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Fatture false. Cassazione: dimostrabile per presunzione l'inesistenza dell'operazione commerciale
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7 gennaio 2013 11:25
 
La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi il 14 dicembre scorso su una controversia insorta fra il fisco ed una società contribuente, ha colto l’occasione per fare finalmente chiarezza su un tema molto dibattuto e più volte affrontato anche dalla Corte di Giustizia UE. Si tratta dell’utilizzazione, ai fini di detrazione dell’Iva sulle operazioni passive inerenti a imprese o attività autonome, di fatture fraudolentemente emesse per operazioni commerciali inesistenti.

Il soggetto che pone in essere un’operazione passiva (acquistando un bene o un servizio nell’esercizio della propria attività di impresa o di lavoro autonomo), versa infatti l’Iva al soggetto cedente, e così acquista a sua volta il diritto di detrarre dalla propria liquidazione periodica l’importo dell’imposta pagata.
Ma in presenza delle cosiddette “fatture inesistenti”, che ricorrono sia in caso di inesistenza oggettiva (mancanza assoluta) dell’operazione fatturata, sia in caso di sua inesistenza soggettiva (falsità di uno dei soggetti del rapporto, pur essendo il bene o il servizio entrato nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture), viene alterato lo schema applicativo dell’Iva a danno dell’Erario:
- da un lato, il cessionario del bene o del servizio viene a fruire di una detrazione non spettante;
- dall’altro, resta inevasa l’imposta relativa alla diversa operazione effettivamente posta in essere ma non fatturata.

Sia la Corte di Giustizia Europea che la Corte di Cassazione italiana hanno quindi più volte affermato che il beneficio della detrazione non è accordabile, né per il diritto comunitario né per quello nazionale, qualora l’amministrazione finanziaria possa dimostrare che esso è invocato fraudolentemente da parte del contribuente. Se del caso, cadrà poi su quest’ultimo l’onere di dimostrare ex art. 2697 c.c., comma 2 che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta (ad esempio perché ignorava senza sua colpa che il fornitore effettivo della merce o dei servizi ricevuti non era il fatturante, ma un altro soggetto).

Il punto su cui non vi era stata finora chiarezza, riguardava l’applicabilità all’ipotesi in esame della prova per presunzioni, prevista in materia di Iva all’art. 54, comma 2 del D.P.R. 633/1972. Ebbene, con la sentenza n. 23078 del 14 dicembre 2012, la Cassazione scioglie ogni dubbio in merito, statuendo chela prova per presunzioni costituisce una prova “completa”, alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di verificarne l’attendibilità e di scegliere, tra gli elementi probatori acquisiti, quelli più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione”.
Si ritiene, insomma, del tutto legittimo il ricorso a tale strumento anche in materia di fatturazione per operazioni inesistenti. Di conseguenza, se da una valutazione complessiva degli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, il giudice accerti che gli stessi sono concordanti ed in grado di fornire una valida prova presuntiva, non saranno necessari ulteriori elementi probatori (come ad esempio l’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente) per dimostrare il carattere fittizio delle operazioni fatturate.

Conclude, quindi, la Corte che in tali casi verrà a ricadere sul contribuente “l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza effettiva, anche sul piano soggettivo, degli acquisiti operati e documentati dalle fatture in contestazione, o circa la sua buona fede in ordine al carattere fraudolento delle operazioni a monte del proprio acquisto.”
 
 
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