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Assegno di mantenimento al coniuge infedele?
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Famiglia e individuo di Claudia Moretti
1 settembre 2009 0:00
 
Da un recente caso finito nelle aule di giustizia, cogliamo spunto per fare una breve riflessione e per porre alcuni interrogativi sulla natura e sugli effetti del matrimonio civile, e sugli istituti che orbitano intorno al matrimonio e, soprattutto quelli operanti in caso di fallimento.
Ecco i fatti.
Coppia sposata per molti anni. Per un lungo periodo, in costanza di matrimonio, la moglie tradisce il marito e al momento della separazione i due coniugi ormai non vivono piu' insieme. La moglie ormai intrattiene una relazione stabile con un altro uomo benestante. In sede di separazione la moglie chiede e ottiene dal marito un cospicuo assegno di mantenimento. Lui ha tollerato una relazione extraconiugale della moglie durata ben 12 anni, ma la Corte di Cassazione ha stabilito che dovra' continuare a mantenerla con un assegno di 1.300 euro al mese. Poco importa che lei per i 12 anni precedenti la loro separazione avesse avuto un amante.
Non vogliamo approfondire la vicenda da un punto di vista umano perche' non e' quello il punto. Vi saranno forse ragioni nascoste che giustificano la decisione dei giudici, apparentemente ingiusta e vessatoria nei confronti del marito. Il punto e' interrogarsi sul senso degli istituti quali l'addebito della separazione e dell'assegno di mantenimento al coniuge cosi' come concepiti nell'elaborazione giurisprudenziale.
Il primo, si sa, mira ad evitare che le conseguenze post matrimoniali abbiano ad estendersi anche a chi non se li merita, il secondo costituisce l'essenza del “post matrimonio”, ossia la modalita' con cui si proroga il tenore di vita matrimoniale al coniuge separato prima e divorziato poi. Questa esigenza si sa, affonda le sue radici nella protezione della donna che, nella famiglia tradizionale si dedica alla cura dei figli, e contribuisce alla crescita economica del marito. E sicuramente pensando a questo che il legislatore ha previsto meccanismi di protezione sociale nel caso di separazione e poi di divorzio. Ed e' un intento dovuto, se si pensa alla funzione che per molto tempo la donna ha ricoperto in famiglia.
Ma nonostante le evoluzioni sociali per cui ormai la moglie lavora tanto quanto il marito, nonostante siano ormai piu' frequenti le separazioni che le “unioni per tutta la vita”, nonostante le sempre piu' numerose “nuove famiglie” di conviventi more uxorio, e a distanza di quasi quarant'anni dall'introduzione del divorzio, il matrimonio e' “per sempre”.
Insomma, chi si sposa e' bene che lo sappia: -come davanti al prete solo morte puo' separare quello che il contratto matrimoniale ha sancito. Il matrimonio e' per sempre, va oltre e resiste alla separazione e pure al divorzio. E la vicenda su descritta ne e' piena prova.
E' davvero socialmente necessario che il coniuge mantenga tutta la vita il legame con l'altro, a prescindere dallo stato di bisogno? E davvero giusto pensare che un una fase della vita dedicata ai figli, o una semplice scelta di rinuncia al lavoro abbia ripercussioni perenni? E che per tutta la vita esista quel “diritto a mantenere il precedente tenore di vita”? Esiste, a prescindere dallo stato di bisogno un diritto ad esser mantenuti, magari mantenuti anche bene? E un diritto a non lavorare e a non dover neppure cercare lavoro? Possibile che un legame matrimoniale non consenta, in determinate circostanze di azzerare e ripartire da capo? E' un legame simile, davvero socialmente necessario? O il matrimonio puo' invece esser ripensato anche come istituto a termine? E se si', ha ancora senso?
Domande di difficile soluzione, in una Italia dove ancora molte donne non lavorano e il problema esiste intrecciato alla disoccupazione e all'indigenza di molte famiglie. Di sicuro ci interroghiamo sull'istituto del matrimonio che, nonostante tutto, rimane concepito come uno strumento di fatto irrescindibile, salvi i casi di annullamento, nel quale, alcune volte si rimane intrappolati, a volte anche ricattati, oltre ogni ragionevolezza. E cio' a prescindere da ovvie considerazioni sui doveri di entrambi i coniugi nei confronti dei figli.
Forse esistono altrove forme contrattuali, o convenzioni prematrimoniali e matrimoniali, o altre alternative all'attuale matrimonio civile. Alternative meno radicali, meno irrevocabili con cui decidere a priori gli effetti e le conseguenze di una unione e di una disunione. In modo consapevole, scelto, selezionato.
Esistono, ma forse ancora non se ne puo' -laicamente- parlare.
 
 
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