Ieri, 14 luglio, i migliaia di partecipanti alla marcia da Tel Aviv a Gerusalemme sono arrivati nella città santa, dove ha sede il complesso governativo chiedendo a gran voce la liberazione immediata delle persone ancora ostaggi di Hamas, perché, affermano, “
non ci sarà vittoria finché [Netanyahu] non avrà riportato a casa tutti i 120 ostaggi”.
Sono quindi estremamente critici con la politica del Primo Ministro che, invece, punta a uccidere due leader di Hamas, e, per fare questo, ha ordinato un raid su Khan Yunis, nel sud della striscia di Gaza, provocando 90 morti e 300 feriti tra la popolazione del vicino campo profughi (dati del Ministero della Sanità di Gaza) . Con tutto ciò, Netanyahu ammette di non avere la certezza che siano stati eliminati. Eppure continua a non accettare la tregua necessaria per la consegna da parte di Hamas degli ostaggi israeliani.
Senza più alcuna remora ormai i manifestanti, e molta opinione pubblica, accusano il premier “
di anteporre altri interessi e fini alle trattative per l’intesa”.
Einav Zangauker, madre di un ostaggio, pur convinta che “
gli assassini di Hamas siano da ritenere responsabili”, chiede, con gli altri, al premier “
di smettere di sabotare l’accordo e che metta da parte tutte le considerazioni personali e politiche”. Una posizione che riecheggia
il severo giudizio del politologo Neve Gordon , il quale asseriva che Netanyahu continua a guerreggiare, perché, se la guerra finisce, “
dovrebbe rispondere delle sue responsabilità nel massacro del 7 ottobre e anche dei tre processi che si svolgeranno per corruzione”.
Alla voce dei manifestanti ha unito la propria il leader dell’opposizione,
Yair Lapid, che si è unito alla marcia nell’ultimo tratto, facendo notare a Netanyahu che “
chi non si assume la responsabilità dei propri fallimenti non ottiene credito per i successi”, facendo riferimento agli errori e inadeguatezza della difesa del kibbutz Beeri il 7 ottobre 2023.
Questa grande manifestazione segue di una manciata di giorni quella del primo luglio, seguita da Manuela Dviri e pubblicata colo titolo “
A Tel Aviv con Yuval Noah Harari per dire basta alla guerra” .
In questo caso i partecipanti, “
ben più dei 6.000 che si pensava ci sarebbero stati, forse il doppio” si sono ritrovati “per parlare di pace, articolare parole di pace e di futuro comune”.
Sono state, ci viene detto, due ore “
di campo della pace”, in cui hanno preso la parola “
parenti degli ostaggi e dei caduti, intellettuali, scrittrici e scrittori, musicisti, ebrei e palestinesi, uomini di religione, giovani e anziani, e tutti hanno parlato – in ebraico e in arabo – di speranza, di desiderio di uguaglianza, giustizia, vita normale, fine dell’occupazione”.
Verso la fine ha preso la parola filosofo e storico
Yuval Noah Arari (classe 1970), molto seguito in Israele, autore di molte ricerche, alcune delle quali tradotte in italiano, come
Sapiens. Da animali a dei. Breve storia dell’umanità (Bompiani).
Secondo gli appunti presi da Dviri, egli si è espresso in questo modo (il grassetto è nell’originale):
“
10.000 anni fa c’era qui l’homo sapiens
, c’erano persone come noi e c’erano dei popoli, ma non quelli che conosciamo. Il tempo crea i popoli… adesso ce ne vivono due. C’è un popolo ebraico e uno palestinese. Purtroppo molti di noi si rifiutano di accettare una realtà così semplice come il fatto che entrambi i popoli hanno un profondo legame con questa terra e che entrambi hanno il diritto di viverci. L’amara realtà sul conflitto è che ogni parte teme che l’altra voglia annientarla e distruggerla. Non è paranoia, è pura realtà. Entrambe le parti hanno ragione. Hamas sostiene che tutta questa terra gli appartiene, ma anche esponenti del nostro governo credono che ci appartenga tutta. Entrambe le parti sono convinte che tutto lo spazio gli appartenga. 'Cosa hanno a che fare gli ebrei con Gerusalemme?' dicono i palestinesi e 'non esiste un popolo palestinese' dicono molti israeliani. Hanno gli occhi ma non vedono, hanno le orecchie ma non ascoltano. Come si può spiegare un tale livello di negazione? Ebbene, è difficile fare entrare una realtà così complicata in un’anima così ristretta (…) quello che la mia anima non riesce a contenere, lo nego. Lo faccio sparire. Di anno in anno la situazione peggiora. Nella negazione della realtà, nel diniego, le anime diventano sempre più ridotte, più piccole, e rimane solo l’io. L’io, l’io… ma il mondo è grande e perfino in una terra piccola e densamente abitata come la nostra c’è posto per tutti (…) e tutti noi possiamo allargare le nostre anime, una sola anima può contenere il mondo intero. Ogni parte deve accettare l’esistenza dell’altra e rinunciare al sogno che l’altra cesserà di esistere (…). La pace arriverà il giorno in cui entrambi i popoli avranno la possibilità di far sparire l’altro, ma non lo faranno (…). Gli esseri umani, tutti e ovunque, hanno bisogno di acqua, di tranquillità e di verità (…) chi di noi non ne ha bisogno? Chi non vuole amare ed essere amato? sì, anche loro hanno bisogno di amare e di essere amati. Non è ancora troppo tardi. La guerra non è una legge della natura, è una scelta degli uomini e in ogni momento possiamo fare la pace. È vero, ci abbiamo provato e non siamo stati abbastanza bravi, ma non siamo bravi neanche nelle guerre e abbiamo continuato a farle. Tutte le guerre ci hanno portato al baratro. È venuto il momento di fare la pace. La pace è grande, può contenere moltissimo”.
Ecco eventi e parole su cui riflettere per uscire dalla superficiale, letale contrapposizione, che purtroppo va ancora per la maggiore in Italia, tra due ragioni – una contro l’altra armate. Non è così! Siamo di fronte a due ragioni ugualmente valide, e lo capiamo se leggiamo con attenzione ciò che sta succedendo adesso in Israele.
E mentre apriamo i nostri occhi e ci ripuliamo le orecchie da slogan superficiali e stupidi, rendiamo subito giustizia agli Ebrei del nostro Paese, che con le atrocità compiute dal governo Netanyahu non c’entrano proprio niente e che di sicuro sono i primi a desiderare la composizione più giusta possibile del conflitto scatenatosi il 7 ottobre 2023 - ricordiamocelo bene - con il proditorio atroce attacco, di Hamas contro i Kibbutz vicini alla striscia di Gaza, in cui vivevano Israeliani ebrei che da anni avevano, come ben dimostrato, relazioni di amicizia coi Palestinesi musulmani di Gaza.
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