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Stati Uniti d'Europa. I polli al cloro non passeranno
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Stati uniti d'europa di Redazione
22 febbraio 2019 18:25
 
 E’ una parabola utile per comprendere il meccanismo dell’amaro dibattito in corso sulla Brexit, che sta arrivando a delle battute decisive nei prossimi giorni. Si sa che, per tradizione e per economia, gli americani hanno l’abitudine di lavare col cloro i polli che vengono fuori dai loro allevamenti, sia per i consumi interni che per l’esportazione. Più ecologici, più sensibili agli scandali sanitari, gli europei rifiutano questo trattamento. La Commissione di Bruxelles, che non è “la burocrazia tagliata fuori dalla realtà” come viene descritta dai sovranisti, ha deciso, dopo diversi anni, di vietare i polli al cloro e di esigere che i gallinacei destinati ai piatti dei cittadini membri dell’Ue siano lavati con l’acqua pura. Eccessivamente pignoli? E’ sempre in discussione la nocività del cloro (è la dose che fa il veleno…) ma l’Europa ha tagliato di netto: il cloro potrebbe essere pericoloso, no ai polli americani al cloro.
No ai polli al cloro, a meno che l’Unione ceda in tutto alle richieste britanniche sulla Brexit. Si sa che le discussioni vertono sull’insolubile questione della frontiera irlandese. Se la Gran Bretagna esce dall’Unione, l’isola sarà necessariamente divisa in due: il nord resta nel Regno Unito, il sud resta in Europa. Ma se si ristabilisce una frontiera sui 500 Km che separano l’Ulster dalla repubblica d’Irlanda, si corre il rischio di riaccendere i conflitto che ha insanguinato la regione durante quaranta anni. Per evitare di vedere i posti di frontiera che dovrebbero essere ristabiliti a sud dell’Ulster attaccati dai bazooka di una IRA improvvisamente rinvigorita, il governo di Londra propone di uscire dalla Ue senza toccare questa frontiera.
E’ qui che i polli al cloro entrano in scena. Siccome la Gran Bretagna è più libero-scambista dell’Europa, è probabile che la norma europea sarà abbandonata (in nome della sovranità britannica ritrovata). Si vedranno allora, dicono i negoziatori dell’Unione, legioni compatte di polli al cloro attraversare la frontiera-colabrodo irlandese sulle loro piccole zampe o, più probabilmente, negli imballaggi yankee. Più sensibili a questo business dei polli rispetto al leone britannico, il galletto gallico e l’aquila tedesca hanno quindi posto il loro veto, tralasciando di riferirsi a tutti i tipi di altri nomi di uccelli. Da qui il “backstop” imposto agli inglesi da Michel Barnier, che gestisce la Brexit per conto dell’Unione: finché il destino del confine irlandese non viene risolto, la Gran Bretagna che lascia l'Europa rimarrà all'interno dell'unione doganale, situazione che permetterà di contrastare, alla frontiera comune, l’invasione di polli al cloro, così come quella di migliaia di altri prodotti (vitelli, mucche, maiali, nidiate varie, ma anche auto, macchine utensili, mobili, gnomi da giardino o mattarelli) che non soddisferanno le norme fissate dagli europei. Questa è la sfida: sia che i britannici scelgano la “hard Brexit” e la frontiera resusciterà, sia se essi accettino l’accordo di uscita negoziato da Barnier e May, ma in seguito rinnegato dalla stessa May, e restino all’interno del mercato unico, nel qual caso, ci si domanda perché bisogna che ci sia per forza una Brexit.
In tal modo, il pollo al cloro gioca ormai in questa aspra contrattazione il ruolo simmetrico tenuto prima del referendum dall’idraulico polacco. I sovranisti non volevano l’idraulico, gli europei non vogliono i polli. Dalla parte del buon senso, sembra che l’idraulico polacco sia meno pericoloso per la salute rispetto al pollo al cloro. Ma il buon senso, in questa vicenda, gioca un ruolo sempre minore.

(articolo di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 22/02/2019)
 
 
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