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DA UN TESTAMENTO UN INNO ALLA VITA -da "Forse la mia ultima lettera a Mehmet" di Nazim Hikmet
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 giugno 2004 0:00
 
In questi giorni, curiosando in una cartoleria, ho passato in rassegna quei cartoncini che riportano poesie o detti celebri e ho ritrovato una famosissima "poesia" di Nazim Hikmet, che, un po' piu' di trent'anni fa, scoprii con entusiasmo sotto il titolo che va per la maggiore, e cioe', "Che l'uomo ti dia a piene mani la gioia".
Mi sono soffermata a rileggerla, e mi sono accorta con quali occhi diversi da allora lo stavo facendo. Non e' cambiata la bellezza delle cose che il poeta turco comunica, solo che adesso, diversamente da allora, io so che quelle parole sono inserite in un contesto molto piu' ampio, dal quale ricevono una profondita' e una densita' ancora maggiore. Infatti, quel gruppo di versi, che viaggia da anni per conto proprio, in realta' e' incastonato nella lettera-testamento, che il poeta, un uomo di appena trent'anni, malato di cuore, e chiuso in carcere perche' scriveva cose scomode per il potere, invia al proprio figlio, il piccolo Mehmet.
Ed e' cosi' che mi accorgo che, mentre ieri l'altro mi sentivo, in certo qual modo, la "Mehmet" della situazione, cioe', la destinataria di quell'invito ed augurio del poeta, adesso mi sento anche nei panni di quest'ultimo, mi ritrovo in questa sua passione per la vita e per l'umanita' mentre si va avvicinando sempre piu' il momento del congedo.

Mi sembra giusto far conoscere a chi puo' averne interesse o trarne godimento il contesto di quei celebri versi, ma, data la lunghezza di "Forse la mia ultima lettera a Mehmet", scelgo un compromesso. Riporto la poesia intera nell'allegato e trascrivo di seguito l'inizio di essa, e la parte piu' famosa con i versi immediatamente precedenti e seguenti. Quanto basta per coglierne la risonanza diversa che essa ha rispetto a quella che comunica quando ce la troviamo davanti cosi', come se fosse una meteora caduta da chissa' dove.
Cio' non toglie che, anche presi da soli, quei versi conservino una grande forza espressiva, segno che li' dentro c'e' davvero la potenza della vita e una autentica passione per l'essere umano.

" Da una parte
gli aguzzini tra noi
ci separano come un muro;
d'altra parte
questo cuore sciagurato
mi ha fatto un brutto scherzo,
mio piccolo,
mio Mehmet
forse il destino
m'impedira' di rivederti.
[...]
Non ho paura di morire, figlio mio;
pero' malgrado tutto
a volte quando lavoro
trasalisco di colpo
oppure nella solitudine del dormiveglia
contare i giorni e' difficile
non ci si puo' saziare del mondo
Mehmet
non ci si puo' saziare.

Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all'uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma innanzitutto ama l'uomo.
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell'animale infermo
ma innanzitutto senti la tristezza dell'uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l'ombra e il chiaro
ti diano gioia
ma che soprattutto l'uomo
ti dia a piene mani la gioia.


La nostra terra, la Turchia
e' un bel paese
tra gli altri paesi
e i suoi uomini
quelli di buona lega
sono lavoratori
pensosi e coraggiosi
e atrocemente miserabili
si e' sofferto e si soffre ancora
ma la conclusione sara' splendida.

Tu, da noi, col tuo popolo
costruirai il futuro
lo vedrai coi tuoi occhi
lo toccherai con le tue mani.
Mehmet, forse moriro'
lontano dalla mia lingua
lontano dalle mie canzoni
lontano dal mio sale e dal mio pane
con la nostalgia di tua madre e di te
del mio popolo dei miei compagni
ma non in esilio
non in terra straniera
moriro' nel paese dei miei sogni
nella bianca citta' dei miei sogni piu' belli.
[...]"


Era il 1932. Nazim Hikmet supero' quella crisi; si riprese dalla malattia e l'anno dopo fu liberato grazie a un'amnistia. Ma il suo "cuore sciagurato" e i tribunali turchi gli stavano preparando nuove dure prove. La sua vita fu infatti segnata da altri infarti, da altri lunghi anni di carcere e, infine, dall'esilio, in Russia, dove mori' (ancora un infarto) nel 1963. In certo qual modo, in questa poesia e' racchiusa anche una premonizione della sua sorte: "Forse moriro' /lontano dalla mia lingua/lontano dalle mie canzoni..". Ce n'e' abbastanza, come si vede, per leggere i versi piu' famosi sotto una luce molto piu' potente di quella, pure grande, per la quale brillano da soli.

NOTA
La poesia, oltre che su Internet, si trova in questa versione in NAZIM HIKMET, Poesie, Newton Compton italiana, Roma 1972, pp.14-17 (traduzioni di Joyce Lussu e Velso Mucci). In questo libro vi e' anche una bella introduzione di Joyce Lussu che fu amica personale del poeta turco.
Un'altra poesia ("Alla vita") di Nazim Hikmet, con una breve nota biografica del poeta, si trova nella "Pulce nell'orecchio" del 1.11.2003
(clicca qui )
 
 
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