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Padri separati. I nuovi poveri?
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Famiglia e individuo di Sara Astorino
21 ottobre 2021 10:36
 
Premessa. Quanto scritto è sviluppato non sulla base di statistiche ma di vicende cui ho assistito in dodici anni di carriera forense.
Secondo dati Caritas i padri separati non collocatari, ovvero col diritto di visita ma che non vivono stabilmente coi figli, soffrono, a causa di separazione e divorzio, una situazione di assoluta precarietà.
 Il 66%, circa mezzo milione, non riesce a sostenere le spese per le prime necessità, neanche le piccole quando in compagnia dei figli.
Perché?
L’assegno di mantenimento per i figli spesso è al di sopra delle reali capacità economiche dell’uomo. Secondo dati dell’Unione dei padri separati, nel 94% il genitore collocatario prevalente è la madre e, di conseguenza, il padre è tenuto a versare assegno di mantenimento. Inoltre, solo nel 30% dei casi al padre è concesso mantenere la casa, e il restante 70%, oltre al proprio mantenimento, deve provvedere ad una nuova abitazione (a volte continuando a pagare il mutuo dell’abitazione familiare).
La realtà è così?
Sì! Per diverse ragioni.
E’ scorretto affermare che i padri separati (tutti) vivano in condizione di indigenza per separazione e/o divorzio. Sono in molti a non versare il predetto assegno, che risultano nulla tenenti, che per separazione e divorzio fanno fronte a gravi difficoltà economiche o che d’improvviso non sono più in grado di provvedere nemmeno a se stessi.
Esistono due realtà parallele
Quella di uomini che affrontano gravi disagi: innegabile che i parametri per la quantificazione dell’assegno di mantenimento siano da rivedere e siano, ad oggi, frutto del caso più che protocollo. E uomini che, separati/ divorziati, non hanno più figli.
Sono fenomeni distinti, paralleli. Uomini separati che divengono i nuovi poveri e donne che da sole debbono tirare su i propri figli, spesso private non solo di assistenza economica ma anche morale e psicologica.
Da precisare che la casa è data, affidata, ai minori e ne gode chi con questi vive.
Da precisare che i padri non chiedono quasi mai di avere la collocazione prevalente dei figli. La statistica risulta quindi falsata: il 94% delle assegnazioni è a favore delle madri perché i padri neanche provano a chiedere la collocazione prevalente, e la casa è affidata di conseguenza.
Inoltre non esiste una valutazione organica della quantificazione dell’assegno di mantenimento ma, per ottenerne una riduzione, sarebbe opportuno che i padri trascorressero più tempo coi figli… e questo non avviene.
I parametri dell’assegno di mantenimento
Siamo innanzi ad una giungla
Ogni Tribunale segue propri parametri e, di conseguenza, a parità di situazioni il contributo al mantenimento varia al variare del Tribunale.
Particolare quanto statuito dal Tribunale di Monza: la misura del contributo al mantenimento dei figli minori doveva essere correlato non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dalla attività professionale svolta dal genitore non convivente, ma ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita dei figli stessi.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha stabilito, e molte volte ribadito, che bisogna assicurare al minore il tenore di vita in misura analoga a quello già goduto prima della crisi coniugale. Pertanto l’importo dipende anche dalle risorse economiche dei genitori, ricostruendo le rispettive situazioni patrimoniali e reddituali, nonché capacità lavorative e potenzialità reddituali.
Soluzioni
Senza scomodare il Legislatore, basterebbe un protocollo condiviso senza percentuale fissa di contributo al mantenimento, indicando come identificare lo stesso.
Con i seguenti parametri. Capacità reddituale di ambo i coniugi, evitando di utilizzare il contributo a favore del genitore collocatario prevalente, e tempo che i genitori trascorrono coi figli. Una forma diretta di contributo al mantenimento, equiparando ruolo genitoriale e ripartizione di spese da integrare a favore del coniuge con maggiore difficoltà economica.

 
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