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Anniversario precario per la BCE
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Stati uniti d'europa di Redazione
2 giugno 2018 12:42
 
 A Francoforte non c’é festa. A dire il vero, siamo abbastanza sul deprimente. Venerdì 1 giugno, la Banca Centrale Europea (BCE) ha festeggiato il suo ventesimo anniversario. Ci sono ancora sei mesi, entro i quali questa istituzione spera che il 2018 sia marcato da una solida ripresa economica. E che il calo della disoccupazione ridia fiato al morale degli europei. E che la ripresa congiunturale le permetterebbe di tranquillamente ritirare le sue misure eccezionali, mentre Berlino e Parigi progredirebbero insieme verso una maggiore integrazione in zona euro.
Ma l’assottigliamento economico non é durato. Da qualche settimana, la crescita dà dei segnali deboli. Berlino e Parigi avanzano con difficoltà. E l’Italia, che sta per essere governata da un intoppo populista euroscettico, mette di nuovo la zona euro di fronte al suo peccato originale. Cioé che non é una unione monetaria completa. In un certo modo, é come una sedia a cui manca una gamba: in equilibrio precario. Rischiando di vacillare alla prima scossa. La prossima, é possibile che venga da Roma.
Quando la BCE é nata, il 1 giugno 1998, questo disequilibrio iniziale era pari. Quello che é tale nel cuore stesso della costruzione europea, con l’integrazione economica che prepara il terreno all’integrazione politica. I Paesi membri stavano per condividere la sessa moneta, l’euro, introdotta poi nel 1999. Essi avrebbero forgiato in seguito le istituzioni politiche, incarnando la propria convergenza. Ma niente é andato come previsto. Le capitali non erano ancora pronte a cedere un po’ della loro sovranità a vantaggio del livello comunitario. Soprattutto: la crisi del 2008 si é fatta sentire.
L’euforia, la crisi, poi la ripresa
L’esistenza della BCE si divide in due periodi ben distinti, 1998-2008, all’inizio: l’euforia del debutto. L’istituto di Francoforte, costruito sul modello della banca centrale tedesca -la Bundesbank, o Buba-, si concentra sull’instabilità dei prezzi, in modo talvolta ossessivo. Gli Stati membri ne approfittano del calo dei tassi come conseguenza della creazione dell’euro. Le loro economie convergono. Ma delle bolle vengono fuori lo stesso, in particolare nel settore immobiliare spagnolo.
A seguire 2008-2018: la crisi, poi la ripresa. Troppo concentrata sulla lotta all’inflazione, la BCE non assume immediatamente la misura dello choc che sta colpendo il Vecchio Continente. L’ondata di choc finanziario venuta dagli Stati Uniti, si sta trasformando in una crisi dei debiti europei. La speculazione sugli Stati più fragili si scatena. Mario Draghi, arrivato alla testa dell’istituto di Francoforte a fine 2011, manovra fino ai limiti del proprio mandato per metterci un termine. A luglio del 2012, estingue il fuoco sui mercati assicurando che farà “tutto quello che occorre” per salvare l’euro, quindi progetta un programma di riacquisto del debito pubblico, l’OMT. Ne seguirà un secondo, nel 2015: l’alleggerimento quantitativo (noto con la sua dizione inglese: quatitative easing, o QE).
La BCE di oggi non ha più grandi cose in comune con quella del 1998. Essa ha più potere. Era dedita alla discrezione delle informazioni, ma oggi comunica sempre di più, anche in direzione del grande pubblico. I suoi membri moltiplicano gli incontri con le scuole e le università. Ha aperto le porte: la torre in cui ha sede dal 2014, accoglie ormai visitatori nell'ambito di un un centro pedagogico che presenta le proprie attività. Inimmaginabile venti anni fa.
Alla fine delle possibilità
Ma questo non basta. Le debolezze iniziali non sono ancora risolte: la BCE rimane l’unica vera istituzione sovranazionale dell’euro. Di fronte ad essa, nessun budget comune, nessun meccanismo di solidarietà tra i membri. I tedeschi sono allergici a questa idea, per motivi di ordine morale piu’ che di pertinenza economica. Per cui, fino a che non sarà completata, l’unione monetaria non potrà funzionare correttamente. Non riuscirà a fornire un quadro perché ogni Stato possa crescere grazie al proprio pieno potenziale. E la BCE sarà condannata a condurre una politica che non conviene veramente a nessuno dei Paesi membri. Gli Stati del Nord, Germania in testa, la giudica troppo lassista per le loro economie. A Sud, la si accusa di essere troppo dura.
Non c'è da stupirsi, quindi, che l'euro e la BCE siano regolarmente criticati da Roma, Atene o Berlino. L’ultimo sondaggio della Commissione europea, fa sapere che il 47% dei cittadini della zona euro non sono soddisfatti. Ovunque si manifesta lo stesso lassismo. Una grande fatica, dopo anni di crisi. E anche a Francoforte.
Dopo essersi impegnata coi mezzi a disposizione per salvare l’euro e sostenere la crescita, la BCE é oggi alla fine delle sue possibilità. Essa é sul punto di mettere un termine ai suoi acquisti di debiti. Anche se la ripresa non é eclatante, anche in caso di nuove tensioni sui debiti, la Germania rifiuterà che il programma sia prolungato. La fine di un’era si avvicina. Quella di Mario Draghi, il cui mandato scadrà a ottobre del 2019. Il nome di chi lo sostituirà é già oggetto di un grande mercato politico tra i dirigenti europei, con risultati incerti.
Da aprile, Draghi ha risposto alle domande di studenti europei sul futuro dell’Europa. Secondo lui, le sfide che ci attendono, come quella sul cambiamento climatico, si potranno gestire solo se si va verso una maggiore integrazione. “A livello razionale, sappiamo che dobbiamo andare avanti in questa direzione”, ha detto. Prima di sottolineare che la violenza della crisi ha suscitato un movimento di reazione su se stessi da parte dei Paesi, caratterizzato dalla crescita del populismo. Difficile, in queste condizioni, essere ottimisti per il futuro dell’euro…

(articolo di Marie Charrel, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 02/06/2018)
 
 
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