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Chanukah e Natale – ovvero: Quando le ricorrenze di religioni diverse si incontrano
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
21 dicembre 2022 6:01
 
Quest’anno, che per il calendario civile è il 2022, ci mostra due coincidenze importanti col calendario ebraico, rispettivamente del 5782 e del 5783 (il capodanno ebraico, infatti, cade nel mese di settembre dell'anno civile).

La prima riguarda due tragedie consumatesi rispettivamente il 6 agosto, anniversario della distruzione di Hiroshima, nel 1945 a opera della bomba atomica sganciata dagli Americani sulla città nipponica, e il 9 di Av, anniversario di eventi tragici che hanno colpito, nel corso dei secoli, il popolo ebraico (416 era volgare, distruzione del primo Tempio, 70 e.v., distruzione del secondo Tempio e tutta un’altra serie di eventi tragici fatti accadere volutamente dai persecutori degli Ebrei il 9 di Av).
Di tutto ciò ho reso conto nelle mie noterelle intitolate Due tragedie
 
Ma proprio in questi giorni, e precisamente dal 18 al 26 dicembre, si segnala un’altra coincidenza, questa volta dall'impronta gioiosa.
Infatti, nelle Comunità ebraiche si celebrano gli otto giorni della festa di Chanukah, la “festa delle luci”, mentre nel mondo cristiano c’è la preparazione al Natale (25) dicembre, seguito da un altro giorno di festa, che è la memoria del diacono Stefano, il primo martire cristiano.

Mi sono così ricordata che, nel 2003, si era già data una coincidenza del genere e mi è venuto in mente di riproporre le mie noterelle di allora, intitolate “Finestre di luce ad illuminare  l’essenza della nostra umanità”. Anche perché, se nel racconto si parla di tempi duri e bui, quanta durezza e oscurità ci assedia oggigiorno? Quanto più bisogno abbiamo di finestre di luce nei luoghi più tormentati della terra come anche dentro i nostri cuori e le nostre menti che rischiano di chiudersi sempre di più?

Ho lasciato l’impianto di allora, con la viva speranza che questa storia fornisca materia di riflessione anche a chi pensa che ebraismo e cristianesimo siano due fedi separate, dimenticandosi che “Yeshùa  (Gesù) è ebreo e lo è per sempre”, secondo una dichiarazione ufficiale della Chiesa cattolica.
Ecco dunque le considerazioni del 2003, a cui voglio premettere un pensiero riconoscente per l’amica Milka Ventura di Firenze, che mi segnalò questo racconto da lei tradotto insieme ad altri presenti nell’opera indicata nella nota 1).

FINESTRE DI LUCE AD ILLUMINARE L'ESSENZA DELLA NOSTRA UMANITA'
 
"Vi voglio raccontare l'arrivo di mio zio nella nostra strada .. Arrivò all'improvviso, in un modo che aveva dello straordinario un anno in cui la settimana di ‘Chanukàh’ e quella di Natale venivano a cadere negli stessi giorni. Si era agli inizi degli anni '30. Ricordo che la nostra stradina di Brooklyn, con le sue case a tre piani di arenaria, i suoi sicomori spogli e il suo miscuglio di ebrei, irlandesi e italiani, era addobbata di finestre di luce per le 'menoroth' [candelabri] e gli alberi di Natale. Quell'anno sfoggiavamo le nostre facce spavalde contro quei tempi duri e bui".

Comincia così il semplice bel racconto "Storia di due soldati" dell'ebreo americano Chaim Potok, che mi capitò di leggere una decina di anni fa e che mi e' tornato in mente per l'odierna coincidenza fra la festa ebraica di Chanukah (20-27 dicembre) e quella cristiana del Natale (25 dicembre), e per la realtà di questo nostro tempo anch'esso, di nuovo, particolarmente "duro e buio".
Naftali, lo zio del narratore di questa storia, "un uomo alto e massiccio", arriva a New York, vi sosta e ne riparte, avvolto in un alone di mistero ("sembrava che fosse in qualche modo legato al governo di Palestina e viaggiava molto"), esprimendo, comunque, con la sua "voce piacevole, suadente" e il "sorriso caldo e seducente", una fortissima carica umana che lo mette in relazione immediata con il "duro" del quartiere, il quattordicenne irlandese, cattolico osservante, e aspirante soldato, Tommy Farrel "Carbonella". Le conversazioni tra i due "soldati" vertono soprattutto sulle due feste concomitanti, due feste della luce, anche se diverse nell'origine.
"Con Thomas ci stavamo facendo una bella chiacchierata su 'Chanukah' e il Natale", annuncia una mattina Naftali al nipote. "Raccontavo a Thomas delle nostre lotte per la libertà religiosa, duecento anni prima di Gesù, e gli dicevo che se i Maccabei, che guidarono la lotta, non avessero vinto, non ci sarebbero stati ebrei fra cui Gesù potesse nascere. Non e' vero Thomas?'. 'Sì, signore', disse Tommy Carbonella, rispettoso". E prima di ripartire, Naftali va a salutare Tommy: "Hanno un bell'albero", osserva poi col nipote,"Lo ha decorato Thomas. Mi diceva che il suo prete ha spiegato che l'albero simboleggia l'immortalità e la croce. Non lo sapevo. Io gli ho detto che quando i Maccabei purificarono il Tempio dal culto pagano, probabilmente usarono le aste delle lance per fare una 'menorah' [candelabro]. Luci dalle armi. Ci siamo scambiati delle informazioni, per così dire..'".

Già, informazioni - e di prima mano: ecco quello che ci manca, alla fin fine. Informazioni per capire le affinità che ci uniscono a chi crediamo tanto diverso da noi, ma anche per comprendere la sostanza più profonda delle nostre stesse tradizioni. Chi ci dice, infatti, che, andando alle radici di quelle che per noi, spesso, non sono che stanche imitazioni dettate dal conformismo economico, sociale, religioso, e finanche emotivo, non arriviamo a scoprire che noi, proprio noi, in prima persona, abbiamo necessità autentica di una luce che illumini bene lo scenario della nostra vita? E' un'ipotesi che mi pare degna di attenzione.

Reperti antichissimi attestano che sia la scomparsa del sole al tramonto sia il suo progressivo ritirarsi fino al punto estremo del solstizio d'inverno (così come le eclissi solari) hanno creato paure e angosce nell'essere umano da quando ha cominciato ad avere coscienza di sé e del suo stare nel mondo, e altrettanto sollievo e altrettanta gioia ha causato la scoperta che il sole rinasceva/risorgeva dalla morte. E proprio sull'esperienza della morte e resurrezione del sole gli EGIZI hanno fondato il loro grande simbolismo religioso, al quale, secondo un acuto teologo cattolico dei nostri giorni, il tedesco Eugen Drewermann, molto deve lo stesso cristianesimo.

Se in tutto ciò si trattasse solo di un dato astronomico, noi, oggi, con tutte le conoscenze che la scienza ci offre, dovremmo starcene tranquilli. Però tranquilli non siamo. Il buio, infatti, lo sperimentiamo sempre di più fin dentro la nostra interiorità, e ci fa ancora più paura. Ma anche il buio esterno - sia detto per inciso - continuiamo a temere, a giudicare dall'energia elettrica che sperperiamo per illuminare ordinariamente case, strade e piazze, ben oltre la necessità di vedere le cose all'intorno - e ci precludiamo così la vista delle stelle..

Una breve sosta riflessiva ci può bastare, perciò, a capire come proprio in questo periodo dell'anno, nell'area mediterranea ed europea (per rimanere alla nostra esperienza), siano arrivate fino a noi, da tempi immemorabili, queste FESTE DI LUCE, che sembrano diverse solo perché hanno un diverso vestito storico.
Per gli ebrei, per esempio, le otto candele accese per Chanukah (= dedicazione) rievocano la purificazione del Tempio di Gerusalemme (164 a.e.v.), dopo alcuni anni di profanazione, e il miracolo che l'accompagnò: una piccola giara d'olio non profanata, che era appena sufficiente per tenere accesa un solo giorno la menorah (candelabro), bastò, invece, per una settimana, il tempo, cioè, di produrre dell'olio nuovo.
Per i cristiani, invece, è la stessa nascita del bambino nella grotta di Betlemme a rappresentare la luce, e tutta la messa di mezzanotte celebrata nelle chiese cattoliche è un inno alla luce, dalla ripresa del potente annuncio del profeta Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre/ vide una grande luce;/ su coloro che abitavano in terra tenebrosa/una luce rifulse" (Is. 9,1), fino al racconto dell'apparizione dell'angelo ai pastori dell'evangelista Luca: "Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce" (Lc 2, 8-9).
E luci si accendono sull'abete, che, con altre piante come il vischio e l'agrifoglio, già rappresentava, per popoli più antichi dell'area europea centro-settentrionale, un simbolo di immortalità per la sua qualità di sempreverde.

Ma anche un'altra festa vi è, collegata alla luce che vince sulle tenebre in questo periodo dell'anno, ed è quella di santa Lucia (13 dicembre). Il suo nome riverbera la sua origine dal latino "LUX-LUCIS" (LUCE, per l'appunto), e la sua funzione di protettrice della vista (secondo la chiesa cattolica) rimanda all'importanza di avere "il lume degli occhi" in tutti i sensi, materiale e simbolico; e il detto popolare ("Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia"), che oggi sembra bugiardo, non fa che testimoniare l'antica coincidenza di questa data col solstizio d'inverno - per ribadire che la luce prevale sull'oscurità.

Molti indizi, dunque, sembrano convergere sull'importanza della luce e della chiarità della vista per noi esseri umani - in una vastissima gamma di significati. E se questo fosse davvero il periodo dell'anno più propizio a una simile riflessione, come sarebbe più giusto e proficuo trascorrerlo? Seguendo una moda che già negli anni passati ha dimostrato di essere insulsa, oppure facendo qualcosa - per la prima volta nella vita - di totalmente nostro, di veramente originale? Disperdendoci in una massa senza volto e senza nome e priva di ogni responsabilità, oppure raccogliendoci in e con noi stessi per cercare di scoprire il nostro vero volto, il nome autentico che ci individua come esseri umani responsabili? E se da questa scelta potesse dipendere - anche solo per remotissima ipotesi - la trasformazione delle lance in bracci di un candelabro, quel far "luci dalle armi", a cui si accenna nel racconto,ebbene, non varrebbe la pena, solo per questo, di provare a uscire davvero fuori dal coro?


NOTE
1) Il racconto "Storia di due soldati" di Choam Potok (1929-2002), e' pubblicato in "Scrittori ebrei americani", Bompiani, Milano 1989, vol. II, pp. 619-624. A quanto mi risulta, e' ancora reperibile nelle librerie.
2) Chanuhkà  è una festa ebraica che dura otto giorni, nei quali però non si sospende il lavoro. Ogni sera, a partire dal 25 del mese di Kislev, si accende una candela in più della sera precedente sul candelabro apposito (menorah; plurale: menoroth) situato di solito davanti a una finestra. Questa festa ha giochi, canti e dolci caratteristici; specie negli Stati Uniti si fanno anche doni ai bambini.
Dal punto di vista storico, la festa ricorda la nuova dedicazione del tempio di Gerusalemme all'unico Dio d'Israele (YHWH), che rappresentò il punto culminante della vittoriosa ribellione dei Maccabei contro il tentativo del re di Siria, Antioco IV Epifane, di cancellare la religione ebraica e lo stesso popolo ebreo. Egli, infatti, oltre a far erigere statue di pagani nel Tempio di Salomone, aveva anche proibito, pena la morte, la circoncisione e l'osservanza del sabato. Questa storia, che risale al II secolo avanti era volgare (a.e.v.) è narrata dai due libri dei Maccabei che tuttavia non sono inseriti nella Bibbia ebraica, mentre si leggono nella versione greca detta dei "Settanta". La chiesa cattolica li riconosce come ispirati da Dio e li ha inseriti nell'Antico Testamento, mentre i protestanti non li contemplano nelle loro Bibbie. Del "miracolo dell'olio" parla la "Gemarah", una raccolta di testi rabbinici. Queste informazioni sono desunte in gran parte da: COLETTE ESTIN, Feste e racconti ebraici, Edizioni Dehoniane, Roma 1991, pp. 87-96.
3) Del legame esistente fra i racconti dell'infanzia di Gesù dell'evangelo di Luca e i simboli e i miti dell'Antico Egitto (e dell'antica Grecia) parla il teologo tedesco EUGEN DREWERMANN in: Il tuo nome e' come il sapore della vita, Queriniana, Brescia 1996.
4) La festa di santa Lucia (13 dicembre) non coincide più col solstizio d'inverno a seguito della riforma del calendario operata nel 1582 da papa Gregorio XIII per riallineare il calendario civile con quello solare e cancellare così la sfasatura che si era creata seguendo il vecchio calendario, quello riformato da Giulio Cesare nel 46 a.e.v.
5) Eugen Drewermann ((Bergkamen, 20 giugno 1940) è un teologo, psicanalista e psicoterapeuta tedesco. Figlio di padre protestante e di madre cattolica, ha seguito la via della madre e diventando presbitero cattolico. Ma, nel 1991, a seguito di un suo libro severamente critico sull’impostazione dei seminari (in italiano: Funzionari di Dio), gli fu revocato il permesso di insegnare all’università e poi fu ridotto allo stato laicale. Ha inaugurato un nuovo approccio interpretativo della Bibbia e alla teologia basato sulla "Psicologia del Profondo".

 
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