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Stati Uniti d'Europa. Le regioni di frontiera sono l’anticorpo contro il sovranismo
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Stati uniti d'europa di Redazione
22 giugno 2020 9:02
 
 Gorizia e Nova Gorica sono due città di confine che si incontrano in piazza della Transalpina. La piazza è una zona franca: da un lato c’è il Friuli Venezia Giulia e l’Italia, dall’altro la Slovenia. Le due città sono di fatto unite dal 2007, anno di entrata della Slovenia nello spazio Schengen, ma l’emergenza Coronavirus ha portato alla chiusura dei confini. 

Il 15 marzo in piazza della Transalpina è apparsa una rete divisoria: «Per noi è stato uno shock, come una sensazione di ritorno alla guerra fredda. Abbiamo subito una decisione calata dall’alto. La Slovenia non ha gradito che l’Italia avesse dichiarato la zona rossa senza dare altre informazioni. Per questo motivo ha deciso di chiudere il confine», spiega Ivan Curzolo, direttore dell’associazione GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) per i comuni di Gorizia, Nova Gorica e San Pietro-Vertoiba.
Il 15 giugno la situazione è tornata alla normalità, la rete è stata rimossa e con essa gli ostacoli alla mobilità tra Italia e Slovenia. «Per fare un passo avanti nella cooperazione ci vogliono anni. Durante la quarantena la popolazione ha reagito: i giovani si sono messi a giocare a pallavolo con la rete in mezzo, i due sindaci hanno messo un tavolo in comune nella piazza per far dare un messaggio positivo», racconta il direttore di GECT.
La creazione dello spazio Schengen ha abolito le frontiere all’interno di 26 paesi europei dove la libera circolazione è diventata la regola. In situazioni di eccezione gli Stati membri possono decidere di ripristinare i controlli alle frontiere, com’è successo durante la pandemia. Queste decisioni hanno prodotto una serie di inefficienze, non solo nelle città di frontiera tra Slovenia e Italia: 

«A metà marzo, con l’emergenza covid, i confini sono stati chiusi immediatamente. Ma poi gli Stati si sono resi conto che c’erano scuole, negozi, servizi che avrebbero smesso di funzionare 24 ore dopo», spiega Martin Guillermo Ramirez, segretario generale di Aebr, l’Associazione europea delle regioni di frontiera.
Un esempio arriva dal confine tra Baviera e Repubblica Ceca: «In Germania le persone anziane vengono di solito assistite in casa. In Baviera sono soprattutto lavoratori della Repubblica Ceca a lavorare nell’assistenza alle persone anziane. Abbiamo spiegato queste specificità per  50 anni senza che gli Stati se ne accorgessero. Ma non c’è modo migliore di un’emergenza per far capire come stanno le cose». Le stesse difficoltà sono state segnalate in altre zone di frontiera, come in Lussemburgo e tra Francia e Germania, che da anni cooperano per integrare servizi e mobilità.
L’integrazione europea viaggia a velocità maggiore nelle regioni transfrontaliere, ma questo dettaglio sembra  non essere preso in considerazione dai governi centrali: «Le dinamiche transfrontaliere sono complesse. Il 30% della popolazione europea vive a ridosso delle frontiere, che corrisponde al 40% del territorio dell’Unione Europea. I finanziamenti previsti dal Recovery fund saranno distribuiti agli Stati membri. Le regioni transfrontaliere non sono prese in considerazione. Vogliamo che gli Stati si impegnino  per investire una parte del proprio budget nel proprio vicino», continua Guillermo Ramirez.
Aebr  insieme alle altre due principali associazioni delle regioni di frontiera, Mot e Cesci Net, hanno formato la ”Alleanza dei cittadini di frontiera”, per chiedere agli Stati europei un alto livello di impegno per le regioni di frontiera. L’obiettivo è anche fare fronte comune per tutelare i progetti interregionali. «Il servizio pubblico transnazionale e interregionale è ancora un’eccezione. Noi vogliamo che diventi una realtà. Dal 1990 il programma Interreg ha attivato circa 60 mila progetti transfrontalieri », spiega Guillermo Martinez. 
I progetti Gect sono finanziati in tutta Europa dalla Commissione  grazie al programma Interreg, che in 30 anni di attività ha destinato alla cooperazione tra regioni di frontiera circa 10 miliardi di euro.
A Nova Gorica e Gorizia, il gruppo Gect lavora dal 2010 per attivare programmi di cooperazione sanitaria e progetti territoriali comuni alle città di frontiera. Per il periodo 2014-2020 l’associazione ha ottenuto 10 milioni di euro di finanziamenti europei per realizzare il parco transfrontaliero dell’Isonzo con percorso ciclopedonale, e un Centro unico di prenotazione per alcuni servizi sanitari: «L’obiettivo è avere un’economia di scala. Capire quali prestazioni possono essere unificate. Questo è fuori dalla portata dei tre Comuni: si dovrebbero coinvolgere altri stakeholder (persone coinvolte, ndr) nazionali.  Poi c’è la questione legata al rimborso amministrativo: ci devono essere dei sistemi di compensazione e questo complica il quadro».
Questi progetti diventano ancora più importanti in situazioni di emergenza sanitaria, come con il Coronavirus, dove la chiusura ermetica delle frontiere non ha tenuto conto delle esigenze delle popolazioni di frontiera.
«A livello nazionale c’è scarsa consapevolezza sulla storia di queste terre. C’è stata cooperazione fino all’800, si viveva in un contesto multiculturale fino ai nazionalismi. Ai tempi dell’ex Yugoslavia, la Slovenia era un paese socialista che non faceva parte del Patto di Varsavia. C’è sempre stato un commercio forte, il confine non è mai stato chiuso come la cortina di ferro. La popolazione locale è mista: c’è una forte componente slovena a Gorizia. Poi Schengen ha abolito i confini e per le nuove generazioni la questione non si pone», racconta il direttore di Gect. Ma il progetto più ambizioso e simbolico è la candidatura comune di Gorizia e Nova Gorica per diventare “Città europea della cultura 2025”, un’iniziativa che Curzolo definisce «positiva  anche per chi sarebbe naturalmente contrario».
Dal 1985, anno del primo patto di Schengen tra i paesi del Benelux, Francia e Germania, le frontiere interne dell’Unione Europea sono diventate luogo dove si sperimenta la vera integrazione. Guillermo Martinez ne è convinto: «Anche solo 2 mila euro spesi al confine tra Germania e Polonia sono fondamentali. Si tratta di zone che hanno affrontato conflitti e nazionalismi. Il programma Interreg dà la possibilità di aumentare la fiducia, superare i pregiudizi e unire le persone. Il vaccino migliore contro i nazionalismi è l’interazione».
(articolo di Emanuela Colaci, da Linkiesta del 22/06/2020)
 
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