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Deriva autoritaria in UE. Offensiva finanziaria e giudiziale di Bruxelles
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Stati uniti d'europa di Redazione
30 settembre 2018 18:17
 
 Bruxelles al contrattacco. L'Ungheria e la Polonia sono al confine dei limiti democratici sapendo che è quasi impossibile che l'Unione europea applichi alle loro decisioni autoritarie la pena massima prevista dal Trattato europeo perché questa pena richiede l'unanimità dei partner comunitari. Ma l'impunità del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, o del polacco, Matheus Morawiecki, sta volgendo al termine. Le istituzioni comunitarie provano, esplorano e usano le norme disciplinari più percorribili per dimostrare che la violazione dei diritti fondamentali ha un prezzo molto alto in termini di prestigi finanziari, politici e internazionali.
La corruzione che circonda il regime Orbán è già costata all'Ungheria il più grande taglio dei fondi strutturali dell'UE nel 2016 e 2017. E la posizione della Polonia nella zona Schengen, è stata di recente rimessa in discussione da una sentenza della Corte europea sull’arresto di alcuni giudici polacchi, e la decisione del governo belga e del Parlamento europeo di ignorare il veto di Varsavia all’ingresso in Europa di un attivista critico con il regime polacco.
Senza grande acutezza ma con sempre maggiore forza, Bruxelles affronta la deriva autoritaria. Fonti comunitarie fanno sapere a questo giornale che non si esclude che possa essere utilizzato l'articolo 7 del Trattato (sospensione del voto in Consiglio), un'umiliazione che ora incombe su Budapest e Varsavia. Ma questa iniziativa della Commissione, con la ferrea applicazione della normativa comunitaria, potrebbe rendere i governi di Ungheria e Polonia come dei perseguitati verso l’opinione pubblica, in particolare quella dei propri Paesi.
La domanda è se la risposta di Bruxelles non arrivi troppo tardi. La lotta di Bruxelles contro il governo ungherese e polacco (controllato dall’ultra-conservatore Jaroslaw Kaczynski) è diventata una corsa contro il diffondersi di focolai autoritari, xenofobi e antidemocratici che si sono alleati e diffusi, potenziali alleati di Orbàn e che controllano già diverse capitali.
"I nazionalisti in marcia a Chemnitz [Germania], la campagna contro Soros in Ungheria o la crescente retorica contro zingari e musulmani sono solo alcuni esempi che ci dicono che abbiamo un problema", ha ammesso questa settimana il commissario europeo per la Giustizia, V?ra Jourová.
La violazione dei valori fondamentali dell'UE può ottenere un successo se Bruxelles fallisce nella sua nuova offensiva. Questa settimana in Austria (governata da una coalizione di destra ed estrema destra) il Ministero dell'Interno è stato incaricato di limitare l’agibilità a certi mezzi di comunicazione, tra cui uno dei maggiori quotidiani (Der Standard).
Venerdì scorso la Commissione ha chiesto spiegazioni a Roma sul censimento della popolazione rom annunciato dal ministro dell'Interno Matteo Salvini. Il governo italiano ha fatto sapere che non ha intenzione di effettuare un censimento della popolazione rom con l'intenzione di espellere gli stessi". Così ha risposto il commissario Jourova in risposta ad una richiesta del deputato liberale Beatriz Becerra.
La commissaria europea per la Giustizia avverte, tuttavia, che "la Commissione continuerà a monitorare la situazione negli Stati membri, tra cui l'Italia, ed è pronta ad utilizzare tutti i mezzi disponibili nell'ambito delle sue competenze, sì da rilevare le violazioni alla Legislazione europea". Un avvertimento che si è già manifestato con l'Ungheria e la Polonia.
Le istituzioni comunitarie hanno lanciato verso questi due Paesi una serie di iniziative che fino ad ora non erano mai state prese. Le conseguenze finanziarie e politiche delle iniziative della Commissione sono sempre più evidenti. Le pressioni economiche e politiche sembrano destinate a diventare un modello da seguire contro la tentazione antidemocratica che si sta manifestando in molte capitali europee.
Il governo di Viktor Orbán è stato il primo a ricevere una conseguenza economica, sotto forma di ritiro dei fondi strutturali, a seguito di episodi di corruzione. "I programmi di fondi strutturali in Ungheria sono stati soggetti alla più alta modifica finanziaria dell'intera UE nel 2016 e 2017", ha ricordato il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, nell'accusa contro Orbán che ha pronunciato lo scorso 11 settembre al Parlamento europeo.
Solo nel 2016, l'Ungheria ha subito un taglio di 211 milioni di euro, il doppio della Grecia, il secondo Paese più colpito, secondo le informazioni fornite nella relazione annuale della Commissione. Le autorità comunitarie controllano regolarmente l'erogazione dei fondi e quasi tutti i Paesi subiscono alcune correzioni. Ma nel caso dell'Ungheria hanno raggiunto una tale portata che i canali finanziari tra Bruxelles e Budapest si sono praticamente prosciugati nel 2018.
Tra gennaio e agosto di quest'anno, il governo ungherese ha stanziato quasi 1,4 miliardi di fiorini (4,2 miliardi di euro) per progetti finanziati teoricamente dell'UE. Ma in quel periodo ha ricevuto da Bruxelles 183.000 milioni di fiorini (563 milioni di euro), secondo il ministero delle finanze ungherese.
Il divario di questi fondi ha aperto un deficit nel flusso di cassa del governo ungherese che ha attirato l'attenzione degli analisti finanziari. E anche se si prevede che i fondi europei finiranno per arrivare, il sospetto della Commissione sul clientelismo nella gestione dei fondi (con molto favoritismi per le aziende vicine ad Orbán) e le indagini dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) possono ridurre drasticamente il flusso comunitario.
Péter Virovácz, analista senior presso ING a Varsavia, ricorda che "la Commissione ha già esaminato più di 20 progetti in Ungheria e ha riscontrato problemi nell'80%". Bruxelles ha offerto al governo ungherese la possibilità di non rischiare un arresto completo dei fondi fino a quando non sarà data una risposta al loro ricorso oppure di accettare le loro decisioni e pagare una penale pari al 10% dei fondi in discussione. Orbán ha optato per prendere i fondi, anche se meno, ed andare avanti. "Budapest ha accettato il verdetto e ci è costato 150.000 milioni di fiorini (460 milioni di euro)", ha detto Virovácz.
La pressione economica può aumentare ed estendersi oltre l'Ungheria. Delle 158 indagini in corso da parte dell'OLAF relative ai fondi strutturali, quasi la metà riguarda Ungheria (26), Polonia (24) e Romania (20), tre Paesi in cui la fragilità dello Stato di diritto è sempre più allarmante per Bruxelles.
E nel prossimo futuro, il taglio dei fondi potrebbe essere molto più rapido. Fonti comunitarie ricordano che le proposte per il prossimo bilancio quadro dell'UE (2021-2027) includono già un progetto di regolamento che consentirà di "sospendere, ridurre o limitare" l'accesso ai fondi a Paesi in cui si registra un grave deterioramento dell’indipendenza giudiziaria o carenze nei sistemi di controllo della spesa comunitaria. Le stesse fonti ricordano che questo regolamento, sostenuto da Germania e Francia, può essere approvato a maggioranza qualificata, il che evita i possibili veti di Ungheria o Polonia.
Ma il taglio dei fondi non è l'unico modo disciplinare che la Commissione ha iniziato ad utilizzare. Lo scorso lunedì, Bruxelles ha chiesto alla Corte di giustizia europea la sospensione cautelare della riforma della Corte suprema approvata dal Parlamento polacco, con la consapevolezza che mina l'indipendenza della magistratura. Tre giorni dopo, la Corte europea ha avviato una procedura d'urgenza di consultazione così come aveva già fatto la Corte Suprema polacca stessa, il che indica che i giudici comunitari hanno intenzione di intervenire in materia e di risolvere il tutto il più presto possibile.
Se la Corte di Lussemburgo annulla la riforma della Corte Suprema polacca, si tratterebbe di un intervento nell'ordinamento giudiziario di un Paese membro di tale portata che Varsavia, nonostante l'insistenza del Vice Presidente Timmermans, ha rifiutato di confermare che rispetterebbe la sentenza. Lo shock istituzionale, se dovesse accadere, potrebbe anche portare a sanzioni importanti contro la Polonia. "E le multe sono pagate o detratte dai fondi strutturali", sussurra una fonte a Bruxelles.
Varsavia, inoltre, ha iniziato ad abbandonare lo spazio giudiziario europeo, una delle più importanti aree di integrazione insieme all'Unione monetaria (a cui non appartengono né l'Ungheria né la Polonia). Lo scorso luglio la Corte europea ha deciso di esaminare con una lente di ingrandimento gli ordini europei di arresto e di fermo effettuati dalla Polonia, per verificare che l'imputato goda di tutte le garanzie giudiziarie. Ed ha deciso che non vadano eseguiti se il Consiglio dell'UE confermasse l'applicazione dell'articolo 7 come proposto dalla Commissione. La Polonia è il Paese dell'UE con il più alto numero di mandati d'arresto (2.390 nel 2015, il doppio della Francia e quattro volte più della Spagna), ma il verdetto lussemburghese minaccia di trasformarli in una lettera morta.
Anche la posizione della Polonia nel sistema Schengen è stata compromessa, con l'accusa di utilizzare il rifiuto dei visti per porre il veto all'ingresso nel territorio europeo di persone non gradite da governo controllato da Jaroslaw Kaczynski.
In agosto, la Polonia è riuscita (tramite il Sistema d'informazione Schengen o SIS) a fermare in Belgio, all'aeroporto di Bruxelles, e a deportare Lyudmila Kozlowska, presidente della Fondazione per il dialogo in Ucraina e Polonia, con sede a Kiev. Ma lo scorso mercoledì le autorità belghe hanno ignorato il veto e hanno permesso l'ingresso di Kozlowska. Un affronto, secondo le autorità polacche, che non ha potuto impedire la presenza del suo nemico nel Parlamento europeo, in un'audizione organizzata dal gruppo liberale (ALDE). Le sue parole avrebbero dovuto causare preoccupazioni a Varsavia e riflessioni in altre capitali europee. "L'UE deve stabilire un meccanismo efficace per prevenire futuri abusi del SIS da parte di governi illiberali e oppressivi, la tendenza populista verso l'autoritarismo deve essere fermata, il futuro dell'UE, come non ci si può non rendere, è in gioco", ha avvertito Kozlowska.

(Articolo di Bernardo De Miguel, pubblicato sul quotidiano El Pais del 30/09/2018)
 
 
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