consenso all'utilizzo dei dati per scopi pubblicitari;
- registrare l'eventuale manifestazione di volonta' degli utenti di non essere piu' disturbati;
- interrompere l'utilizzo illecito di dati tendente all'attivazione di servizi non richiesti (segreterie, lineeIinternet veloci);
- effettuare controlli sui responsabili dei trattamenti in questione, svolti presso il call center".

Ora, con tutto che nel piu' ci sta il meno, non possiamo fare a meno di notare come queste pronunce del Garante, oltre che giungere in ritardo e a violazioni gia' ampiamente consumate (meglio comunque tardi che mai), si pongono come aggiunta (se non come parziale ripetizione) di norme generali e settoriali che, in tutta evidenza non sono state sufficienti.
Si ricorda, infatti, che gli artt. 13, 127 e 129 del codice in materia di trattamento dei dati personali prevede gia' gli obblighi di raccolta del consenso da parte di chi gestisce una banca dati, cosi' come il codice penale, all'art. 660, punisce chi, con qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone finalizzata ad interferire inopportunamente nell'altrui sfera di liberta'. E si ricorda anche che le pronunce del garante della privacy non sono che fonti subalterne alla legge e che se a distanza di anni dall'entrata in vigore della normativa non si sono visti risultati, forse qualcosa non funziona nel sistema Italia.
Questo qualcosa si chiama giustizia, a mio avviso. Dopo che il legislatore si adegua alle norme europee e definisce nuovi o riafferma vecchi diritti, infatti, occorre che vi siano sistemi celeri e funzionanti ed economicamente convenienti che consentano a tutti, ma davvero a tutti, di poterli azionare in giudizio.
Chi mai, sopraggiunto da chiamate continue e seccanti, si prende la briga di:
- mandare una raccomandata ar di messa in mora di inibitoria e di richiesta danni alla compagnia telefonica propria (che magari ha ceduto i suoi dati) o a quella di disturbo (ammesso che ne reperisca la provenienza);
- attendere la risposta (o meglio la cartolina di ricevimento);
- rivolgersi ad un legale che, dietro corrispettivo, intenti un giudizio che si conclude dopo mesi e a volte anni, e magari con la compensazione giudiziale delle spese legali!
Insomma, per far valere i propri diritti occorre accollarsi di una questione di principio e pagarsela cara, in termini di tempo e soldi.
Con tutto il rispetto per le istituzioni, in assenza del terzo potere (quello giudiziario), le norme e i diritti in esse contenute valgono alla stregua di auspici e desideri.
 
 
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