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Stati Uniti d'Europa. Le proposte di Mario Draghi
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Stati uniti d'europa di Redazione
4 maggio 2022 9:07
 
Abolizione del veto per gli stati membri, riforma dei trattati, uso del debito comune per aiutare gli stati membri a far fronte alle difficoltà provocate dalla guerra di Vladimir Putin in Ucraina: il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ieri ha toccato tutte (o quasi) le corde giuste nel suo discorso davanti al Parlamento europeo. Un discorso incentrato su due temi: federalismo pragmatico e federalismo ideale. Il primo – il federalismo pragmatico – deve servire a gestire “tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso: dall’economia, all’energia, alla sicurezza”, ha spiegato Draghi. Il secondo – il federalismo ideale – serve a difendere “i nostri valori europei di pace, di solidarietà, di umanità” che “mai come ora” sono stati minacciati. Abbiamo ascoltato Draghi e letto le undici pagine del suo discorso, denso di proposte concrete per l'immediato e il medio periodo. Ecco le idee che ci hanno colpito di più e le possibilità che vadano in porto.

La transizione climatica e digitale, il post pandemia e la somma delle crisi legate alla guerra "ci impone un’accelerazione decisa nel processo di integrazione", ha detto Draghi, lanciando un invito: "Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia". E' stato uno dei passaggi più applauditi dai deputati. La Conferenza sul futuro dell'Europa ha terminato i suoi lavori. Il Parlamento voterà una risoluzione per aprire il cantiere della riforma dei trattati con la convocazione di una Convenzione. Al di là dell'entusiasmo dentro la plenaria di Strasburgo, alcuni governi (in particolare nei paesi dell'est) sono contrari. Altri temono il rischio di bocciature referendarie. Tuttavia le condizioni politiche a Parigi e Berlino non sono mai state così favorevoli. Emmanuel Macron è stato appena rieletto. Il governo di Olaf Scholz accetta il principio di una revisione dei trattati nel suo programma. Se non ora, quando? Probabilità: media.

Con la guerra di Putin la politica estera e di sicurezza è una priorità. "La costruzione di una difesa comune deve accompagnarsi a una politica estera unitaria, e a meccanismi decisionali efficaci”, ha detto Draghi: “Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati". Anche questo passaggio del discorso è stato molto applaudito. Ma dentro il Consiglio europeo quasi nessuno vuole cancellare l'unanimità in politica estera. Lo stesso presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è lanciato in una difesa spassionata del diritto di veto perché, pur complicando il processo decisionale, fa sì che gli stati membri si assumano la responsabilità delle decisioni che prendono. L'unanimità è stata informalmente ampliata ad altri settori, come la riforma delle regole di Dublino, con la decisione politica di avanzare solo per consenso. Probabilità: quasi nulla. Per contro, un'altra proposta immediata di Draghi potrebbe andare in porto. Il presidente del Consiglio, spiegando che “la nostra spesa in sicurezza è circa tre volte quella della Russia, ma si divide in 146 sistemi di difesa”, ha chiesto di "convocare una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti" nella difesa. Probabilità: alta.

Legato alla guerra in Ucraina è anche il tema dell'allargamento. Draghi ha lanciato un appello a non avere paura: "La piena integrazione dei paesi che manifestano aspirazioni europee non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo. È parte della sua realizzazione”. L'Italia è favorevole “all'apertura immediata” dei negoziati con Albania e Macedonia del nord e un'accelerazione con Serbia e Montenegro. Soprattutto, "vogliamo l’Ucraina nell’Unione Europea”, ha ribadito Draghi. Probabilità: media per i Balcani occidentali, bassa per l'Ucraina. In un'intervista al Financial Times, il ministro degli Esteri austriaco, Alexander Schallenberg, ha proposto una riforma dei trattati per avvicinare l'Ucraina, senza farla entrare.

Di fronte alla crisi energetica che si annuncia per la guerra di Putin, Draghi ha fatto autocritica a nome dell'Italia (la sua dipendenza da Mosca “è imprudente dal punto di vista economico, e pericolosa dal punto di vista geopolitico”) e chiesto “un profondo riorientamento geopolitico (dell'Ue) destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso sud”. Draghi ha ribadito la proposta di “un tetto europeo ai prezzi del gas importato dalla Russia”, che “consentirebbe di utilizzare il nostro potere negoziale per ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie” e “di diminuire le somme che ogni giorno inviamo al presidente Putin e che inevitabilmente finanziano la sua campagna militare”. Probabilità: basse per il riorientamento a sud. Per contro, stanno salendo le quotazioni sul tetto al prezzo del gas, malgrado la continua opposizione di Germania e Paesi Bassi.

E chi paga la crisi? Draghi ha offerto una soluzione di compromesso tra chi vuole tutto (un altro Recovery fund di guerra dopo quello della pandemia) e chi non vuole niente. "Dobbiamo trovare subito soluzioni per proteggere le famiglie e le imprese dai rincari del costo dell’energia. Moderare le bollette e il prezzo dei carburanti è anche un modo per rendere eventuali sanzioni più sostenibili nel tempo", ha spiegato Draghi. Con Spagna e Francia, l'Italia deve "spezzare il legame tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità” (probabilità basse nell'immediato, medie nel medio periodo). Ma la proposta più innovativa di Draghi è quella di ampliare la portata dello strumento SURE (inventato durante la pandemia per aiutare i paesi a pagare la cassa integrazione attraverso dei prestiti). L'obiettivo è "fornire ai paesi che ne fanno richiesta nuovi finanziamenti per attenuare l’impatto dei rincari energetici". Secondo Draghi, "il ricorso a un meccanismo di prestiti come SURE consentirebbe di evitare l’utilizzo di sovvenzioni a fondo perduto per pagare misure nazionali di spesa corrente". Allo stesso tempo, “in una fase di rialzo dei tassi d’interesse, fornirebbe agli Stati membri con le finanze pubbliche più fragili un’alternativa meno cara rispetto all’indebitamento sul mercato”. Probabilità: a prima vista bassa, ma grazie allo zampino di Paolo Gentiloni potrebbe diventare rapidamente alta.

Uno strumento come SURE – debito dell'Ue per fornire prestiti agli stati membri – è stato presentato come “win win” da Draghi: permetterebbe di “ampliare la portata degli interventi di sostegno e allo stesso tempo limitare il rischio di instabilità finanziaria”. Il presidente del Consiglio deve essersi già consultato con altri partner se si è spinto a dire che è una misura che “dovrebbe essere messa in campo in tempi molto rapidi, per permettere ai governi di intervenire subito a sostegno dell’economia”. E il Recovery fund 2.0? Vista la montagna di investimenti da fare per le transizioni climatica e digitale e per la difesa, Draghi vi ha dedicato un passaggio, ma molto breve e molto vago, consapevole che le probabilità nel breve periodo sono praticamente nulle. "Per quanto riguarda gli investimenti di lungo periodo in aree come la difesa, l’energia, la sicurezza alimentare e industriale, il modello è invece quello del Next Generation EU", ha detto Draghi.

Ma alla fine cosa sono il federalismo pragmatico e il federalismo ideale? “La risposta è che l'integrazione è la nostra migliore alleata”, ha detto Draghi nella replica dopo il dibattito con i capigruppo del Parlamento europeo. Federalismo pragmatico “significa che per tante di queste sfide l'unico modo è affrontarle insieme”. Ma “affrontarle insieme non significa solo finanziarle insieme. Affrontarle insieme, significa disegnarle insieme, sorvegliarle insieme, assicurarsi che i soldi siano ben spesi tutti insieme”. I draghisti più attenti ricorderanno i discorsi di Draghi alla fine del suo mandato come presidente della Banca centrale europea, quando chiedeva un salto federale per passare da un'Ue basata sulle regole a un'Ue basata sulle istituzioni. In una parola: un'Ue politica. Che però inevitabilmente passa da una riforma dei trattati.

(David Carretta, Europa Ore 7)


 
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