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Il pudding della Brexit
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Stati uniti d'europa di Redazione
12 marzo 2019 16:13
 
 L’inverosimile pandemonio della Brexit continua con una Gran Bretagna che vuole uscire dall’Unione senza uscirne veramente ma non restandoci. Melassa, pudding e marshmallow. Il primo ministro, Theresa May, cerca di far adottare ai Comuni l’accordo che aveva fatto con l’Unione europea, più o meno ritoccato nel corso delle sue ultime discussioni coi rappresentanti dell’UE (piuttosto meno che più). Voto difficile: lo stesso accordo è stato seccamente bocciato da qualche settimana dalla coalizione di quelli che lo trovavano troppo duro e da quelli che lo trovavano troppo morbido. Se May fallisce, il giorno dopo farà votare sull’ipotesi di un’uscita senza accordo (hard Brexit), che la maggioranza dei deputati, per principio, neanche vuole. Se rifiutano, Londra chiederà un rinvio, ma l’UE non vuole affatto spostare la decisione alle calende inglesi. Perplessità, confusione e incertezza.
La questione dimostra ancora una volta, se ce n’era bisogno, l’incredibile demagogia di cui stanno dando dimostrazione i “brexiters” in questa vicenda, che non hanno previsto nulla di tutto ciò, e con essi i sovranisti che accarezzano l’idea di smantellare la costruzione europea. Dopo aver votato sulla questione delle promesse false, i britannici stanno realizzando di aver portato il loro Paese nel marasma politico per due o tre anni, che l’economia reagisce abbastanza male e che l’uscita dall’Unione causa loro dei problemi piuttosto che risolverli.
Nel tempo, le economie europee si sono strettamente intrecciate. Uscire, è instaurare delle nuove barriere doganali tra l’isola e il continente. Difficile sul piano tecnico, l’operazione, al meglio, non cambierà grandi cose, se non un rincaro dei prezzi dei prodotti per i consumatori britannici ed una maggiore difficoltà ad esportare verso l’Europa, con la quale, in ogni modo, la Gran Bretagna commercia e commercierà prioritariamente. E’ il motivo per cui l’accordo negoziato contiene il mantenimento di una grande apertura tra i due mercati: in termini testuali, la Gran Bretagna continuerà ad applicare le norme europee, ma essa non avrà più alcun potere in seno all’Unione per eventualmente modificarle. E’ quello che si chiama “riprendere il controllo”.
Bisognerà anche e soprattutto regolare la questione della frontiera irlandese. Se la si lascia aperta. l’UE lascerà un grande buco nel suo dispositivo di controllo dei prodotti, indispensabile per assicurare il rispetto delle norme sanitarie o ambientali. Se la si chiude, si corre il rischio di riattizzare il conflitto tra unionisti pro-inglesi e partigiani dell’unificazione dell’Irlanda, che ha insanguinato la vita del Regno Unito per decenni e si era placato proprio con la cancellazione della suddetta frontiera.
Contrariamente alle favole diffuse dai nazionalisti, l’Unione non vuole impedire la Brexit. E quindi questa idea secondo la quale Bruxelles eserciterebbe una sorta di dittatura sugli Stati membri è una grande menzogna. L’Unione ha approvato all’unanimità l’accordo di uscita negoziato dalla signora May. Per Londra è sufficiente ratificarlo per uscire. Nessuna pressione su questo. Non è l’Europa che ha fatto ingrippare la macchina, è il Parlamento di Westminster che non sa cosa vuole. Perché si rende conto, nella sua maggioranza, che l’Unione è una struttura flessibile e utile, ma che deve applicare una decisione approssimativa presa senza considerarne le conseguenze.

(articolo di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 12/03/2019)
 
 
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