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AUGURI, SI'. E POI?
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 gennaio 2001 0:00
 
Ed eccoci ancora una volta a una fine dell'anno e a un nuovo Capodanno… con gli altri 364 giorni che seguiranno dappresso uno dopo l'altro, talora tardi e vischiosi nel loro sgranarsi, tal altra autentici lampi nel guizzare all'orizzonte. A differenza dell'anno che sta finendo, la cui attesa fu scandita con un chilometrico conto alla rovescia e con un grande battage pubblicitario, questo 2001 entra in scena piu' in sordina. Starei per dire con la sobrieta' che si addice a cio' che davvero conta. Perche' questa volta, si', senza ombra di dubbio, entriamo non solo in un anno nuovo, ma nel XXI secolo e nel III millennio. Con tutta la relativita' del caso, e' naturale.
E' vero, infatti, che molti sono i calendari vigenti su questa nostra Terra, e non si puo' ignorare -solo per fare un paio di esempi- che per gli Ebrei e' gia' cominciato il 5761 e per gli islamici siamo nel 1421.
Pero' e' anche vero che il calendario che prende l'avvio dalla nascita di Gesu' di Nazaret si e' affermato come calendario universale e viene usato da tutti i popoli, almeno nelle relazioni fra di loro.
Meno celebrato, lodato, pubblicizzato, dunque, del suo immediato predecessore, che poteva vantare la magia del numero tondo, il 2001 arriva, comunque, caricato delle aspettative che circondano ogni anno nuovo. L'augurio, reiterato per milioni di volte, e' che il vecchio anno si porti via tutto il male, i problemi, le angustie, le paure e l'oscurita' che abbiamo sperimentato nei trascorsi 366 giorni, e il nuovo porti luce, benessere, sicurezza, gioia, pace, e ogni cosa bella riesca a immaginare l'umano cervello.
 
Ma e' cosi'? Non e' questo un trucco a cui ci teniamo stretti, forse per abitudine, forse per non sembrare dei guastafeste tanto piu' insopportabili quanto piu' tutto intorno a noi luccica e risplende? Oppure per paura di una realta' che, quanto piu' evidente e incontenibile, tanto piu' vogliamo nascondere ai nostri stessi occhi? Non potrebbero essere le varie abbuffate di cibo e di botti di fine anno proprio la spia di un malessere respinto ai margini, ma non per questo meno reale?
Non voglio dire di non fare gli auguri per il nuovo anno. No, per carita', facciamoli: tanti e di cuore.
Chiediamoci però anche se possono essere qualcosa in piu' di una pura e semplice formalita' e del rinvio di ogni cambiamento a un taumaturgico Domani.
In quello scritto mirabile per semplicita' e profondita' che e' il "Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere", ambientato in una fine d'anno di circa 180 anni fa, Giacomo Leopardi, a 34 anni, coglieva l'essenza di un conflitto e di una confusione senz'altro inquietanti (il testo in appendice).
Ma prima di pronunciare su Leopardi la poco originale sentenza di pessimista, fermiamoci un istante. Siamo certe/i che quel conflitto non riguardi anche noi, che ci stiamo affacciando al XXI secolo? Non siamo anche noi quel "passeggere", quel tale di passaggio, curioso di sapere se l'anno nuovo sara' felice, e, insieme, il venditore di almanacchi con quella sua disarmante sincerita': la certezza che il prossimo anno sara' bellissimo, e l'uguale certezza che di tutti gli anni passati non vorrebbe riviverne neppure un briciolo? "E pure la vita e' bella. Cotesto si sa".
E se ci sembra di essere trasportate/i in un vicolo cieco, davanti a un muro alto, senza appigli ne' pertugi, possiamo provare a resistere allo spavento che ci prende e a non scappare, rifugiandoci in un brindisi o in un fuoco d'artificio? Visto che siamo in tema, possiamo augurarci, in questo frangente, un po' di coraggio?
E di nuovo: cosa vuol dire augurarci qualcosa? Quando dovrebbe realizzarsi cio' che ci auguriamo? Nella conclusione del dialogo di Leopardi vediamo che nel passato non vi e' stata felicita', ed ora essa viene situata -oggi si direbbe proiettata- nel futuro. Dice il passeggero: "Quella vita ch'e' una cosa bella, non e' la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso comincera' a trattar bene voi e me e tutti gli altri e si principiera' la vita felice. Non e' vero?". E il venditore fa eco: "Speriamo".
E se ci prende la disperazione, e' perche' qui risulta palese che niente, proprio niente ci assicura la felicita' futura; anzi, ci rendiamo perfettamente conto che l'anno nuovo, a mano a mano che "invecchiera'", si rivelera' il degno compagno di tutti quegli altri che non vorremmo rivivere.
Ma l'inganno e' svelato. C'e' il passato, c'e' il futuro, ma il presente, dov'e'?
Il presente come momento attuale che stiamo vivendo, il presente come presenza a quello che siamo in questo preciso istante per guardarlo con attenzione, come se fosse un oggetto materiale. Perche', anche se la grammatica ci insegna che "tristezza", ad esempio, o "invidia" o "desiderio" sono nomi astratti, i loro effetti sono di un'enorme concretezza, e quindi a queste realta' va prestata una seria attenzione immediata nel momento in cui si presentano. Almeno la stessa attenzione che sappiamo necessaria per svolgere bene un compito "esteriore" (che so, tradurre un brano in un'altra lingua, disegnare una planimetria, addobbare l'albero di Natale….).
Ma, paradossalmente, non riusciamo a fare tesoro a livello psicologico di questa esperienza che tocchiamo con mano nel mondo "esteriore", mentre mutuiamo acriticamente da essa il senso della gradualita', del divenire. Per imparare una lingua, per costruire una casa, per diventare medici, effettivamente ci vuole tempo. E cosi', quando mi accorgo, ad esempio, di essere aggressiva, mi rassicuro mettendo in gioco il tempo: "domani cambiero'"…. E intanto ferisco una persona o rompo una relazione.
Ecco, e' in questa trasposizione del tempo "materiale" sul piano psicologico che sembra situarsi uno degli errori piu' gravi che fa l'umanita'. A mettere in evidenza questo fatto e' stato Jiddu Krishnamurti (1895-1986), il quale ha dedicato al problema del tempo un'enorme attenzione, testimoniata anche dalle conversazioni col fisico nucleare David Bohm. Egli osserva che, a livello psicologico, il divenire non esiste, perche': "Tutto il tempo e' ora: passato, presente, futuro". Di conseguenza, qui, o il cambiamento e' istantaneo, o non avviene.
Psicologicamente, il passato, sia quello personale sia quello dell'umanita' nel suo complesso, condiziona pesantemente il presente di ciascuna persona e della societa' e pone un'ipoteca sul loro futuro: domani saremo come oggi, e quindi come ieri, al massimo con qualche piccola modifica che non intacca la sostanza della nostra confusione (e infelicità).
"Se voi accettate questo fatto che non esiste domani", dice Krishnamurti in un discorso del 26 agosto 1984 a Brockwood Park, "che cosa succede al vostro modo di guardare il mondo, di guardare voi stessi? Come fate a pensare a Dio? Come fate a pensare a diventare qualcosa? Capite? Diventare qualcosa implica tempo. E voi vi rendete conto che tutto il tempo e' ora, capite? (…………) Pero' questa affermazione potrebbe non essere vera; quindi sta a voi scoprire per conto vostro se un'affermazione del genere si riferisce ad un fatto oppure no. Non potete lasciarvi influenzare, forzare o incoraggiare da chi vi parla. Percio' questa affermazione va messa in dubbio; bisogna essere scettici e chiedersi: 'E' veramente cosi'?'. Se lo fate, il vostro cervello si mettera' a funzionare e vedrete voi stessi come stanno le cose" (da: Krishnamurti, "Un gioiello da scoprire", Aequilibrium, Milano 1990, p. 31ss.).
 Per quanto questa proposta sembri inconsueta e forse ostica, l'esperienza che tutto il tempo e' ora la facciamo spontaneamente qualche volta anche noi: succede quando siamo di fronte a un pericolo reale o a qualcosa che ci sta enormemente a cuore. Ed e' interessante l'espressione che usiamo: "non ho messo tempo in mezzo". Ma il fatto e', osserva lo stesso Krishnamurti, che "non vediamo il pericolo in molti dei nostri problemi e cosi' inventiamo il tempo per sopraffarli", dividendolo in passato, presente e futuro, ed essendo sempre in conflitto a causa di questa divisione.
 
Per terminare, voglio fare gli auguri di BUON 2001 con l'urgenza e anche l'enigma presenti nella conclusione dell'ultimo discorso della vita di quest'uomo, tenuto in India il 4 gennaio 1986:
 
"La creazione e' qualcosa di quanto mai sacro. E' la cosa piu' sacra della vita e se voi fino a oggi avete vissuto a caso, cambiate atteggiamento. Cambiatelo oggi, non domani. Se siete incerti, scopritene il perche' e siate certi. Se il vostro pensare e' contorto, pensate in maniera diritta, logica. Se prima non preparate tutto questo, non sistemate ogni cosa, non potete entrare in questo mondo della creazione. Termina qui" (da: Mary Luytens, "La vita e la morte di Krishnamurti", Ubaldini editore, Roma 1990, p. 207).
 
 
 
 
 
Appendice
GIACOMO LEOPARDI
 
 
 
DIALOGO DI UN VENDITORE D'ALMANACCHI
E DI UN PASSEGGERE
 
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sara' felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Piu' piu' assai.
Passeggere. Come quello di la'?
Venditore. Piu' piu', illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verita', illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita e' una cosa bella. Non e' vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta ne' piu' ne' meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Ne' anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita cosi, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Cosi vorrei ancor io se avessi a rivivere, e cosi tutti. Ma questo e' segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno e' d'opinione che sia stato piu' o di piu' peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'e' una cosa bella, non e' la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincera' a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principiera' la vita felice. Non e' vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco piu' bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
 
(da: Giacomo Leopardi, Operette morali)
 
 
 
Nota
(Attenzione: testo e note sono state ritoccate e integrate nel dicembre 2008)
Questo dialogo è datato 1832 ed è il penultimo nella raccolta definitiva delle Operette morali.
Su Internet il testo integrale delle Operette morali si trova, fra l'altro, sul seguente sito:
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Per la vita e le opere di Giacomo Leopardi: clicca qui
Un altro scritto in questa rubrica della "Pulce nell'orecchio" (1 maggio 2008), che trae spunto dal Dialogo della Moda e della Morte si trova a questo indirizzo:
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Su Krishnamurti in italiano:
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In inglese: Fondazione istituita da Krishnamurti a Ojai (California, USA) clicca qui
Scuola istituita da Krishnamurti a Brokwood Park (GB) clicca qui  
(cura di Annapaola Laldi)
 
 
 
LA PULCE NELL'ORECCHIO IN EVIDENZA
 
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Direttore Domenico Murrone
 
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