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Lo aveva ricordato il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso del Consiglio europeo del 24 giugno scorso, al premier ungherese Viktor Orban: le regole sottoscritte vanno rispettate.
Si riferiva al Trattato della Ue, approvato anche dall'Ungheria, che nomina la Commissione europea come guardiana del Trattato stesso e che spetta alla Commissione stabilire se l'Ungheria viola o no il Trattato. Secondo l'articolo 2, l'Unione europea "si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze". Questi valori, "sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini".
Il riferimento è relativo alla recente legge ungherese a che, di fatto, paragona l'omosessualità alla pedofilia.
"Non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell'etnia, delle opinioni politiche o credo religiosi", ha dichiarato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
L'esperienza del secolo scorso dovrebbe essere di monito a quanti vorrebbero riesumare norme discriminatorie nei confronti delle minoranze. Orban, che è in corsa per le elezioni del prossimo anno, si richiama a ingannevoli valori identitari. Se il premier ungherese non si riconosce nei Trattati sottoscritti, può sempre ricorrere all'articolo 50 del Trattato dell'Ue e attivare il meccanismo del recesso volontario e unilaterale. Sicuramente non lo farà, perchè i fondi comunitari, dei quali è sempre stato beneficiario netto, gli occorrono per la campagna elettorale. Bloccare tali fondi, sarebbe una saggia decisione.
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