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Mangiare la pizza e bersi un espresso. Vita da clandestino
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Vita da clandestino di Vincenzo Donvito
13 dicembre 2017 12:36
 
 Sara’ che ieri mi ha dato particolarmente noia una schifezza di pizza che ho mangiato in una -a questo punto, specifica dispregiativa meritata- schifezza di pizzeria… ma proprio non mi va giu’ che -mediamente- per mangiare una pizza decente bisogna conoscere. Qualcuno obiettera’: perche’ non ‘e cosi’ anche per il ristorante, per il caffe’, per un bigne’ alla crema o anche per una grattatina di ghiaccio al limone? Certo. E’ cosi’. In generale. Ma io vorrei fare due eccezioni: il caffe’ espresso e la pizza. Sono due patrimoni della nostra cultura gastronomica “fast” che divento quasi intollerante per coloro che ti rifilano delle schifezze. Che cosa ci vuole a fare un caffe’ espresso buono e una pizza altrettanto buona? In entrambi i casi si tratta di prodotti navigati e semplici che, non eludendo la qualita’ delle materie prime e i metodi di preparazione, per farli cattivi, bisogna proprio essere in malafede. La malafede, per l’appunto. Ma ne vale la pena, anche se il consumatore potrebbe essere uno che di caffe’ espresso ne ha solo sentito parlare e di pizza e’ aduso a mangiarla con l’ananas? (1). Certo che ne vale la pena. Perche’ oltre alla bellezza e alla full-immersion storica dei nostri monumenti e delle nostre produzioni artistiche (tutte estremamente doc), non dovremmo fare altrettanto con la gastronomia? Certo, se uno va al ristorante, conta anche quello che e’ disposto a spendere (anche qui, pero’, pur spendendo poco, non e’ detto che semplicita’ faccia rima con schifezza. Anzi). Ma un caffe’. Un trancio di pizza (o anche la classica rotonda): che ci vuole ad usare un buon pomodoro in scatola, una buona mozzarella, un buon olio extra-vergine, senza che questo, pur nei grandi numeri della grande alimentazione, comporti chissa’ quale sbilanciamento economico nel rapporto offerta-acquisto. E’ proprio vero che si guadagna di piu’ de la pizza e’ surgelata, il pomodoro di dubbia origine e la mozzarella una sorta di pasta ritenuta valida solo perche’ fila? Si’, certo, qualcosa in piu’ si guadagna, ma nel commercio non conta anche la soddisfazione del cliente? Foss’anche un giapponese che dopo essere rimasto a bocca aperta per aver visto il David di Michelangelo o Ponte Vecchio (visto che scrivo da Firenze), non possa restare a bocca aperta anche per l’aroma del caffe’ o il profumo, la fragranza e la bonta’ di un trancio di pizza? (2). La cura dell’arte non riguarda anche l’arte gastronomica? Certo, non si puo’ vietare ad un esercizio commerciale di vendere schifezze, ma perche’ non vengono fatte delle classifiche pubbliche sulla bonta’ gastronomica? Forse perche’ dovremmo sottostare alle ire dei singoli ristoratori e delle rispettive associazioni di categoria? Facciamolo, e affrontiamo le ire. Del resto, i vigili, per esempio, non vanno in giro ad impedire che si imbrattino i monumenti (foss’anche con una pisciatina notturna), perche’ non dovrebbero andare in giro per impedire che i ristoratori imbrattino gli stomaci di turisti e residenti?
La cosa e’ complessa e bisogna andarci coi piedi di piombo. Ma sarebbe bello, sano e utile che, mangiando un trancio di pizza vicino al Duomo (sempre Firenze) non si fosse presi dalla sindrome della cacarella, cosi’ come da quella di Stoccolma. Ne parliamo? Soprattutto quelli che direttamente ci guadagnano? Io intanto continuero’ a fare il clandestino, in quel baretto o i quel panificio, dove anche con un sorriso sono contenti di farti consumare qualcosa che li fara’ ricordare, ti fara’ ritornare e lo segnalerai agli amici o sui social network.

1 – In proposito, trovo di estremo gusto questo pensierino: “Ma ora che la pizza e’ diventata patrimonio dell’umanita’, se gli americani non levano l’ananas dalla pizza, li possiamo mandare sotto processo a L’Aja per genocidio?” (Antonio Satta, Milano Finanza)
2 – a proposito. A Tokyo ho avuto occasione di mangiare pizza molto buona a prezzi da fast-food.
 
 
 
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