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Assistenza agli anziani non autosufficienti. La legge li tutela, gli Enti no
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Articolo di Claudia Moretti
5 aprile 2023 15:33
 
    Le rette per le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono ingenti per i ricoveri degli anziani non autosufficienti. E, nonostante le costanti pronunce favorevoli di merito e di legittimità, nonostante rimborsi ottenuti dalle famiglie, nulla cambia. Gli Enti preposti alla presa in carico dei pazienti, per evidente carenza di fondi, continuano a disinformare e disincentivare i pazienti ed i loro familiari, spesso con l’utilizzo di regolamenti volti a limitare le soglie di reddito, disapplicare le  norme ISEE, e filtrare così, e molto, l’accesso ai servizi residenziali.

Che fare?
    In primo luogo tenere a mente che le norme che regolano la materia socio-sanitaria sono molte, ma non tutte uguali. Occorre avere una chiara rappresentazione della c.d. gerarchia delle fonti. La legge nazionale -e regionale- prevale sulle fonti secondarie (tutti quei numerosi atti secondari dei Comuni, dei Consorzi comuni-aziende sanitarie, come la Società della Salute in Toscana ad esempio con cui si stringono le maglie d’accesso ai servizi). Il che significa che ogni volta che ci si relaziona con l’Ufficio preposto occorrerà far valere le norme sovraordinate (che stabiliscono a parole i diritti) e pretenderne l’applicazione *
    E occorre ricordare a se stessi e all’Ufficio che il parente o il figlio, pur coinvolti indirettamente nelle procedure per il proprio congiunto malato (ad esempio perché consultati nelle procedure di valutazione delle Commissioni UVM o per l’ISEE socio-residenziale) non sono i destinatari dei provvedimenti e non hanno obblighi economici verso gli Enti. Permangono semmai, gli obblighi alimentari verso i congiunti (*) non attivabili però (e certamente non per quelle somme esose delle rette di ricovero) solo dal paziente personalmente, attraverso un giudizio civile.

    In secondo luogo, per coloro che provengono dalle cure ospedaliere d’urgenza o dalle cure intermedie (quelle riabilitative in continuità assistenziale) e che necessitano di ricovero in lungodegenza in RSA perché non più curabili a domicilio, occorre pretendere che la dimissione avvenga nelle modalità c.d. “protette”, ossia verso il luogo e nel tempo giusti ed appropriati. Non cedere, cioè, alla falsa prospettiva che spesso viene paventata, di doversene occupare in quanto familiare. Nel caso, si dovrà procedere tempestivamente con opportune intimazioni scritte affinché NON dimettano il paziente bisognoso fino alla formulazione di un Piano terapeutico che sia davvero fattibile ed appropriato.
    Una cosa, infatti, è far valere il diritto dell’utenza a scegliere la struttura del territorio che risponda alle esigenze di appropriatezza e di cura. Altra cosa è quella di doversene assumere la responsabilità, i rischi e l’organizzazione, mediante il trasferimento, ed infine, accollandosene per intero gli oneri, come se le Istituzioni non esistessero. Spesso accade, infatti, che la famiglia semplicemente non sia in grado di organizzare l’assistenza socio-sanitaria a casa, perché mancano gli spazi, per ragioni di barriere architettoniche, perché le condizioni cliniche non consentono la sicurezza per il paziente, perché non serve una badante ma un ospedale in casa. 
    E’ allora il caso di far presente che l’esistenza di una rete affettiva di sostegno non può tradursi in automatico in esistenza economica di sostegno, che tradotto in soldoni, significa per la famiglia accollarsi dai 3000,00 ai 4000,00 euro il mese di Rsa, del tutto a volte, privatamente.

    In terzo luogo, occorre attivarsi da subito per ottenere le cartelle cliniche ed i diari infermieristici delle strutture che hanno curato il paziente, e sottoporle al vaglio  medico specialistico del caso. Consultare, cioè, un consulente tecnico, che possa relazionare sulle condizioni cliniche quando esse non consentano le dimissioni del paziente a domicilio, che specifichi le fragilità, i pericoli e le esigenze mediche ed infermieristiche del caso, nonché le prestazioni che si rendono necessarie e che non sono annoverabili tra quelle di mera assistenza sostitutiva di un familiare non qualificato all’assistenza. Va da sé, infatti, che l’aiuto badante che le Istituzioni offrono a fronte di malattie cronico-degenerative, non può -e non deve- sostituire l’apporto medico ed infermieristico necessario alle cure di sopravvivenza.

    In quarto luogo, occorre ricordare che nelle patologie cognitive, l’anziano coinvolto in procedimenti socio-sanitari deve poter esser rappresentato legalmente, per “dialogare” con la Pubblica amministrazione, perché i parenti, per quanto stretti, non hanno voce in capitolo se non quando fa comodo alle istituzioni e, per rivendicare i diritti del proprio congiunto, devono essere investiti o di procura generale pregressa alla malattia cognitiva, o di decreto di nomina ad Amministratore di sostegno o Tutore.

    In quinto luogo, sebbene lenti e non sempre coerenti, i Tribunali esistono e, almeno al momento, in prevalenza applicano correttamente le norme di legge in materia.

    Da ultimo, una riflessione.
    Certamente la coperta è corta. A fronte di mille pazienti bisognosi, al momento non sono disponibili risorse sufficienti e gli Enti di fatto “sono costretti” a far tornare i conti, mediante l’affievolimento quando non la negazione dei diritti - costituzionalmente rilevanti – dei cittadini. Ma non è con regolamenti illegittimi, false informazioni volte a dissuadere l’utenza, o atti di scaricabarile fra assistenti sociali e Commissioni UVM, che si addiviene alla soluzione. Occorre ripensare l’intera gestione del fine vita, delle patologie croniche degenerative che affliggono i moltissimi anziani non autosufficienti del nostro Paese. Trovare alternative sostenibili per cittadini e Enti: offrire strutture che abbattano i costi dei ricoveri, predisponendo una seria differenziazione tra RSA e comunità di riposo? Aumentare il capitolo di spesa anziani, a costo di sacrificare altre categorie fragili? 
    In altre parole occorre aprire un dibattito chiaro, onesto, e tecnico, sull’enorme problema dell’invecchiamento della popolazione, costituita in larga prevalenza, e sempre più, da longevi ma malati anziani non più autosufficienti.
    
 
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